lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
10.05.2008 Israele erede del colonialismo ?
la falsificazione storica di Jean Daniel

Testata: La Repubblica
Data: 10 maggio 2008
Pagina: 0
Autore: Jean Daniel
Titolo: «Il sogno della Terra Promessa 60 anni dopo»
La REPUBBLICA del 10 maggio 2008 pubblica in prima pagina un editoriale di Jean Daniel sui 60 anni di Israele.
"Da un lato" - scrive Daniel - "si può dire che Israele abbia contribuito al trionfo dell´uomo sulla maledizione genocida. Ma dall´altro, è accusato di perpetuare l´impresa di dominio e di alienazione condotta con suprema arroganza dagli imperi coloniali britannico e francese
Infine, oggi gli interessi che Israele si è rassegnato a servire quasi incondizionatamente, in nome della propria sicurezza, sono quelli dell´Occidente filoamericano."
Israele, in realtà, non ha mai compiuto imprese coloniali. Le sue guerre sono sempre state difensive, non aggressive.
Per sostenere la sua tesi, Daniel deve infatti operare delle vere e proprie falsificazioni storiche. Sostiene che l'odio arabo per Israele ha origine pù nella guerra di Suez del 56 che nel 48, quando se mai si dovrebbe risalire, almeno,  ai pogrom degli anni 20 e 30. Analogamente, l'islamizzazione della causa araba è collocata a dopo l'11 settembre e la guerra irachena. In realtà, già la guerra del 1948 fu una jihad contro un paese non musulmano. E l'11 settembre è stato ovviamente un effetto, non una causa, dell'ondata islamista.

Ecco il testo 


Se nel 2008 è ancora possibile porsi in un´ottica esclusivamente storica, cioè non di parte, la creazione dello Stato d´Israele di cui si celebra questa settimana il 60° anniversario merita senza dubbio di essere ricordata come uno degli eventi storici più straordinari e gravidi di conseguenze del XX secolo. Rare volte un territorio così esiguo ha suscitato tante passioni contraddittorie. Si è trattato a un tempo della creazione di una nazione, della nascita di una società democratica e della realizzazione di un sogno millenario. Avere tra le mani un progetto senza sapere se sarebbe sfociato in una compagine nazionale è stato motivo di esaltazione anche per George Washington. Ebrei e americani hanno in comune il mito della Terra promessa.
Ma era in gioco anche la sopravvivenza di un popolo che dopo essere sfuggito allo sterminio ha avuto ragione del rifiuto di tutti i suoi vicini. E c´è stata infine – lo si dimentica troppo spesso - la risurrezione miracolosa di una lingua, l´ebraico, che fino ad allora aveva trovato rifugio nella liturgia. I maggiori linguisti di oggi ci sanno dire quante lingue muoiono ogni giorno nel nostro mondo; ma nessuno di loro aveva mai previsto la risurrezione di una lingua morta.
Detto questo, va osservato che la celebrazione dell´anniversario coincide con un fenomeno non meno insolito di tutto il resto: non si erano mai ascoltate, in un periodo storico così breve, tante autocritiche da parte delle élite, tanti dubbi sulla propria identità o piuttosto sulla propria missione, un tale bisogno di confessare errori e persino crimini, nelle pagine di romanzi e saggi e soprattutto nei film. E´ senz´altro possibile che il Festival di Cannes incoroni un film israeliano dolorosamente audace. Tutto ciò va messo all´attivo della società israeliana.
Dopo aver salutato i suoi miracoli, va subito ricordato che l´attuale anniversario dello Stato ebraico è vissuto da tutte le società arabo- musulmane del mondo come la ricorrenza di un giorno di lutto. Il significato del termine arabo che designa questa data è catastrofe. Da un lato, si può dire che Israele abbia contribuito al trionfo dell´uomo sulla maledizione genocida. Ma dall´altro, è accusato di perpetuare l´impresa di dominio e di alienazione condotta con suprema arroganza dagli imperi coloniali britannico e francese
Infine, oggi gli interessi che Israele si è rassegnato a servire quasi incondizionatamente, in nome della propria sicurezza, sono quelli dell´Occidente filoamericano.
Da sessant´anni, questo duplice aspetto (emancipazione da un lato, colonizzazione dall´altro) non ha mai cessato di viziare tutti i dibattiti e di giustificare le iniziative più bellicose. Come si sa e si ripete spesso, l´origine dello Stato israeliano risale alla celebre dichiarazione di un ministro britannico, Lord Balfour, in favore della creazione di un «focolare nazionale ebraico». Si sa anche che senza la Shoah le Nazioni Unite non avrebbero accettato la spartizione della Palestina in due Stati; e che dopo quella decisione gli Stati arabi, molto più dei palestinesi, ancora privi di una società strutturata, hanno opposto un rifiuto drastico e costante al principio stesso dell´esistenza di uno Stato ebraico. Le prime vittorie israeliane su tutti gli eserciti arabi coalizzati hanno provocato un senso di umiliazione inalterabile, cementando un risentimento comunitario e favorendo il nazionalismo arabo sotto la guida del colonnello egiziano Nasser.
Ma un momento storico di cui si parla più raramente è il 1956, con l´evento che ha cristallizzato il nazionalismo arabo e anti-israeliano: la spedizione destinata in principio a punire Nasser per aver osato nazionalizzare il Canale di Suez, che ha visto Israele a fianco delle truppe britanniche e francesi. Se i britannici non ammettevano che qualcuno avesse la pretesa di nuocere ai loro interessi economici, e se i francesi sospettavano Nasser di fornire equipaggiamenti e armi agli insorti algerini, gli israeliani avevano tutto da guadagnare a interrompere il riarmo dell´Egitto, soprattutto da parte dell´Unione Sovietica. Così si è riformato il trio colonialista. Assai più che con la guerra dei Sei giorni del 1967, è stato a Suez, nel 1956, che l´odio verso Israele ha incominciato ad assumere un carattere realmente identitario nella mentalità araba. Tanto più che quella volta, grazie alle minacce dei sovietici e degli americani che hanno costretto al ritiro le forze israeliane e franco-inglesi, è stato Nasser ad avere partita vinta. Per dieci anni il nazionalismo arabo ha trionfato. Solo con la guerra lampo dei Sei giorni e le gesta degli aviatori israeliani (grazie ai Mirage forniti dai francesi), e dopo la sconfitta araba del 1967, il conflitto si è configurato più precisamente come israelo-palestinese. Il leader Yasser Arafat ha potuto giocare nel terzo mondo rivoluzionario un ruolo che né le sue ambizioni, né il suo genio strategico bastavano a giustificare. I palestinesi hanno occupato il Libano, dove hanno dato vita a uno Stato nello Stato, suscitando guerre civili e interventi stranieri. Questo per quanto riguarda le origini.
Ma per venire alla situazione attuale dobbiamo scavalcare interi capitoli di storia. I due fenomeni geopolitici di rilievo sopravvenuti dopo l´11 settembre 2001 e la guerra in Iraq sono da un lato l´islamizzazione dei nazionalismi arabi, e dall´altro la vera americanizzazione del sionismo. La guerra in Iraq è stata un disastro tale che occorrerà moltissimo tempo per superarne le conseguenze in Medio Oriente. Ha contribuito a estendere a livelli planetari l´antioccidentalismo e l´antisemitismo, oltre che a radicalizzare le società musulmane, già divenute fondamentaliste. Senza l´invasione dell´Iraq, l´Iran non sarebbe oggi l´arbitro della pace e della guerra, sia nel Vicino Oriente che in quello più lontano.
In ogni caso, non si può dire che quest´anniversario si celebri in un clima di pace o di speranza. Contrariamente a quanto ha dichiarato Condoleezza Rice, oggi si è ben lontani dal pensare che il conflitto israelo-palestinese possa placarsi entro la fine dell´anno, e del mandato di George W. Bush. Gli abbracci e talvolta anche i baci scambiati tra Ehud Olmert e il presidente dell´autorità palestinese Mahmud Abbas durante i loro incontri fanno parte di una messinscena rassicurante, anestetizzante e ingannevole. Succede in genere dopo che gli israeliani hanno ritenuto di non dover ottemperare alle ingiunzioni del grande fratello americano, che all´improvviso ha aggrottato le sopracciglia.
Finora nessuno dei dirigenti israeliani ha dimostrato l´intenzione di congelare le colonie di ripopolamento, e meno ancora quella di bloccare le attività edilizie al loro interno. La costruzione di un muro per separare Israele dai territori ha fatto diminuire gli attentati, rendendo la vita diventata più sopportabile. Oggi a Gerusalemme si sentono ripetere frasi del tipo di quella pronunciata a suo tempo dal generale Massu ad Algeri: «Dopo tutto, il terrorismo qui provoca meno morti di quanti ne facciano altrove gli incidenti stradali !!!».

Il popolo israeliano vuole la pace: lo dicono tutti i sondaggi. Ma non comunque sia, né con chiunque o in qualunque momento. E quando prospetta la creazione di uno Stato palestinese, c´è chi incomincia a temere che a conti fatti, rischierebbe di essere più pericoloso dei razzi lanciati dagli Hezbollah. Non c´è motivo per credere che le formazioni ebraiche del Likud o gli evangelici cristiani di Washington vogliano la costituzione di un nuovo Stato, che sarebbe comunque indotto a rimanere ostile a Israele.
D´altra parte, dal lato palestinese – sia per la scarsa autorità del presidente Mahmud Abbas, sia perché gli israeliani non gli hanno mai fornito i mezzi per affermarla – non si vede perché quella popolazione debba trovare più vantaggiosa la non violenza, anziché aderire alle iniziative o all´intransigenza di Hamas. Quest´ultimo movimento è ormai così radicato tra la popolazione che ha finito per strutturare la società palestinese. Si può indubbiamente temperare la sua posizione di rifiuto dello Stato di Israele con le proposte di tregua avanzate a suo nome prima dai turchi, e quindi dagli egiziani. Condoleezza Rice vorrebbe che George W. Bush sia in condizioni di enunciare l´accettazione di queste proposte da parte di Israele, se si troverà a Gerusalemme la settimana prossima per celebrare la commemorazione.
Traduzione
di Elisabetta Horvat

Per inviare una e-mail alla redazione de La Repubblica cliccare sul link sottostante

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT