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L'Opinione Rassegna Stampa
28.05.2008 La pace con la Siria: una prospettiva irrealistica
l'analisi di Michael Sfaradi

Testata: L'Opinione
Data: 28 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Michael Sfaradi
Titolo: «La pace con la Siria è solo un sogno di Ehud Olmert»
Da L' OPINIONE del 28 maggio 2008:

Il Primo Ministro israeliano Ehud Olmert non fa che parlare della necessità di concessioni territoriali al fine di ottenere un trattato di pace, ma lui, che dovrà presto fare i conti con le pendenze giudiziarie che gli stanno per cadere addosso come una mannaia, fa finta di non accorgersi che all’interno della sua maggioranza sono in molti, ed anche nomi importanti, che di ritirarsi dal Golan proprio non ne vogliono sentir parlare. Shaul Mofaz, ex Capo di Stato Maggiore per cui uno che di sicurezza se ne intende, ha detto a chiare lettere di vedere di buon occhio ogni trattativa che porti sicurezza ai confini, ma che non è possibile un ritiro dal Golan allo stato attuale, perché la Siria è pesantemente coinvolta nel terrorismo internazionale e legata a doppio filo con l’Iran di Ahmedinejad. Della stessa idea, anche se con sfumature diverse, sono i ministri Zeev Boim e Meir Shitrit. I ministri Zipi Livni ed Avi Dichter hanno dichiarato invece che la restituzione del Golan deve essere posticipata nel tempo di 20/25 anni, e sarà il frutto della normalizzazione fra le due nazioni. Considerando che Assad di Siria vuole tutto e subito è chiaro che si tratta di un bel “No” mascherato da un “sarà, vedremo”.

Olmert ha spiegato il suo punto di vista davanti alla commissione parlamentare “Esteri e Sicurezza”, difendendo l’operato del suo governo e dichiarando che quattro Primi Ministri prima di lui avevano portato avanti trattative con la Siria e con i Palestinesi, ripetendo la solita storia che Israele per ottenere la pace deve necessariamente rassegnarsi a concessioni territoriali. Ha anche aggiunto una nota di colore definendo bizzarri visionari quelli che pretenderebbero mantenere Israele allo status quo. Su chi è al momento il bizzarro visionario, il discorso è lungo. Olmert prosegue per la sua strada continuando a dire cose che, considerando lo scenario mediorientale in continua evoluzione sono, oggettivamente, delle utopie. Si ostina a parlare di pace e di ritirasi da territori che in caso di conflitto sarebbero strategicamente fondamentali, facendo finta di non vedere quello che sta accadendo intorno ad Israele. In Libano, ad esempio, è appena stato eletto un presidente che quando è stato a capo dell’esercito non ha obbedito agli ordini del suo governo rimanendo neutrale mentre gli Sciiti mettevano parte di Beirut a “ferro e fuoco” e che ha chiuso e fatto chiudere gli occhi ai suoi soldati sul riarmo degli Hezbollah. Si è fatto poi sfuggire una riflessione, riportata in sordina dagli organi di stampa internazionali e che la dice lunga sulla sua affidabilità, legittimava la presenza armata di Hezbollah, che di fatto uno stato nello stato, fino a che Israele controlla la zona al confine con il Libano denominata “Fattorie di Sheba”. Sdoganando di fatto una banda di terroristi armati dall’Iran con la complicità della Siria, la stessa Siria con la quale Israele ancora spera di poter parlare di pace.

Le possibilità sono due: o Ehud Olmert, come a volte accade a chi ha in mano il potere, ha perso il senso della misura e sragiona non rendendosi conto dell’effettiva situazione internazionale, oppure il bisogno di eludere i gravi problemi, verso i quali sta andando incontro alla velocità della luce, è tale che l’unica cosa che gli rimane è cercare di passare da paladino della pace facendo finta di non accorgersi dello scetticismo generale nei suoi confronti e nei confronti del suo operato. Se avesse un minimo di senso dello Stato si renderebbe conto che non ha i numeri per poter trattare su questioni strategiche che toccano il futuro di Israele e darebbe subito le dimissioni dall’incarico andando ad affrontare le accuse che gli vengono mosse da più parti. Crediamo che le trattative in corso riusciranno solo a riempire i notiziari per qualche altro giorno ancora per poi finire, come al solito, con un nulla di fatto, indebolendo ulteriormente le speranze di chi nella pace ci crede ancora.

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