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Informazione Corretta Rassegna Stampa
08.05.2008 Guida alla letteratura israeliana, seconda parte
di Giorgia Greco

Testata: Informazione Corretta
Data: 08 maggio 2008
Pagina: 1
Autore: Giorgia Greco
Titolo: «Guida alla letteratura israeliana, seconda parte»

GIORNALISTI E STORICI

La narrativa israeliana tradotta in Italia di cui ci siamo occupati finora, così ricca di storia e di vicende affascinanti, occupa inequivocabilmente un posto di rilevo.

 Negli ultimi anni, alcuni giornalisti israeliani sono approdati in Italia presentandoci i loro saggi, di notevole valore storico e sociale.

Per più di vent’anni AVISHAI MARGALIT, professore di filosofia all’università ebraica di Gerusalemme ha raccontato la complessa e spesso contraddittoria realtà di Israele ai lettori occidentali dalle colonne di importanti testate europee ed americane.

E da tale esperienza di testimone diretto ha preso forma questo libro (Volti d’Israele edito da Carrocci), al tempo stesso reportage, riflessione storica e cronaca culturale.

Come in un album di famiglia, scorrono nelle pagine di Margalit i ritratti di alcune delle personalità più rappresentative della politica israeliana da Ben Gurion a Rabin a Netanyahu.

Ma non mancano gli aspetti minuti e poco noti della vita quotidiana: i difficili rapporti con il mondo arabo, il ruolo di Gerusalemme, l’eredità del sionismo, le domande poste dall’Olocausto e il dovere della memoria.

Ha ricevuto nel 2007 da Ehud Olmert l’Emet Prize per il suo impegno in ambito politico e filosofico.

  Un altro giornalista di notevole spessore è TOM SEGEV, figlio di profughi tedeschi, nasce a Gerusalemme nel 1945.

Editorialista di Haaretz, uno dei più prestigiosi quotidiani del paese, è conosciuto in Italia per il libro Il settimo milione, edito da Mondatori.

Sulla base di diari, interviste e documenti Tom Segev ricostruisce l’atteggiamento tenuto dallo Yishuv nei confronti della Germania nazista, affrontando anche temi molto delicati della storia israeliana: il drammatico incontro fra i superstiti dell’Olocausto e una società che andava costruendo sé stessa intorno al culto dell’eroismo e dell’uomo nuovo, i progetti di vendetta contro gli ex nazisti e i negoziati segreti con la Germania per giungere ad un accordo sulle riparazioni di guerra.

  Professore all’Università Ben Gurion di Beersheba, BENNY MORRIS è uno fra i più importanti storici israeliani e conosciuto in Italia per saggi quali Vittime, Mossad e, l’ultimo, Esilio: Israele e l’esodo palestinese 1947-49 tutti pubblicati  da Rizzoli.

Già nel novembre del 2001 in un’intervista rilasciata ad Angelo Pezzana per il quotidiano Libero aveva espresso chiaramente le sue opinioni sulla scarsa affidabilità di Arafat e del suo entourage come partner di pace, sulla necessità della separazione fra i due popoli, tesi anche successivamente più volte ribadite.

Questo suo ultimo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1988 e che inizialmente nasce da un’idea di Morris di scrivere un libro sulle Palmach, narra le vicende dell’esodo palestinese collocandosi in un momento storico particolarmente grave per la sopravvivenza dello stesso yishuv: lo scontro armato che portò gli eserciti di cinque Stati arabi ad invadere la Palestina nel maggio del ‘48 con la chiara intenzione di buttare a mare gli ebrei e distruggere il neonato Stato di Israele.

  Recentemente è stato pubblicato con Rizzoli La prima guerra di Israele nel quale Morris ricostruisce gli avvenimenti di questo conflitto.. Dopo un capitolo introduttivo sul sionismo e l’immigrazione degli ebrei in Palestina, prima della seconda Guerra Mondiale, Morris si sofferma a delineare con estrema chiarezza e padronanza delle fonti storiche le fasi che vanno dalla risoluzione di spartizione del 29/11/1947 alla guerra civile tra ebrei ed arabi palestinesi, e dall’invasione panaraba del maggio 1948 agli accordi di armistizio del gennaio-luglio 1949.. E’ una narrazione avvincente, accurata ed equilibrata nella quale però non mancano spunti polemici.

 Recentemente MICHAEL BAR-ZOHAR ha pubblicato una straordinaria biografia di Shimon Peres edita da UTET.

Storico, narratore e biografo di David Ben Gurion, Michael Bar-Zohar è nato in Bulgaria ed è immigrato in Israele nel 1948. Ha frequentato gli studi di economia e relazioni internazionali alla Hebrew University di Gerusalemme, oltre che l’Istituto di scienze politiche all’Università di Parigi.

Eletto alla Knesset nel 1981, membro del partito Laburista ha lavorato a fianco di Shimon Peres distanziandosene però per divergenze di natura strategica. Ha sempre appoggiato Peres nella sua ricerca della pace , pur opponendosi apertamente alla sua politica nel 1986 e nel 1990. Nonostante le discussioni e gli scontri il legame fra Bar-Zohar e l’attuale presidente di Israele è sempre rimasto solido. Nel corso di una conversazione nel 2001 durante la quale si cominciò a parlare di scrivere una sua biografia, Peres disse : Mi piacerebbe che il mio biografo fosse lo stesso di Ben Gurion.

Ed è davvero una storia straordinaria quella che Bar-Zohar dedica a Shimon Peres, attraverso una biografia documentata e avvincente, capace di restituirci il percorso compiuto da un leader spesso definito “perdente” e invece destinato a identificarsi con questi primi sessant’anni della tormentata vicenda israeliana,

 ELIE BARNAVI  è uno storico israeliano nato nel 1946 a Bucarest e trasferitosi in giovane età in Israele. Dopo aver terminato gli studi di storia e scienze politiche  all’università ebraica di Gerusalemme, a quella di Tel Aviv e alla Sorbona, diventa professore di storia moderna dell’Occidente all’Università di tel Aviv dove dirige il centro di ricerche internazionali. Ambasciatore di Israele in Francia dal 2001 al 2002, ha pubblicato vari libri fra cui “Storia di Israele . Dalla nascita dello Stato all’assassinio di Rabin “, un Atlante storico del popolo ebraico e il recente “Religioni assassine”.

Il libro che si presenta come una lettera aperta ai lettori affronta l’argomento dei pregiudizi religiosi. Per Barnavi la guerra è un evento in corso, non un’opinione e l’aggressore ha un nome preciso: fondamentalismo islamico. Lo storico si sprona a sbarazzarci dell’”illusione del multiculturalismo” e di espressioni improprie come “dialogo di civiltà”. E’ importante invece “riabilitare l’eredità dell’illuminismo” perché è da lì che abbiamo pescato l’asso vincente: la libertà dell’individuo come frontiera assoluta fra civiltà e barbarie.

 Prima di affrontare la poesia israeliana vorrei ricordare, da ultimo, uno scrittore che ha il merito di aver fatto conoscere la letteratura italiana nel suo paese. Ha tradotto in ebraico fra gli altri, Tabucchi, Ginzburg, Leopardi, Pasolini,  De Luca; dal 2003 insegna letteratura e lingua ebraica all’Università di Siena, ALON ALTARAS, nato a Tel Aviv nel 1960, è anche poeta e ha pubblicato in Italia due romanzi per la casa editrice Voland: Il vestito nero di Odelia e La vendetta di Maricika.

Nel primo, Altaras si concentra su una narrazione intimista e ci regala una storia contemporanea che ritrae un Israele diverso da quello assorbito quotidianamente dai media; una storia sospesa tra Tel Aviv e Venezia in cui verità e menzogna si intrecciano e la follia si insinua nei gesti quotidiani, fino a inghiottire la vita stessa di Odelia.

La vendetta di Maricika è una piccola grande storia al femminile, il ritratto affettuoso di una donna semplice e forte che sa affrontare con coraggio le insidie della vita: la delusione per il suo matrimonio, le speranze e le aspettative che si infrangono. Un romanzo profondo che vuol anche essere un tributo dell’autore alla madre.

 POESIA ISRAELIANA
Scritta senza interruzioni fin dai tempi biblici, la poesia ebraica racchiude al suo interno  sia influenze interne che tradizioni esterne. Attraverso la poesia il popolo d’Israele ha espresso le proprie posizioni culturali e politiche, ha testimoniato i sogni  e la propria coscienza collettiva, ha rivelato la sua anima.
Le tematiche affrontate spaziano dall’epica nazionale all’orgoglio della creazione dello Stato, dall’amore per la terra all’introspezione psicologica, dal lutto per le guerre al richiamo dei sensi, dalla voglia di normalità al dissenso politico: una miscellanea di emozioni e sentimenti che rispecchiano la straordinaria complessità della società israeliana.
Se la poesia del passato ha visto emergere dapprima figure di grande rilievo come Chaim Nahman Bialik e Saul Techernichovsky e, successivamente, quei poeti che precedettero la fondazione dello Stato: Avraham Shlonsky e Natan Alterman, è solo verso la metà degli anni ’50 che appare un nuovo gruppo di giovani poeti per i quali l’ebraico è la lingua madre: Yehuda Amichai, Natan Zach, Dan Pagis e David Avidan i quali optano per un linguaggio poetico più semplice, legato a espressioni e frasi quotidiane, verso libero e poesia sperimentale.

 I poeti israeliani sono stati la punta di lancia del percorso verso il rinnovamento della lingua ebraica parlata e fino alla metà del XX secolo la loro poesia è stata celebrata sia per meriti intrinseci, sia come successo nazionale.

Un grande poeta, autore anche di libri per bambini è NATHAN ZACH.

In Italia è apparsa una raccolta di racconti per bambini intitolata L’omino del pane e altre storie per le edizioni Donzelli.

Nato a Berlino nel 1930 Nathan Zach arrivò in Israele quando era bambino.

Oltre che influente critico e traduttore Zach è uno dei maggiori esponenti di quella che è stata definita la new wave della poesia israeliana nata intorno agli anni 50.

La sua poesia è caratterizzata da uno stile ironico e colloquiale, lontano da ogni sentimentalismo e da ogni retorica. Per questo motivo molto spesso è stato avvicinato a Yehuda Amichai - un altro importante poeta israeliano – anche se nello stile emergono alcune differenze.

Zach è riflessivo, più filosofico, mentre Amichai è stato definito da alcuni critici più immediato e carnale.

Inoltre, mentre Amichai ha saputo ben interpretare i sentimenti e gli umori dell’opinione pubblica israeliana, tanto da essere definito poeta nazionale, Zach ribadisce nelle sue liriche la propria condizione di “uomo di viaggio” e di apolide, condizione iniziata nell’infanzia e portata avanti nell’età adulta.

Nel 2000 per l’Antologia Sfavorevole agli addii (edizioni Donzelli) ha ricevuto il premio Internazionale di Poesia Camaiore.

 Avraham Yehoshua lo ha paragonato a Eugenio Montale e come il grande poeta italiano anche YEHUDA AMICHAI rappresenta un degno candidato al Nobel per la letteratura.

Per Shimon Peres la lirica di questo poeta ha predisposto i cuori degli israeliani alla pace e alle concessioni ai palestinesi.

Non a caso Rabin lesse una sua poesia durante la cerimonia di conferimento del premio Nobel per la pace.

Yehuda Amichai, considerato uno dei maggiori poeti israeliani della seconda metà del Novecento e il più rappresentativo e profondamente radicato nella realtà israeliana, è conosciuto in Italia per la raccolta di poesie Ogni uomo nasce poeta (Di Rienzo Editore).

Nato in Germania nel 1924,  emigra giovanissimo in Israele stabilendosi a Gerusalemme con la sua famiglia dalla quale riceverà un’educazione ebraica ortodossa. E’ morto nel settembre del 2000.

Della sua esperienza nell’esercito inglese e nelle file del Palmach durante la Guerra di Indipendenza d’Israele resteranno tracce dolorose e umanissime nella sua poesia.

Amichai ha contribuito in maniera decisiva a ciò che è stata acutamente definita la “democratizzazione” della poesia ebraica, ossia l’adozione di una gamma espressiva più variegata, in cui la lingua e le immagini della vita di ogni giorno svolgono un ruolo di primaria importanza.

Tuttavia la sua apertura al contemporaneo non ha determinato un taglio netto con le fonti tradizionali della cultura e della lingua ebraica: allusioni bibliche così come situazioni e immagini della vita ebraica tradizionale hanno rappresentato un arricchimento per la sua ispirazione.

Ed è anche in questa sintesi di israelianità e di ebraicità, di cultura laica e memoria religiosa che va ricercato il segreto della sua popolarità.

L’uso fra l’altro di un linguaggio non ermetico che fa presa sui problemi generali più scottanti della realtà israeliana ha contribuito a consolidare negli anni la fama letteraria del poeta in Israele e all’estero.

 Per chi ama la poesia israeliana vorrei segnalare un testo appena pubblicato da Einaudi con testo ebraico a fronte: Poeti israeliani a cura di Ariel Rathaus

Nato a Roma ha insegnato a lungo letteratura italiana presso la Hebrew University di Gerusalemme ed è in particolare un grande studioso di poesia d’Israele. Nella sua introduzione Rathaus sottolinea giustamente come il lungo processo dell’emancipazione ebraica, avviatasi dall’epoca napoleonica in poi con alti e bassi, avrebbe potuto costituire la via più naturale per l’estinzione della poesia ebraica tradizionale. E invece il paradosso vuole che tale fase storica sia divenuta l’occasione per un grande risveglio letterario, anche in versi.

Questa bella antologia copre soltanto gli ultimi vent’anni dell’attività poetica in Israele. Un Paese dove, per inciso, di poesia se ne pubblica persino sulle pagine culturali dei quotidiani a grande diffusione. Ma nella realtà questo volume di testi, con corredo critico, rispecchia fedelmente molte generazioni letterarie. Offre uno spettro ampio che spazia dai più celebri poeti contemporanei, Nathan Zach, Chaim Gur, arrivando anche agli autori di ultima generazione ( Rami Saari, Shimon Adaf).

Rende con fedeltà la natura composita della società israeliana, offrendo al lettore componimenti ad alto tasso erotico (la serie Ziva di Shabtai) ma anche versi di un grande talmudista come Admiel Kosman.


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