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Il Foglio Rassegna Stampa
18.05.2008 Il sistema di telecomunicazione di Hezbollah
collega installazioni militari, campi d’addestramento e il Libano alla Siria

Testata: Il Foglio
Data: 18 maggio 2008
Pagina: 2
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «La rete del terrore»
Dal FOGLIO del 17 maggio 2008:

"Così è approssimativamente come disegnavamo il Libano a scuola”, dice il ministro mentre sul foglio bianco compare la sagoma del piccolo stato levantino. Poi traccia un cerchio attorno a Beirut e lo collega a una linea che scende lungo la costa, verso il sud, si ferma un po’ a nord del confine con Israele per proseguire all’interno parallelamente alla frontiera, salendo quindi verso settentrione, nel cuore della valle della Bekaa per arrestarsi a nord, quasi in Siria. E’ la rete di telecomunicazioni in fibra ottica del gruppo d’opposizione Hezbollah, costruita in parallelo al network statale e considerata dal movimento infrastruttura militare vitale quanto i suoi missili. Dopo il conflitto del 2006 con Israele, il movimento sciita sostenuto da Teheran decide di ampliarla, preparandosi a una nuova guerra. Lo fa riarmandosi, come avvertono anche le Nazioni Unite, migliorando le proprie comunicazioni interne, aumentando il proprio controllo militare e politico sul territorio nazionale. Il sistema è stato il casus belli del golpe di Hezbollah in Libano. La reazione del Partito di Dio all’annuncio della rimozione del network dimostra che la questione del disarmo della milizia – al centro della risoluzione dell’Onu 1.559 recentemente ridiscussa dal Consiglio di sicurezza – non è neppure lontanamente nelle intenzioni del movimento. Oggi si contano ottanta morti, si parla di colpo di stato militare del Partito di Dio – che ha conquistato la parte ovest di Beirut per poi consegnarla all’esercito – e di ritorno alla guerra civile che ha insanguinato il Libano dal 1975 al 1990. Il ministro delle Telecomunicazioni Marwan Hamadeh, come riportato dal Foglio, aveva già sollevato la questione della rete di Hezbollah nell’agosto 2007. E’ seduto in una vasta e vuota sala conferenze del Grande Serraglio, l’imponente palazzo del governo, in stile orientale. L’edificio è blindatissimo da quando nel 2006 l’opposizione di Hezbollah, Amal e l’alleato cristiano Michel Aoun ha occupato la piazza Riad el Solh, antistante, in pieno centro città, con un campo di tende, oggi semi vuoto ma controllato da guardie 24 ore su 24. Tutte le finestre della sala sono oscurate da tende, per impedire a chiunque di spiare all’interno. “Quando lo abbiamo segnalato per la prima volta – dice al Foglio il ministro – il problema era limitato ai sobborghi sud di Beirut, ad alcune zone meridionali nei pressi di Taibe, sotto il fiume (il Litani, ndr). Poi c’era un cavo nel cuore della capitale. A quel punto abbiamo protestato: la loro sicurezza, quella di Hassan Nasrallah e delle sue guardie, necessita di un sistema limitato. Abbiamo detto loro: ‘Ok, ma rimuovete il cavo nel centro di Beirut’”. Lo hanno fatto, continua Hamadeh, membro della maggioranza del 14 marzo, obiettivo di un fallito attentato nel 2004 poco prima della strage che è costata la vita all’ex primo ministro Rafiq Hariri. Hanno tolto il cavo e per un po’ è tornata la calma. “Poi, pochi mesi dopo, abbiamo scoperto un programma intensivo per lo sviluppo di un grande network in fibra ottica, in certe aree appaiato a reti WiMax (tecnologia che fornisce dati wireless su lunga distanza, ndr). Inizia dai sobborghi attorno a Beirut, accerchia l’aeroporto, va giù lungo la costa, la costa dello Chouf, attraverso Sidone (nel governatorato del sud, ndr), Tiro (25 chilometri a sud), Nakura (appena sopra Israele), segue l’area di confine poi sale verso Nabatieh (capitale nel sud del Libano di Hezbollah), passa a Jezzine (area dove l’estate scorsa il Foglio ha indagato sulle vendite di terre cristiane e druse a uomini d’affari sciiti), lungo la valle della Bekaa, con linee nelle basi palestinesi, i campi palestinesi prosiriani e ancora a nord fino alla città (sciita) di Hermel, dove inizia a puntare verso ovest, nord ovest verso il monte Libano e le aree cristiane”. Il ministro dice che sono in corso scavi anche in direzione della Siria. L’intero programma è stato scoperto circa un mese fa. Secondo Hamadeh ci sono centraline nei villaggi e sarebbe stato costruito grazie al know how di ingegneri iraniani e attraverso gli aiuti finanziari dell’Organizzazione iraniana per la partecipazione alla ricostruzione del Libano e Jihad el Binaa. Il primo è un fondo molto attivo al nord e al sud del Litani che opera apertamente con finanziamenti di Teheran. A settentrione del fiume che divide in due l’area di controllo di Hezbollah l’estate scorsa era in corso un massiccio piano di ricostruzione della linea stradale e appesi sui pali della luce ogni pochi metri le pubblicità della società e delle sue imprese, accompagnate dalla bandiera iraniana: 37 centri educativi, 25 centri medici, 170 chilometri di strade secondarie, 510 di strade principali, 200 progetti di ricostruzione, 75 d’abbellimento. Jihad el Binaa è invece un organismo vicino al Partito di Dio che si occupa della ricostruzione dai tempi della guerra civile. “Così abbiamo scoperto una rete di telecomunicazioni iraniana, totalmente illegale e irrilevante ai propositi di sicurezza, molto più del necessario”, dice il ministro. Tre settimane fa, dopo negoziati, il governo chiede a Hezbollah di rimuovere subito il network, bollandolo come “illegale”. Il Partito di Dio si rifiuta confermando l’esistenza del sistema, definendolo una delle armi più potenti per la sua “resistenza” a Israele e il segretario generale Nasrallah, a due giorni dagli inizi degli scontri – mentre i suoi uomini armati erano già per le strade del centrale quartiere di Hamra, Rpg in spalla tra le vetrine serrate di Intimissimi e gli Internet cafè – minaccia di tagliare le mani a chiunque si azzardi a toccare il suo network. Mercoledì sera, 80 morti dopo, la decisione dell’esecutivo di revocare l’annunciata rimozione del sistema è stata salutata da colpi di kalashnikov sparati in aria dai sobborghi sciiti di Beirut. Prima di agire, il governo aveva riportato la questione sia ad alcuni paesi arabi sia all’Onu, dice Hamadeh, con una lettera del ministro al premier Fouad Siniora girata anche al segretario generale Ban Ki-moon. Tayyar.org, sito dell’opposizione di Michel Aoun, ha pubblicato il testo del documento che conferma quanto detto dal responsabile delle Telecomunicazioni e aggiunge un particolare: “Abbiamo scoperto collegamenti via cavo e wireless alla rete telefonica dei nostri vicini, la Repubblica araba siriana”. L’esecutivo decide di portare sul tavolo delle discussioni l’argomento proprio in concomitanza con una seconda crisi: quella dell’aeroporto. Il leader druso della maggioranza, Walid Jumblatt, rivela l’esistenza lungo la strada che porta allo scalo internazionale di Beirut di una rete di telecamere gestita da Hezbollah per controllare il traffico. La questione finisce sulle prime pagine dei giornali libanesi e il consiglio dei ministri decide di rimuovere dall’incarico il capo della sicurezza aeroportuale Wafiq Shouqeir, vicino al Partito di Dio. Il movimento vede in questa mossa e nella prima contro la rete di telecomunicazioni una “dichiarazione di guerra”, come ha detto Nasrallah. A scoprire l’esistenza di un container pieno di equipaggiamenti elettronici sono membri dell’esercito nazionale in pattuglia. Il quotidiano anNahar, vicino alla maggioranza (il direttore Ghassan Tueni, deputato, è stato ucciso nel 2005 da un’autobomba) ha pubblicato in aprile i documenti ufficiali relativi al dossier dell’aeroporto scatenando la crisi politica. Il ministro della Difesa Elias Murr solleva la questione il 30 aprile, l’esercito libanese conferma le informazioni e il file è trasferito al procuratore generale. Scrive il ministro al comandante dell’intelligence militare di fornire dettagli sulla questione delle telecamere digitali al primo ministro, ministro dell’Interno, consiglio di sicurezza centrale, procuratore generale. Il comando dell’intelligence militare risponde lo stesso giorno. Il rapporto racconta dell’esistenza di un container sospetto su un terreno al di fuori del perimetro dell’aeroporto in cui si trovano un centinaio di altri container. Attorno al 23 aprile una pattuglia dell’esercito, parte della sicurezza aeroportuale, scopre un nuovo container, il giorno dopo appare un buco sospetto sul lato di questo, il terzo giorno ufficiali sono mandati a ispezionare e notano una luce intermittente all’interno e pensano all’esistenza di una telecamera puntata sulla pista numero 17 dell’aeroporto. Un membro della sicurezza vede inoltre tre uomini in borghese maneggiare una telecamera. Di tutto questo è stato informato a più riprese il brigadiere generale Wafiq Shouqeir, comandante della sicurezza aeroportuale. La risposta della Difesa a questo rapporto è dura: in un’altra lettera chiede perché i ministeri competenti, l’intelligence o chi per esso non siano stati informati immediatamente e in dettaglio. Risponde il brigadiere generale, più tardi rimosso dall’incarico (e ora di nuovo in servizio): “Il 24 aprile il comando della sicurezza dell’aeroporto che ha il compito di monitorare e proteggere la parte nord ovest dello scalo è stato informato della presenza di uno strano corpo, forse una telecamera, in un container piazzato sul terreno di una compagnia sul lato che guarda l’autostrada di Ouzai e l’aeroporto internazionale Rafiq Hariri di Beirut. Il capo della sicurezza di Dahiyeh (quartiere a sud della capitale, sciita, roccaforte del Partito di Dio, ndr) ha preso i contatti necessari con Hezbollah per chiarire la questione e loro hanno accettato di visitare la mattina del 28 aprile, lunedì, il luogo sospetto. Così sono andati al container e hanno scoperto che appartiene a Jihad al Binaa (come detto sopra, istituzione vicina al Partito di Dio) ed è parte della sicurezza adottata dall’istituto per garantire che non passino ladri, facendo notare che il posto è al di fuori del perimetro di sicurezza dell’aeroporto”. Per il governo è troppo, e si apre un confronto tra due stati e due visioni dello stato parallele e inconciliabili. Per Hamadeh era venuto il momento di agire, sia sul progressivo aumento di controllo sull’aeroporto da parte di Hezbollah sia sulla rete di telecomunicazioni. Non farlo, ha detto, avrebbe significato il collasso dello stato. Meglio secondo il ministro affrontare un problema maggiore, come gli scontri, piuttosto che rinunciare alla sovranità del Libano, che però giovedì ha ritirato le due decisioni dopo l’arrivo di una delegazione della Lega araba venuta dal Cairo a favorire il negoziato tra le parti. La rete di telecomunicazioni di Hezbollah non era più un segreto da tempo. La sua reale estensione e il suo livello tecnologico lo restano. Timour Goskel, turco, ex portavoce di Unifil 1, ha passato molto tempo nel sud del Libano e ammette di aver visto ben poco delle attività sospette del Partito di Dio: “Hanno costruito intere città sotto i nostri piedi al sud”, ha detto al Foglio riferendosi alla rete di bunker sotterranei in piccola parte scoperta durante il conflitto del 2006 con Israele. “Ero al corrente che Hezbollah avesse un network di telecomunicazioni per ascoltare tutto, ma lo credevo limitato. Poi i miliziani si sono resi conto di aver bisogno di un sistema più sicuro e hanno iniziato a espanderlo. Sono diventati visibili quando hanno cominciato a lavorare non più soltanto nei loro settori, ma in aree cristiane e druse. Quello che ha infastidito il governo è l’estensione di questo network e il fatto che tocchi anche Beirut. Hezbollah è paranoico per quanto riguarda la propria sicurezza e ritiene che la rete nazionale libanese non sia abbastanza sicura, pensa anche che Israele tecnicamente sia capacissimo di distruggerla o bloccarla in meno di un quarto d’ora. Se non lo ha fatto in passato, o ha disturbato soltanto in parte le comunicazioni, è perché voleva essere in grado di ascoltare”. La guerra tra Hezbollah e Israele nell’estate del 2006 sembra essere il punto di svolta per i destini della rete di telecomunicazioni, considerata dallo stesso Nasrallah funzionale e vitale per la “resistenza” quanto l’AK47, simbolo del suo Partito. E’ parte integrante della sua struttura militare sviluppatissima. Hezbollah è stato già in grado nel 2006 di prevenire l’interruzione delle proprie comunicazioni da parte delle unità dell’esercito israeliano che lavoravano per bloccare il network. Il governo libanese sapeva bene, prima di prendere la decisione e annunciare la sua rimozione, cosa significhi il sistema per l’opposizione. Hamadeh parla di un network da 100 mila linee: fibra ottica unita a cavi di rame. Da notare che il network statale usa la fibra ottica soltanto in certe aree limitate a Beirut. I cavi di rame sono vulnerabili, le comunicazioni attraverso fibra ottica sono difficilmente intercettabili. Per garantire un’interruzione certa bisognerebbe avere i piedi sul territorio, individuare le linee e letteralmente tagliarle. Parte del network, rivela il sito di geopolitica Stratfor, si appoggerebbe in alcuni punti a quello statale, sfruttando infrastrutture già esistenti. Tra i membri di Hezbollah, spiega sempre Stratfor, prevale però l’utilizzo del cellulare, per comunicazioni sul campo di battaglia e di normale routine. Per questo esisterebbe anche una rete sperimentale di cellulari interna. Hamadeh racconta che il governo si è reso conto dell’estensione di questo network progressivamente: alcune municipalità, come quella di Zautar el Sharqiya nel sud e di Choueifat – villaggio diviso tra sciiti e drusi e uno dei luoghi delle violenze tra forze della maggioranza e Hezbollah nei giorni scorsi – hanno riportato lavori in corso di cui non sapevano il motivo. Spesso, le società coinvolte mostravano documenti del ministero dell’Energia, il cui responsabile, Mohammed Fneish, dimissionario all’inizio della crisi politica nel novembre 2006 con altri dell’opposizione, fa parte di Hezbollah. Racconta il ministro Hamadeh che il controllo statale su alcune aree è impossibile: quando un abitante delle zone del Partito di Dio ha un problema alla linea, la compagnia telefonica può inviare soltanto tecnici presenti su una lista fornita dal movimento. “Tra questo progetto e quello dello stato libanese c’è antinomia. Ci siamo detti: li affronteremo, se non oggi domani, se non domani tra tre settimane, se non fra tre settimane tra tre mesi, ma tutto questo stava per succedere. Se guardi una mappa, ti rendi conto che stanno creando uno stato nello stato, perché la rete è appaiata a installazioni militari, campi d’addestramento, istituzioni sociali: un intero stato”. Gli scontri di questi giorni seguono la logica della continuità territoriale, legando le aree miste sunnite e sciite a ovest di Beirut, conquistate dalle milizie e consegnate all’esercito, ai sobborghi a sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah; le terre dei villaggi drusi dello Chouf in cui si è combattuto confinano con la valle della Bekaa dove il Partito di Dio è fortissimo. La creazione di una cintura controllata da Hezbollah o dai suoi alleati e l’estensione della rete di telecomunicazioni dimostrano che i preparativi di guerra sono intensi. “E’ una battaglia lunga – conclude Hamadeh – va oltre le telecomunicazioni. E’ su chi controllerà questo pezzo di terra – dice battendo la mano sul suo disegno del Libano – Sarà Gaza, legato a Siria e Iran, o resterà Libano”

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