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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.05.2008 Una nazione che sa ridere di se stessa
un programma di satira è il più seguito della televisione israeliana

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 maggio 2008
Pagina: 19
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Golda, Dayan, Sharon: spopola la satira dei padri»
Dal CORRIERE della SERA del 15 maggio 2008:

GERUSALEMME — Ariel Sharon è «il grassone». Moshe Dayan promette alla giovane amante «a Yom Kippur ci divertiamo» (ed è la vigilia della guerra). Golda Meir fuma, tossisce, sputacchia disprezzo contro gli ebrei di origine araba. Benvenuti nella «Nazione Meravigliosa », come ogni settimana viene raccontata dal programma satirico più seguito dagli israeliani. Così celebre che un deputato ultraortodosso ha chiesto (e ottenuto) che venisse replicato, perché i religiosi non potevano vederlo al venerdì sera.
I sessant'anni dello Stato ebraico sono stati celebrati e sgretolati a risate da una puntata speciale: dal bianco e nero di David Ben Gurion che promette agli arabi «pari diritti in cambio di hummus » al colore di un Menachem Begin scolorito, che non è in grado di tenere sotto controllo Ariel Sharon. «Avevo detto al grassone di invadere il Libano solo per quaranta chilometri», dice Begin. «Quaranta chilometri all'ora e i carrarmati sono arrivati a Beirut, senza neppure prendere una multa», replica il generale. Che come Golda Meir è interpretato dall'attore Tal Friedman.
Per un politico (tra i viventi) entrare a «Eretz Nehederet» è un punto d'onore, si lasciano massacrare per un po' di notorietà in più. «Gli israeliani sono coinvolti ossessivamente nelle vicende del Paese — spiega David Alexander, docente di comunicazione, al New York Times —. Quando vogliono prendersi una pausa, si godono una parodia delle notizie che hanno discusso e seguito così intensamente».
Prima di registrare, il conduttore Eyal Kitzis non risparmia il pubblico. Chiede chi abbia una storia triste da raccontare. «Ho avuto un incidente», dice una ragazza in sedia a rotelle. «Io un cancro», interviene un'altra. «La nostra casa è stata colpita dai Qassam», annuncia una coppia. «Ecco i vincitori — commenta Kitzis —. Gli altri guariranno, per voi la soluzione è lontana». I leader scimmiottati dallo show parlano di pace, non sembrano disposti a fare concessioni per raggiungerla. «Basta con questa storia di restituire il Golan alla Siria», ansima il consigliere di Ehud Olmert. «Il primo ministro ha già prenotato una stanza in un lussuoso albergo sulle alture e se cancella adesso, non riavrà il deposito». Il cinismo e le rivalità politiche vincono sulla diplomazia. «L'ho sempre ripetuto — proclama il personaggio di Yitzhak Rabin, verso la fine della puntata —, la pace si fa con i nemici non con gli amici ». «Crede che Arafat la pensi allo stesso modo?», chiede l'intervistatore. «Stavo parlando di Shimon Peres», risponde il primo ministro.
Gli autori di «Una nazione meravigliosa » hanno tra i venti e trent'anni, una generazione cresciuta quando un accordo tra israeliani e palestinesi sembrava possibile. Ogni settimana mettono in scena la disillusione. I critici accusano lo show di essere qualunquista: «Le scelte e i bersagli sono dettati da ragioni commerciali non politiche». Altri ricordano programmi come «Nikuy Rosh» (Togliamoci il pensiero), così aggressivo contro il potere da essere considerato una delle cause della sconfitta dei laburisti nel 1977, la prima dalla fondazione dello Stato.
«Eretz Nehederet» frantuma i miti del passato. Un'ammiratrice chiede a Moshe Dayan di autografare un reggiseno tagliato a metà e lo indossa come una benda sull'occhio, ispirandosi al suo idolo. «Mi piace questa moda», commenta il generale-donnaiolo. Sotto satira, finisce anche la sua passione (non sempre legale) per i reperti archeologici: «Ho perso cinque giorni della Guerra dei Sei giorni perché non riuscivo a infilare la Sfinge egiziana nella mia jeep blindata».
( Ha collaborato Lisa Goldman)

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