Parole malate contro gli ebrei e Israele intervista a David Meghnagi
Testata: Avvenire Data: 10 maggio 2008 Pagina: 28 Autore: Maurizio Cecchetti Titolo: «Parole malate per Israele»
Da AVVENIRE del10 maggio 2008:
« C i vuole un bel senso dell’umorismo per tollerare la perversione mentale che sta dietro ogni domanda che viene rivolta a uno scrittore israeliano il cui tono sarà sempre e comunque ineluttabilmente politico. A questo scrittore, chiunque esso sia, si chiede di rispondere da politico, lo si tratta come se fosse un politico, mentre è uno scrittore, uno che per natura dovrebbe avere uno sguardo universale. È la morte della letteratura». Parole forti quelle che lo scrittore e psicoanalista ebreo David Meghnagi ha pronunciato ieri affrontando un tema insolito e assai rivelatore del pregiudizio antisemita: la caricatura dell’ebreo nella storia, fino ai nostri giorni con l’iconografia satirica di marca islamica. Il tema, per la verità, era quello delle 'parole malate' e il sottotitolo portava il discorso sui 'pregiudizi e i luoghi comuni nel conflitto medio-orientale'. In realtà, Meghnagi ha tenuto la sua lectio magistralis con voce appassionata mettendo in luce l’antico intreccio culturale che dal Medioevo a oggi lega parole e immagini nella demonizzazione dell’ebreo. È anche un modo per elaborare il lutto, ha detto Meghnagi, che dirige un master della Didattica sulla Shoah, dove il tema della caricatura è entrato ultimamente con forza e sarà al centro del lavoro dei prossimi anni. Accanto alle 'parole malate', ha aggiunto, la storia ci ha consegnato anche 'immagini malate', e a supporto ha proiettato una sequenza di iconografie e caricature dell’ebreo. «Non è vero che l’antisemitismo sia un’invenzione cristiana, esisteva anche nel paganesimo; però – dice Meghnagi – nel Medioevo cristiano l’ebreo fa la sua apparizione come anti-tipo, come opposto, negazione dell’ideale di perfezione cristiano. La Sinagoga bendata diventa il negativo dell’immagine di Chiesa trionfante, ma questa immagine distorta non mira all’eliminazione dell’ebreo, lo preserva anzi, perché in realtà serve per dare più risalto al trionfo della verità cristiana». L’elemento razziale emerge più tardi, in un primo momento con l’inquisizione spagnola, spiega Meghnagi, e poi soprattutto con il Settecento e la modernità. In questa epoca di secolarizzazione, col declino dell’elemento religioso cristiano, l’antisemitismo si trova in una situazione nuova: «Venendo meno il tipo ideale, un tempo rappresentato da Cristo, cadendo il paragone religioso – dice Meghnagi – rimane soltanto l’elemento negativo della svalutazione fisica dell’ebreo. Ma è col nazismo che inizia quella demonizzazione dove l’ebreo perde ogni individualità specifica e viene contrapposto al tipo ariano, semplice, pulito, bello». Svolta decisiva, che porta quasi naturalmente alla tragedia della Shoah? «Beh, una volta che le persone perdono la loro individualità e diventano simboli – commenta Meghnagi – di loro si può fare ciò che si vuole». Se diventano numeri o cose, lascia intendere Meghnagi, le si può – nella logica della demonizzazione – torturare, uccidere, sterminare. E nel mondo arabo? Prevale anche lì questa visione antisemita? «Nel mondo islamico non esisteva una demonologia antiebraica come l’abbiamo conosciuta in Occidente. Esistevano episodi di intolleranza anche feroce, c’è il disprezzo e la svalutazione, ma la demonizzazione arriva più tardi, quando Israele viene visto come qualcosa che mette in discussione lo statuto delle terre arabe». La nascita dello Stato ebraico, insomma, diventa una crepa nel dominio arabo sul Medio Oriente… «Israele è visto come un atto di hybris », dice Meghnagi. Comincia così, nel lontano 1948 («che il mondo islamico fin dagli anni Cinquanta ha interpretato come sconfitta militare da addebitare alla corruzione dei regimi arabi»), la storia recente della demonizzazione ebraica da parte islamica che sfocia nelle vignette antisemite che sono state diffuse soprattutto in Iran. Ma è nel 1967 la vera nascita di questo antisemitismo: come poté un piccolo popolo di sopravvissuti tener testa agli eserciti arabi? È questa la domanda – puntualizza Meghnagi – che i popoli arabi si sono posti dopo quell’ennesima sconfitta. La verità è – e qui Meghangi si accorge di usare una parola ambigua e politicamente scorretta e subito se ne scusa – che «persero grazie all’abilità strategica dell’esercito israeliano e alla sua «Tra gli arabi l’odio contro gli ebrei è sorto dopo le vittorie militari del neonato Stato di Tel Aviv. E ora sono demonizzati» guerra preventiva». Quell’aggettivo, preventiva, che in sostanza è veritiero, ricorda la recente avventura bellica americana in Iraq e suona un po’ stonato. Meghnagi puntualizza di essere contro ogni guerra e di provare pena per ogni persona che viene uccisa, e poi nota che il momento più critico nei rapporti fra arabi e israeliani non fu quello, ma si verificò nel 1982 con la guerra del Libano dove per la prima volta – «fu un errore a mio parere, una mossa sbagliata di Israele» – il governo di Tel Aviv fece una guerra «non più per sopravvivere, ma per ridisegnare la geografia e gli equilibri territoriali del Medio Oriente». A questo è seguita l’altalenante disputa militare e politica che ha visto, da Madrid a Oslo, il susseguirsi conferenze e accordi per una pace mai raggiunta. Poi ancora guerre, quelle del Golfo e quelle che continuano a insanguinare il Medio Oriente, con l’odio montante degli integralisti islamici. Se «il sogno è una profezia non ancora matura – commenta Meghnagi, richiamandosi a Maimonide – abbiamo bisogno di sognare a occhi aperti per tenere accesa la speranza».
Per inviare una e-mail alla redazione di Avvenire cliccare sul link sottostante lettere@avvenire.it