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Il Manifesto Rassegna Stampa
21.05.2008 Niente giustizia per le vittime di Saddam Hussein ( e di Tareq Aziz)
Giuliana Sgrena preferirebbe che le cose andassero così ?

Testata: Il Manifesto
Data: 21 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Giuliana Sgrena
Titolo: ««La vostra è solo una vendetta»»

Su Il MANIFESTO del 21 maggio 2008 ritorna la firma di Giuliana Sgrena. Che contesta legittimità e correttezza a uno dei complici di Saddam: Tareq Aziz.
La richiesta di un processo equo è sempre calida, anche per dittatori e criminali di guerra.
Purché si riconosca il diritto delle vittime del regime baathista ad avere giustizia. Cosa che non sembra Giuliana Sgrena faccia.

Ecco il testo:

Per la seconda volta in tre settimane Tareq Aziz ieri è ritornato in uno di quei palazzi sfarzosi che furono di Saddam, ora racchiusi nella Zona verde, dove gli americani hanno allestito il Tribunale speciale per giudicare l'ex raìs e gli uomini del suo regime. Aziz, vestito di grigio e con un bastone - un aspetto evidentemente sofferente - è ritornato da prigioniero in quei luoghi che aveva frequentato, fino a poco più di cinque anni fa, come uomo di potere apprezzato sia in Iraq che in occidente. Ma la caduta di Saddam ha trascinato con sé tutti i suoi collaboratori, senza esclusioni. E a tutti è stata riservata la stessa sorte. Nessuna eccezione nemmeno per Tareq Aziz, unico esponente cristiano di un regime tutto musulmano, che agli americani si era consegnato il 24 aprile del 2003.
L'ex ministro degli esteri iracheno e vice premier è accusato dell'uccisione, nel 1992, di 42 commercianti che avevano speculato sui prezzi dei generi alimentari durante l'embargo quando i prezzi erano controllati dal governo.
Un'accusa che vede accomunati a Tareq Aziz anche altri sette esponenti del vecchio regime, tra i quali due fratellastri di Saddam, Watban Ibrahim al Hassan, allora ministro degli interni, e Sabaawi Ibrahim al Hassan, un ex ufficiale della sicurezza. Tra i sette figura anche Ali Hassan al Majid, più noto come «Ali il chimico», già condannato a morte per la sua responsabilità durante l'Anfal, la feroce campagna contro i kurdi degli anni 80 che vide, tra l'altro, l'uccisione con i gas di circa 5.000 persone a Halabja. Ali il chimico ieri era assente per motivi di salute.
Se riconosciuto responsabile - e lo sarà sicuramente visto il modo in cui si svolgono i processi in Iraq - Tareq Aziz, ora 72enne, rischia la pena di morte o l'ergastolo. Il pubblico ministero Adnan Ali non sembra infatti disposto a concessioni: ha chiesto per Aziz «una pena esemplare che risollevi il cuore delle vedove e degli oppressi».
Tareq Aziz, che nella prima sessione del processo, il 29 aprile, aveva chiesto un rinvio per nominare un nuovo collegio di difesa, non ha potuto nemmeno godere della presenza dei suoi avvocati difensori perché le ambasciate irachene di Roma e Parigi non hanno concesso loro il visto, secondo quanto riferito dal figlio Ziad. Aziz non ha avuto mezzi termini durante il processo, ha parlato di vendetta: «so che si tratta di un atto di vendetta personale perché gli uomini che ora governano l'Iraq hanno provato ad uccidermi il 1 aprile 1980». Il riferimento è evidentemente all'attentato realizzato contro di lui, mentre si trovava all'università Mustansiriya di Baghdad, dai militanti del partito religioso sciita Dawa, ora al potere. L'attuale premier Nouri al Maliki è appunto un rappresentante del partito Dawa. Allora Aziz si era salvato buttandosi sotto una scrivania.
A sostegno della tesi dell'accusa ha testimoniato Abdul Amir Jabbar Nadir che ha avuto il padre 75enne e uno dei fratelli giustiziati insieme agli altri quaranta commercianti, sedici anni fa. Il testimone ha ricordato di aver allora chiesto della sorte dei suoi familiari alle autorità ma la risposta era stata che si trovavano all'obitorio e che non era possibile lo svolgimento del funerale, che secondo il rito musulmano deve avvenire nelle ore immediatamente successive alla morte. Ma quello «stesso giorno i commercianti erano stati legati a dei pali ed era stato detto alla gente che si trattava di avidi commercianti: sputategli addosso», ha riferito Abdul Amir.
Tareq Aziz ha invece negato ogni coinvolgimento nei fatti che gli vengono contestati sostenendo che essere un collaboratore stretto di Saddam non voleva dire essere implicati nelle esecuzioni. Ha anzi ribadito di essere orgoglioso di aver servito il partito Baath di Saddam Hussein e di essere stato un membro del Consiglio del comando rivoluzionario. E proprio l'aver fatto parte del massimo organismo di potere ai tempi di Saddam rappresenta per il pubblico ministero la prova della responsabilità di Aziz. Il giudice che ha aperto il processo senza difesa, Rauf Rasheed Abdel Rahman, è lo stesso che ha condannato a morte Saddam Hussein.

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