Giuditta Mario Brelich
Adelphi Euro 18
Non sono molte, ma nemmeno così poche a ben pensarci, le donne seducenti della Bibbia ebraica. Dentro il tessuto narrativo del testo sacro capita infatti di rado che sia l’altra metà del cielo a decidere le sorti. In questi rari casi, è quasi sempre questione di fascino. Rut la moabita si avvicina a Boaz che dorme: è il cuore della notte, quando una brezza fresca passa per l’aia e scompagina i sogni. Con il favore di un brivido addormentato, lei si stringe a lui. Qualche generazione più tardi, una Betsabea ignara fa il bagno sul tetto di casa, non per imprudenza ma perché è sicura che nessuno la possa vedere. Nessuno, tranne il focoso re Davide.
La storia continua e un’altra donna diventa regina. La bellezza di Ester, così come la sua identità di ebrea in esilio,sono un segreto racchiuso fra le mura del palazzo di Persia. Ester è bella, ma anche e soprattutto intelligente, profondamente intuitiva e altrettanto coraggiosa. A questo raro insieme di doti sono affidate le sorti di tutto il popolo d’Israele, con spettacolare (e inconsueto) lieto fine. Ma in questa lunga avventura che è la storia sacra in terra, c’è soltanto una donna che agisce – e salva – consapevole di avere per unica arma la propria bellezza. E due altre certezze: il dovere e la facoltà di usarla.
Il libro di Giuditta non è incluso nel canone ebraico, e anche i protestanti lo considerano apocrifo. Nel contesto di un’attendibilità storica già di per sé relativa come quella della Bibbia, sembra proporre al suo lettore una volontaria confusione di epoche – persiana, assira e babilonese. Come per condensare in un volto solo – quello del prepotente Oloferne – un insieme di nemici. E’ in sostanza una storia simbolica, persino nel nome della sua protagonista, che in ebraico significa molto semplicemente “Ebrea”. Eppure, è una storia vivida, impressionante.
A raccontarla è Mario Brelich, scrittore nato a Budapest nel 1910 e spirato a Nepi nel 1982. Tutta la sua opera narrativa rappresenta una sapiente ma anche lieve divagazione biblica. In “Giuditta”, ora proposto da Adelphi, Brelich prova ad entrare nell’animo della protagonista, poi ne esce e la osserva. La segue nella tenda di Oloferne, mentre consuma il necessario delitto. La bracca, però, anche nel suo passato di cui il testo appena accenna. Prova a capire che cosa abbia attraversato, per arrivare fino al momento in cui la storia comincia. E’ piacevolmente tormentato dalla complessità di Giuditta: una donna di cui si ripete la serietà, la castità consapevole – è vedova, e da quando ha perso il marito si è ritirata in una stanza della casa, domestico eremitaggio. Ma anche una donna, e in fondo l’unica in tutta la Bibbia, che sa di poter usare l’infallibile strumento della propria bellezza. Questa ferma convinzione la conduce al campo di battaglia.
Di Giuditta, insomma, strabilia la femminile versatilità, prima ancora che lo scenario sanguinolento in cui è sempre ritratta, con la testa colante di Oloferne fra le mani.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa