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Dolly City Orly Castel Bloom
Traduzione di Elena Loewenthal
Stampa Alternativa Euro 12
L’ultima generazione di autori israeliani, da Eshkol Nevo ad Alona Kimhi, la considera una maestra, la vera apripista di un rinnovamento nei canoni della letteratura del suo Paese; nel ’99 è stata inclusa tra le 50 donne più influenti d’Israele. Orly Castel-Bloom, nata e cresciuta a Tel Aviv, classe 1960, è già nota al pubblico per Parti Umane (e/o), surreale e sulfureo romanzo su un Israele nevrotizzato non solo dall’Intifada, ma dalla strana influenza di un clima impazzito. Alla Fiera del Libro di Torino ha presentato, tradotto per la prima volta in italiano e introdotto da Elena Loewenthal, il suo libro d’esordio del ’92, Dolly City. In una città grigia di svincoli, cunicoli e autostrade antitesi di ogni esotismo orientale, la protagonista Dolly è un medico che trova un neonato abbandonato e decide di adottarlo. Farà di Figlio il recettore di ogni sua ansia e follia, sottoponendolo a vaccini e operazioni, disegnandogli sulla schiena una mappa dell’Israele biblica, frugandolo e sezionandolo ma badando a tenerlo in vita. Favola cattiva, apologo distruttivo e ironico sulla maternità, è la storia di una malattia, quella “delle possibilità infinite, della incertezza del dubbio”. Mentre Dolly, nota Loewenthal, diventa la spietata controfigura della Yiddishe mame incapace per affetto di liberare i suoi figli, e insieme metafora di un paese ossessionato dalla sopravvivenza.
Lara Crinò
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