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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.05.2008 Christopher Hitchens ambiguo su Israele
non sa se debba essere difeso "in quanto parte dell'Occidente democratico"

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 maggio 2008
Pagina: 50
Autore: Christopher Hitchens
Titolo: «Perché anche Israele fa parte della diaspora»
Il CORRIERE della SERA del 15 maggio 2008 pubblica un ambiguo articolo  di Christopher Hitchens su Israele.
Ostile ai fondamentalisti islamici di Hamas che vogliono distruggere lo Stato ebraico, ma anche al sionismo, Hitchens non sa decidere se "Israele debba essere difeso in quanto parte dell'Occidente democratico" e scarica la domanda agli israeliani.
"Forse rimpiango che Theodor Herzl e Chaim Weizmann siano riusciti a persuadere ebrei e gentili a creare uno Stato quasi utopico, fondato da operai e contadini, sulle sponde orientali del Mediterraneo? "si chiede ancora Hitchens "Sì. E mi auguro forse che l'aviazione israeliana sia in grado di individuare e distruggere tutti gli arsenali di Hezbollah, di Hamas e della Jihad islamica? Sì. Non penso forse che sia ridicolo che tanti dottori e studiosi viennesi, russi e tedeschi si siano lasciati attirare dalle lusinghe demenziali delle cosiddette profezie, anziché contribuire a secolarizzare e riformare le loro stesse società? Certamente. Provo orrore e disgusto al pensiero che un'intera nuova generazione di arabi palestinesi stia per nascere nelle stesse condizioni di espropriazione e occupazione già patite dai loro nonni e persino trisavoli? Assolutamente sì."
Sentimenti e giudizi contrastanti ai quali la storia ha risposto da tempo: il rimpianto per la costituzione di Israele dovrebbe essere sostituito dal rimpianto per il fatto che lo Stato che avrebbe potuto dare rifugio agli ebrei perseguitati dal nazisti sia sorto troppo tardi. Le condizioni della "nuova generazione di arabi palestinesi " sono il frutto del rifiuto della pace e del compromesso con Israele dei capi della precedente generazione.
E che Israele debba essere difeso "come parte dell'Occidente democratico" ce lo dicono i nemci dell'uno e dell'altro, che li odiano per gli stessi motivi.

Ecco il testo:



A bbinare a Israele l'espressione 60˚ anniversario, nella stessa frase o nello stesso concetto, appare in qualche modo assurdo e insignificante. Le questioni sotto i nostri occhi sono ben più antiche e al contempo più urgenti e moderne e occorre chiedersi: il sionismo ha rafforzato o scalzato la sicurezza degli ebrei? Ha guarito la piaga secolare dell'antisemitismo oppure no? Fa parte del tikkun olam — il precetto che impone di curare e guarire il mondo — oppure ha causato un'altra lacerazione nel tessuto umano?
Gli ebrei si ritrovano da entrambi i lati di questa discussione, come sempre. Ci sono i rabbini cassidici che ritengono sacrilego lo Stato ebraico, ma solo perché un tale Stato non può esistere prima dell'arrivo del Messia (che potrebbe tardare ancora a comparire).
Ci sono gli ebrei di sinistra che provano vergogna che uno Stato coloniale si sia insediato sulle rovine di tanti villaggi palestinesi. Ci sono anche gli ebrei che collaborano con i cristiani ultraconservatori per scatenare l'Apocalisse, quando tutte le altre questioni diventeranno per forza irrilevanti. E, ovviamente, ci sono gli ebrei che continuano a sostenere a distanza Israele, oppure a vivere in quel piccolo Stato high-tech, sempre sull'orlo di una crisi di nervi, fatto bersaglio di molta violenza e crudeltà, che ha sempre ricambiato con altrettanta prontezza.
Nessun'altra questione mi riporta alla mente F. Scott Fitzgerald e il suo aforisma sulla necessità di vivere in palese contraddizione. Forse rimpiango che Theodor Herzl e Chaim Weizmann siano riusciti a persuadere ebrei e gentili a creare uno Stato quasi utopico, fondato da operai e contadini, sulle sponde orientali del Mediterraneo? Sì. E mi auguro forse che l'aviazione israeliana sia in grado di individuare e distruggere tutti gli arsenali di Hezbollah, di Hamas e della Jihad islamica? Sì. Non penso forse che sia ridicolo che tanti dottori e studiosi viennesi, russi e tedeschi si siano lasciati attirare dalle lusinghe demenziali delle cosiddette profezie, anziché contribuire a secolarizzare e riformare le loro stesse società? Certamente. Provo orrore e disgusto al pensiero che un'intera nuova generazione di arabi palestinesi stia per nascere nelle stesse condizioni di espropriazione e occupazione già patite dai loro nonni e persino trisavoli? Assolutamente sì.
Le questioni di principio e le questioni di crudo realismo hanno la tendenza a convergere, specie per chi non crede che il cielo abbia un ruolo da svolgere in queste faccende. Se non hai Dio dalla tua parte, perché diamine sei andato ad abitare a Gerusalemme? Israele non sarà lo Stato canaglia che molti lo accusano di essere — tra cui tanti pronti a giustificare i crimini di Siria e Iran — ma se poi corre il rischio molto peggiore di diventare uno Stato fallimentare? Meglio smettere di fare tante domande, a questo punto, e rispondiamo con chiarezza e onestà a una sola. Nel corso dei miei molti viaggi nella cosiddetta Terra Promessa, non sono mai riuscito a immaginare che uno Stato ebraico esisterà ancora tra cento anni. Uno Stato per gli ebrei, forse sì, ma non uno Stato ebraico… Per molto tempo la propaganda israeliana si è guardata bene dal far luce su questa distinzione cruciale. Se non si voleva altro che una striscia di territorio ebraico sulla costa e la pianura, come quella occupata dalla yishuv nell'epoca che ha preceduto la creazione dello Stato di Israele, la comunità internazionale avrebbe potuto facilmente situarla nel perimetro difensivo «occidentale », o delle Nazioni Unite, oppure, successivamente, della Nato. Eh no!, dicono i sionisti, sono finiti i brutti tempi quando eravamo tanto ingenui da affidare la nostra difesa ai gentili. Benone. Ma stiamo attenti al seguito. Israele oggi dipende in tutto e per tutto dai non ebrei per la sua difesa e per di più opprime milioni di altri non ebrei che lo odiano e detestano dal profondo del cuore. Per quanto tempo pensate che il primo gruppo di non ebrei continuerà a difendere Israele dal secondo gruppo, e dai loro ricchissimi e numerosissimi consanguinei? In altre parole, il sionismo non ha fatto altro che rimpiazzare e spostare la questione dell'antisemitismo. Ai miei occhi, la società israeliana non è l'alternativa alla diaspora. Essa è parte della diaspora. Per dirla schiettamente, esistono oggi tre gruppi di sei milioni di ebrei. I primi sei milioni vivono nella terra che il movimento sionista chiamava Palestina. Altri sei milioni vivono negli Stati Uniti. E gli ultimi sei milioni sono distribuiti tra Russia, Francia, Inghilterra e Argentina. Solo il primo gruppo vive giornalmente sotto la minaccia di razzi lanciati da un popolo che odia gli ebrei.
Dicono che l'ironia sia una specialità ebraica: non aggiungo altro.
L'ultimo argomento, tuttavia, mi porta a concludere con la seguente osservazione.
Chiunque pensi che l'antisemitismo sia una minaccia esclusivamente rivolta contro gli ebrei, si sbaglia. La storia ci dimostra qualcosa di assai diverso: l'odio per gli ebrei conduce infallibilmente alla barbarie e alla rovina, e gli Stati e i movimenti politici che lo promulgano sono condannati all'omicidio e al suicidio, come è stato dimostrato dalla Spagna cattolica e dalla Germania nazista.
Oggi la «repubblica islamica» dell'Iran è un incubo innanzitutto per i suoi stessi cittadini, e una minaccia pestilenziale per i suoi vicini. E lo spettacolo più deprimente e degradante dell'ultimo decennio, per tutti coloro che amano la democrazia e il secolarismo, è la degenerazione del nazionalismo arabo-palestinese nell'inferno teocratico e criminale di Hamas e della Jihad islamica, dove il sito web della fazione dominante di Gaza vanta addirittura l'appoggio del Protocollo degli anziani di Sion. Tale oscenità non è da giustificare con facili scuse di disperazione dettata dall'occupazione,
come altri fanatici religiosi quali Jimmy Carter — che è riuscito a incontrare i gangster di Hamas senza far menzione del loro manifesto razzista — vorrebbero far credere. (Allora le condizioni di vita a Gaza giustificano anche il massacro tra musulmani nel Darfur, in Iraq, in Pakistan o in Libano?). Questo punto cruciale invece costringe i non sionisti come me a chiedersi se, nonostante tutto, Israele debba essere difeso in quanto parte dell'Occidente democratico. È una domanda, questa, alla quale gli stessi israeliani non hanno ancora saputo dare una risposta pienamente convincente, e se davvero desiderano festeggiare il 60˚ — per non parlare del 70˚— anniversario del loro Stato, dovrebbero affrettarsi a trovarne una.

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