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Libero Rassegna Stampa
29.05.2008 Intervista ad Ayaan Hirsi Ali
ospite del Festival delle letterature di Roma

Testata: Libero
Data: 29 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Bruno Giurato
Titolo: «Con Oriana e i gialli ho capito la libertà»
Da LIBERO del 29 maggio 2008:

«Nei Paesi occidentali, molte persone di sinistra sostengono che gli immigrati hanno il diritto di praticare le loro tradizioni. Ma queste abitudini non fanno altro che spingere queste persone nella povertà. È un paradosso: le persone che vorrebbero aiutare gli immigrati finiscono per precipitarli nella miseria». Per Ayaan Hirsi Ali voler mantenere intatte le culture dei gruppi etnici che emigrano in Europa, è un'ambizione velleitaria, anche piuttosto dannosa. In sostanza, le "politiche identitarie" su cui ha puntato la sinistra europea sono un fallimento. Alla conferenza stampa di presentazione della serata di oggi del Festival delle letterature, la Hirsi Ali si presenta con Massimo Carlotto. Stasera (Roma, ore 21, Basilica di Massenzio) entrambi leggeranno un testo originale. Tema comune, dialettica e scontro di civiltà. Il testo di Hirsi Ali è la storia di una famiglia somala rifugiata in un villaggio olandese, con i conflitti culturali inevitabili che comporta la ricerca della felicità in un mondo ignoto. La trentottenne sceneggiatrice di "Submission" di Theo Van Gogh, figlia di un politico somalo, ha vissuto in stretto regime islamicotradizionale prima di scappare in Olanda, farsi atea e componente dell'America Enterprise Insititute, think tank neoconservatore. In conferenza stampa Massimo Carlotto dice che la pirateria è stata la prima organizzazione criminale del Mediterraneo, e lei interloquisce: «Il primo crimine del Medioevo è la religione, non la pirateria. Ma mentre la cristianità si è evoluta l'islam non l'ha fatto». Aggiunge: «Sarebbe meglio se gli immigrati che non vogliono adottare le convinzioni occidentali, adottassero almeno le pratiche occidentali. Per esempio quelle che aiutano le donne ad avere diritto di scelta sul proprio corpo». Eppure la Hirsi Ali, nemico numero uno della furia wahabita e salafita nei Paesi Bassi, si considera innanzitutto una scrittrice di fiction. Il suo ultimo "Se Dio non vuole" (Rizzoli, pp. 118, euro 12,5) è un romanzo e anche la storia di due adolescenti, Adan e Eve, l'uno musulmano, l'altra ebrea, e la vicenda di un'amicizia impossibile. Signora Hirsi Ali, quando parla dei suoi autori di riferimento cita solo saggisti, Mill, Kant, Voltaire. Ma nella sua adolescenza, quando si spostò dalla Somalia al Kenya, ha conosciuto la cultura occidentale attraverso "The Nancy Drew Series", una collana di racconti per ragazzi. Significa che la porta di una tradizione è la narrativa, invece che la conoscenza politica o geografica? «Sì, c'era "The Nancy Drew" ma anche le serie di Enid Blyton, anche i gialli di Agatha Christie. Letture che mi hanno intrattenuto, ma hanno fatto qualcosa di più. Mi hanno dato il senso della mia individualità, mi hanno introdotto a un contesto morale diverso. È un genere dove ti si presentano dei dilemmi e tu devi decidere. Le società moderne sono fatte di individui, l'individuo è libero e responsabile. In alcune società tradizionali l'accento è invece posto sulla condizione collettiva». Lei ha conosciuto Oriana Fallaci: quali libri e quali caratteristiche l'hanno colpita di lei? «Sono cresciuta nella cultura inglese e in quella olandese, fissate con l'understatement. Il modo di scrivere della Fallaci è basato sullo "upstatement". Mi ha colpito molto. "La forza della ragione" mostra le conseguenze logiche di certi comportamenti in modo lucido. Ti fa capire perché è irragionevole un certo relativismo morale, e perché bisogna temere certe caratteristiche dell'islam. Insomma Oriana Fallaci mi piace per il suo fortissimo appello alla ragione. Una figuretta minuta piena di forza e di idee, l'idea di ragione, l'idea dell'uguaglianza delle donne, l'idea della separazione tra Chiesa e Stato. Tutte idee che condivido». In un suo articolo scrisse che la Fallaci ha insistito per aprire lo champagne quando Lei la andò a trovare. «Non soltanto ha insistito per aprire la bottiglia, ma ha insistito perché bevessimo champagne e nient'altro. La bottiglia era più grande della parte superiore del suo corpo. Ma lei insistette per aprirla. Parliamo di una malata terminale di cancro che alla fine prende un portacenere e si accende, con bella determinazione, una sigaretta. Non aveva quasi più carne sul corpo. Eppure fino all'ulti mo manteneva un contegno che potrei definire solo con una parola somala indefinibile in altre lingue: Nassab. Un misto di nobiltà, eleganza e civiltà». Lei ha deciso di abbandonare l'islam bevendo un bicchiere di vino in un ristorante italiano. Si sente ancora islamica o completamente atea? «Veramente si trattava di un ristorante greco, o almeno ero in Grecia. Comunque sono atea. Ho chiamato la mia biografia "Infede le", perché ho rifiutato la fede islamica e quelli che lo fanno vengono chiamati infedeli. Non vuol dire che sono agnostica, ma precisamente atea. Credo non che Dio abbia creato l'umanità, ma che l'umanità abbia creato Dio. Ma non sono cieca alle differenze tra le religioni. Ci sono religioni che continuano a legittimare violenze e altre che non lo fanno. Ci sono religioni che usano il Dio che hanno creato per violare i diritti umani. Il cristanesimo è più pacifico di quanto sia stato in passato, e più pacifico di quanto sia oggi l'islam». Ma un mondo in cui si pensa alla libertà come spazio vuoto, non rischia di essere un mondo senza leggende, favole, tradizioni? «La religione ha tanti difetti, ma è uno dei modi che noi abbiamo per affrontare il vuoto e la morte. Se uno legge i libri di Richard Dawkins si accorge che il vuoto si pù riempire con tante cose, e la religione non è che uno dei modi per riempire la vita». Cosa ne pensa della posizione di studiosi come il filosofo iraniano Moschen Kadivar, che teorizza un islam "intellettuale", che si oppone all'islam tradizionale e a quello fondamentalista, un islam che media la tradizione del Corano con la razionalità? «Nella mentalità musulmana vedo alcuni segnali di cambiamento. Le popolazioni stanno cambiando. Ci si pone il problema della modernizzazione. È un dibattito aperto nel mondo musulmano. Tuttavia, gli insegnamenti morali di Maometto sono la guida che si offre ai fedeli dell'islam. Se i musulmani si aggrappano ai detti del Profeta non mi pare possibile alcun cambiamento. Insomma, per me si tratterebbe di riscrivere il Corano, non di interpretarlo. Ciò che troviamo dentro non è sufficiente».

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