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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Intervista a Sara Shilo 14/05/2008

Firenze, 13 maggio 2008

 

 

 

Sara Shilo è arrivata per la prima volta in Italia in occasione del sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato di Israele, per partecipare alla Fiera del Libro di Torino insieme a molti altri scrittori israeliani.

 

Ha recentemente pubblicato per la casa editrice Giuntina un romanzo dal titolo “La pazienza della pietra”, già recensito in queste pagine e che ha ricevuto premi prestigiosi in Israele.

 

 

 

Madre di cinque figli, Sara Shilo, di madre siriana e padre iracheno, è una donna di straordinaria ricchezza umana e di una semplicità disarmante.

 

Nata a Gerusalemme nel 1958, è cresciuta nel quartiere della German Colony, ha vissuto con il marito Avner e i figli presso la cittadina di Ma’alot per molti anni. Attualmente abita con la famiglia a Kfar Vradim.

 

Ha scritto libri per bambini e organizzato attività ricreative per l’infanzia la cui eco è presente in maniera incisiva nel suo primo romanzo.

 

Incontriamo la scrittrice a Firenze nella suggestiva cornice della Biblioteca delle Oblate.

 

Il ruolo dello scrittore nella difficile realtà israeliana, l’identità, la sicurezza del paese, l’utilizzo dell’ebraico sono alcuni dei temi che affrontiamo.

 

Cosa significa nel profondo essere uno scrittore israeliano? Vivere in un paese di conflitti, quanto influenza il suo modo di scrivere?

 

“Israele è un paese dove accadono molte cose e anch’io come altri scrittori israeliani ho bisogno di ricostruire la realtà dentro di me sotto forma di racconto e successivamente rielaborarla”.

 

Si può parlare di responsabilità per uno scrittore, in quanto testimone della realtà che vive?

 

“ A mio avviso la responsabilità di uno scrittore risiede nella sua capacità di essere preciso e di non lasciare entrare la politica nella storia che racconta. Credo che gli accadimenti politici debbano restare fuori dal racconto”.

 

Israele è un paese che ha bisogno di sicurezza perché da troppi anni vive sotto l’incubo del terrorismo. Che sicurezza offre ad uno scrittore la lingua, l’ebraico? Grossman dice che si possono usare parole del Talmud insieme allo slang estremo di Tel Aviv. E’ d’accordo con questa affermazione?

 

“Sì, anche a me piace molto giocare con la lingua nelle sue forme estreme. Del resto i miei genitori provengono dai paesi arabi e per me l’ebraico è visto nel suo legame con le lingue semitiche. Ad esempio sto studiando da quattro anni in un gruppo di arabi israeliani. Impariamo insieme il Corano e la Bibbia e altri testi di psicologia e filosofia. In questo momento stiamo studiando le storie di Giuseppe come vengono presentate sia nel Corano che nella Bibbia. Per me è molto emozionante osservare il legame che esiste fra le varie lingue: in un certo senso sono le mie radici benchè i miei genitori non mi abbiano mai parlato in arabo”

 

Quali scrittori hanno influenzato la sua scrittura oltre a Grossman, lo scrittore che l’ha incoraggiata a scrivere e del quale ha letto con grande interesse “Che tu sia per me il coltello”?

 

“Oltre a Ronit Matalon, mi ha influenzato molto la scrittrice Toni Morrison per la suo straordinario coraggio nel descrivere la realtà che la circonda senza inutili orpelli o abbellimenti”

 

La letteratura può essere una scuola di tolleranza? Amos Oz scrive che quando si entra nei panni dell’altro, si conoscono i suoi segreti, la sua vita privata, allora diventa molto più difficile odiare.

 

“Condivido questa affermazione in quanto per me è molto importante rispettare la libertà dell’altro. Devi essere in un determinato posto anche dal punto di vista emotivo per poterti aprire all’altro. Scrivendo mi avvicino agli altri, posso pensare a queste persone senza giudicarle, vale a dire entrare in empatia con il loro modo di vivere e di pensare”.

 

Nel suo lavoro di scrittrice quanta importanza ha la disciplina? Prima di scrivere elabora la struttura del romanzo oppure si lascia trasportare dall’ispirazione?

 

“Per me l’unica possibilità è quella di dedicarmi completamente al romanzo.

 

Non sempre mi è possibile però ci provo, anche quando in quel preciso momento non ho l’ispirazione. Di solito mi alzo verso le quattro del mattino e mi metto a scrivere tenendo un caffè in una mano e un tè nell’altra senza riuscire a decidere cosa prendere: una bevanda calmante oppure una che mi svegli?”

 

Simona Dadon è una bellissima figura di donna. Per delineare questo personaggio si è ispirata a qualche persona appartenente alla sua famiglia?

 

“Nella figura di Simona sono racchiuse una pluralità di persone, ma in realtà è un personaggio che mi è nato dentro e a poco a poco si è sviluppato”

 

Da dove è nata l’idea di scrivere un romanzo con questo originale impianto narrativo, facendo narrare la storia da quattro protagonisti?

 

“Prima di tutto mi hanno influenzato alcuni libri di A.B. Yehoshua, ma mi premeva anche mostrare la realtà attraverso punti di vista differenti; del resto in Israele la realtà non è sempre unica. E’ un paese dove accadono molti fatti e ognuno li vede da una prospettiva diversa. Anche per questo ho lasciato aperta la morte di Massud, il padre e re del falafel. Ad esempio il figlio Koby pensa che l’olio sia una sostanza sporca e che abbia fatto morire il padre; per questo pensa di vincere i terroristi con l’olio. Itzik invece pensa che la morte del padre sia stata causata da un’ ape e per questo alleva il falco Dalila, allo scopo di difendersi”

 

Nel libro Lei utilizza un ebraico scorretto, a volte di difficile comprensione. Perché?

 

“ Ho voluto delineare una realtà piuttosto arretrata sia dal punto di vista sociale che culturale. Ad esempio quello era l’ebraico che usavano le maestre nell’asilo dove ho insegnato. Quando avevo diciotto anni e facevo il servizio militare presso l’asilo comunicavo con loro utilizzando questo particolare linguaggio.

 

 

 

Sara Shilo è intenzionata a continuare a scrivere: le dinamiche che agiscono nell’animo femminile la interessano particolarmente come pure le domande che le donne si pongono e che richiedono risposte urgenti per riempire quel vuoto.

 

Un vuoto che per Sara Shilo si può colmare solo attraverso la scrittura.

 

 

 

Giorgia Greco

 


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