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Avvenire Rassegna Stampa
21.05.2008 Il quotidiano cattolico non ha capito che è Hamas ad assediare Gaza
e colpevolizza Israele

Testata: Avvenire
Data: 21 maggio 2008
Pagina: 3
Autore: Luigi Geninazzi
Titolo: «Prigione Gaza»

Da AVVENIRE del 21 maggio 2008, l'ennesimo articolo sull'"assedio" di Gaza. che non spiega, per esempio, che Hamas ha colpito con un attentato il deposito carburante di Nahal Oz, dal quale Israele invia i rifornimenti e che attacca i convogli di rifornimenti costringendoli a tornare indietro (come denuncia l'autorità palestinese del petrolio).

Ecco il testo:

 F inora c’era rimasta al­meno l’aria da respira­re. Adesso ci stanno to­gliendo anche quella » . Impreca e tossisce il vecchio Ghassam, curvo sul suo bastone, mentre osserva il fumo nerastro e nauseabondo che esce da un auto sul viale Omar al­Muhtar. Da quando il governo i­sraeliano ha deciso di tagliare i rifor­nimenti di carburante, per rappre­saglia ai continui lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, la gente ha iniziato a mettere nel serbatoio l’olio usato per cuocere i falafel (le polpettine di ceci) invece del gasolio.
  Il traffico, un tempo caotico, si è dra­sticamente ridotto ma l’inquina­mento è altissimo. Scendi in strada e ti senti immerso in una friggitoria, avvolto da un odore acre che brucia in gola e toglie il respiro. Molti gira­no con mascherine di tela che co­prono naso e bocca, mentre in o­spedale sono centinaia i ricoveri per difficoltà respiratorie e infezioni pol­monari. Alla lunga, dicono i medici, la tossicità dell’aria potrebbe provo­care un drastico aumento dei casi di tumore.
  Sempre più lugubre e deprimente, Gaza affronta l’ennesimo giro di vi­te dell’embargo imposto da Israele con un rimedio che è peggiore del male, sprofondando nel disastro u­manitario. Da tempo questa striscia di sabbia e di miseria con la densità abitativa più alta del mondo (un mi­lione e mezzo di persone in 360 kmq) è una prigione a cielo aperto, con l’e­sercito israeliano che ha sigillato le frontiere e mantiene chiuso per i pa­lestinesi il valico di Erez, una barrie­ra di cemento, filo spinato e sofisti­cate apparecchiature di controllo. L’assedio si è fatto più duro da quan­do, nel giugno scorso, i fondamen­talisti di Hamas hanno preso il po­tere cacciando i rivali di al- Fatah, rompendo con l’Anp del presidente Abu Mazen e alzando il livello di scontro con «l’entità sionista».
  Alla pesante offensiva militare dello Tsahal che solo nell’ultimo anno ha provocato 454 morti, in gran parte civili, si è aggiunto il progressivo i­nasprimento del blocco economico, fino alla sospensione quasi totale delle forniture di carburante ed e­nergia. La benzina entra col conta­gocce, il 15 % rispetto al fabbisogno, ed al mercato nero un litro costa 25 shekel (5 euro). L’unica centrale e­lettrica funziona a singhiozzo per­ché manca il gasolio che viene da I­sraele, i black-out sono frequenti, i depuratori sono fermi e sul lungo­mare dove giocano i bambini l’olez­zo di fogna è insopportabile.
  A Sudanya uno dei quartieri più po­veri di Gaza City, c’è una lunga fila di ragazzi in attesa di riempire la bom­bola di gas. «Siamo qui da cinque giorni, anche di notte» dice Faisal che mantiene l’ordine. Dietro di lui s’alza un grido: «È tutta colpa di Ha­mas ».Viene subito zittito dai com­pagni: «Cosa dici, è colpa d’Israele». Finora non ci sono state proteste an-
ti-governative ma cresce il malumo­re tra la gente.
  Potrebbe esplodere fino a far cade­re il governo? «La popolarità di Ha­mas resta elevata ma potrebbe subi­re dei contraccolpi se continua que­sta terribile situazione – è la risposta di Omar Shaban, l’economista che dirige il centro studi «Pal-Think» –. E­scludo però una rivolta di massa. La storia c’insegna che l’embargo eco­nomico non ha mai funzionato con­tro i governi, ha solo fatto soffrire la popolazione civile». Shaban snoc­ciola dati impressionanti: ogni atti­vità produttiva è morta, la disoccu­pazione è al 60%, ed anche i dipen­denti pubblici fanno fatica a riceve­re un salario perché il governo, boi­cottato dall’Occidente, può contare solo sull’appoggio di Siria e Iran.
  Secondo la Banca Mondiale, nel 2000 il 30% delle famiglie di Gaza e­rano sotto la soglia di povertà, ora sono il 74%. Senza l’aiuto alimenta­re dell’Onu morirebbero di fame. «Forniamo il minimo essenziale ad un milione di persone ma incon­triamo sempre più difficoltà a causa del blocco israeliano. La scarsità di carburante tocca anche noi, i nostri programmi sono a rischio», ammet­te sconsolato Hamada al-Bayari, u­no dei coordinatori degli aiuti uma­nitari dell’Onu. L’anno scorso le Na­zioni Unite hanno sborsato 200 mi­lioni di dollari per mantenere in vi­ta Gaza, quest’anno ne occorrono 500. Solo interventi d’emergenza, i fi­nanziamenti su progetti (agricoli, in­dustriali, edilizi) restano bloccati. Nel porto israeliano di Ashdod 1800 container provenienti dall’Europa sono fermi da mesi. Un anno fa a Ga­za entravano 750 camion di merci al giorno (del tutto insufficienti), og­gi ne passano 60, quando va bene.
  Anche il sistema sanitario rischia il collasso. Israele permette solo il pas­saggio di medicinali. «Se un mac­chinario si rompe non possiamo ri­pararlo o acquistarne uno nuovo, ab­biamo 1500 pazienti in lista d’attesa per un intervento chirurgico all’e­stero, ci vogliono settimane e mesi per strappare un permesso. L’anno scorso 152 malati gravi sono morti per mancanza di cure adeguate. Manca spesso l’elettricità e le nostre riserve per il generatore autonomo sono ormai al minimo», dice Sami Hassan, direttore dell’ospedale civi­co «Shifa». Che conclude polemica­mente: «A che serve quest’accani­mento contro i più deboli?».
  Chiusi in trappola, ai palestinesi di Gaza non resta che scavare tun­nel sotterranei a Rafah, lungo il muro di confine con l’Egitto, ab­battuto a gennaio dalla furia po­polare e già ricostruito. Da qui pas­sa ogni tipo di merce, a comincia­re da armi ed esplosivi. Ad « Ha­masland » non c’è benzina, scar­seggiano i viveri ma abbondano kalashnikov e razzi Qassam. Così muore Gaza, vittima e complice di una tragedia che l’Occidente pre­ferisce
ignorare.

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