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La Repubblica - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
27.05.2008 Disaccordo tra Sandro Viola e Alberto Stabile
mentre Ugo Tramballi sostiene il dialogo con Hezbollah

Testata:La Repubblica - Il Sole 24 Ore
Autore: Sandro Viola - Ugo Tramballi
Titolo: «Palestina terra di fuoco - La forza di parlare al nemico»
Nel recensire il libro in uscita di Alberto Stabile, inviato di REPUBBLICA , sul conflitto israelo-palestinese, Sandro Viola, sul medesimo giornale, che èa anche il suo, è prodigo di elogi all'obiettività e alla documentazione del testo. Condivide tutti, almeno... al 99% . Su un punto, infatti è in disaccordo: la barriera difensiva, che non per lui serve, come sostiene Stabile, a "rubare terra" ai palestinesi, ma a proteggere i cittadini israeliani dal terrorismo.
Se persino Sandro Viola se persino Sandro Viola arriva a essere in disaccordo con Stabile, siamo confortati circa la fondatezza delle critiche alla disinformazione che questo giornalista elargisce quasi quotidianamente dalle pagine del quotidiano romano.

Ecco l'articolo

Sono più di quarant´anni che seguo le vicende, le svolte, la carneficina del conflitto israelo-palestinese. E ancora mi stupisco quando vedo sino a che punto sono divaricate, estremiste, le posizioni di chi pretende di giudicare i torti e le ragioni dei contendenti. Da una parte la rivoltante stupidità, l´abissale ignoranza dei fatti che emergono dalle manifestazioni in cui pattuglie di giovinastri con la keffya bruciano le bandiere di Israele. Dall´altra, l´arroganza, il diniego d´ogni lampante verità con cui i difensori d´Israele si levano contro ogni riserva, critica o censura avanzate verso la condotta dei suoi governi. Come avrebbe potuto durare per otto decenni, infatti, la contesa per la Palestina, se non ci fossero stati le tragiche miopie, le intransigenze, i fanatismi degli uni e degli altri?
È per questo che ho trovato assai ben fatto il libro di Alberto Stabile, Palestina, apparso nei giorni scorsi da Giunti (pagg. 143, euro 10). Stabile, che in due diversi periodi ha trascorso otto anni a Gerusalemme come corrispondente di Repubblica, è uno dei giornalisti europei con più esperienza del conflitto e del suo inarrestabile imbarbarimento. Non c´è città israeliana dove non sia corso a vedere gli esiti sanguinosi degli attentati palestinesi, né angolo della Striscia di Gaza o villaggio della Cisgiordania dove non sia andato a constatare l´entità delle distruzioni provocate dalle rappresaglie d´Israele. Ha intervistato un anno dopo l´altro generali e politici israeliani, esponenti dell´Autorità palestinese, membri di Hamas. Ha seguito passo a passo le tante ripartenze e gli altrettanti arresti del cosiddetto processo di pace, che è come dire le speranze e le puntuali delusioni con cui israeliani e palestinesi hanno visto ogni volta sfumare le occasioni politiche per giungere ad un compromesso.
Sta qui, credo, nella lunga esperienza accumulata sul terreno del conflitto, il carattere più rilevante del suo libro: la pacatezza, l´equilibrio dei giudizi. Gli scaffali di chi s´è occupato di questo scontro interminabile, sono pieni di libri a tesi. Una parte di essi addossa ogni colpa ad Arafat, ai suoi successori, e da qualche anno ad Hamas: l´altra parte accusa Israele (e i libri più noti e ponderosi di questa seconda parte sono opera di autori israeliani) d´aver voltato le spalle ad ogni possibilità di negoziare la pace.
Sono libri a volte preziosi per la quantità dei dati e documenti, ma irrimediabilmente parziali. Mentre il cronista che come Stabile abbia trascorso un pezzo della sua vita girando lo sguardo dalle vittime dei kamikaze palestinesi alle vittime dei missili aria-terra israeliani, non ha più voglia di condannare gli uni o gli altri. Osserva, racconta. Che la contesa non abbia più da tempo una qualsiasi logica, che il coacervo dei cadaveri, la profondità degli odi, il progressivo prevalere del fanatismo non consentano più di puntare il dito verso un solo colpevole, questo lo ha ormai capito. L´intrico delle responsabilità, degli errori, delle ferocie è infatti tale che a questo punto può essere soltanto descritto, non giudicato.
Un altro pregio di Palestina (che contiene anche molte e belle fotografie, comprese quelle scattate da Robert Capa nel 1948) è la completezza del racconto. Per quanto stringata, la ricostruzione dei precedenti del conflitto (1900-1948), dei suoi sviluppi (1948-1973) e degli avvenimenti decisivi dell´ultimo trentennio, fornisce al lettore un quadro accurato della vicenda politica, diplomatica e militare (le sei guerre arabo-israeliane, più l´impazzimento terroristico 2000-2008) che chiamiamo la crisi mediorientale. E credo che l´intento dell´autore fosse proprio questo: permettere a chi non abbia le idee del tutto chiare su quanto avviene in Israele e in Palestina, d´avvicinarsi alle cause e al dipanarsi del conflitto sulla scorta d´un breviario senza lacune, perorazioni, tesi pregiudiziali, e costruito di soli fatti e documenti.
Anche il montaggio del libro mira ad aiutare la percezione d´una storia che non potrebbe essere più intricata, visto che a fronteggiarsi non sono soltanto israeliani e palestinesi, ma israeliani contro israeliani e palestinesi contro palestinesi. Il libro s´apre infatti con un capitolo sulla situazione come si presenta oggi: con la Striscia di Gaza dominata dagli islamisti di Hamas, e la Cisgiordania controllata, con l´aiuto degli Stati Uniti e d´Israele, da quel che resta dell´Autorità palestinese.
Dunque con le azioni terroristiche di Hamas (il lancio dei razzi Qassam sulle città israeliane del Negev, gli uomini bomba che si fanno esplodere contro le pattuglie ai valichi della Striscia), e le rappresaglie d´Israele sempre più devastanti e cruente. Da qui, poi, inizia la storia della contesa per la Palestina: dagli anni del tramonto ottomano alle immigrazioni ebraiche dei primi anni Venti, dagli attentati terroristici degli arabi contro gli ebrei e viceversa sino al caotico tutti contro tutti (inglesi inclusi) nell´ultimo scorcio del Mandato. Quindi la fondazione dello Stato ebraico, le guerre vittoriose dell´esercito israeliano, e il profilarsi della irrimediabilità del conflitto. Irrimediabile perché da un lato c´era la colonizzazione di Gaza e Cisgiordania spinta dal sogno d´un Grande Israele, e dall´altro c´era il rifiuto palestinese di riconoscere l´esistenza d´Israele, rifiuto che durò sino agli accordi di Oslo nel ´93. E il libro si chiude con il racconto delle due Intifada, dell´evacuazione di Gaza, dello stallo negoziale.
Ho cercato nella ricostruzione di Stabile un punto, una questione su cui non fossi d´accordo. Non è stato facile, ma alla fine il punto di dissenso l´ho trovato. Stabile scrive che la costruzione del Muro voluto da Ariel Sharon «è servita allo stato ebraico per annettere altro territorio e stabilire, come poi ha sentenziato l´Alta Corte di giustizia dell´Aja, confini diversi da quelli in vigore prima del giugno 1967 e accettati dalla comunità internazionale». Per conto mio, credo invece che il Muro sia servito soprattutto per chiudere i varchi da cui passavano i kamikaze per seminare la morte nelle città israeliane. Esso ha rosicchiato, è vero, altra terra palestinese, che come tutta la terra su cui sono sorte in questi quarant´anni le colonie ebraiche è stata sequestrata ai legittimi proprietari senza mai un risarcimento. Ma un fatto è certo: il numero delle vittime causate dagli attentati degli integralisti s´è ridotto, negli ultimi tre anni, del novanta per cento. E non vedo quale governo avrebbe potuto rinunciare ad ergere una costruzione difensiva che mettesse al sicuro la sua gente.

Sul SOLE 24 ORE Ugo Tramballi firma un editoriale programmaticamente intitolato dalla redazione "La forza di parlare al nemico".
Titolo programmatico e fedele: l'articolo auspica il "dialogo" con Hezbollah, Hamas (e in prospettiva con l'Iran). Dichiara finita la politica della "chiarezza morale" verso dittature e terroristi adottata dall'amministrazione Bush. Assicura che Israele, e il candidato repubblicano alla Casa Bianca, McCain, stanno già aderendo alla svolta, ecc.
In realtà, di diaologo con Hamas, con Hezbollah e con l'Iran McCain non parla, così come non se ne parla in Israele. Non per pregiudizio ideologico, ma per la constatazione di una realtà ineludibile. Quelli che secondo Tramballi dovrebbero essere gli interlocutori dello Stato ebraico e dell'America vogliono la distruzione di entrambi, sono terroristi e sponsor di terroristi. "Dialogo" è una bella parola, ma su cosa, e in quali condizioni ?

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