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La Stampa Rassegna Stampa
05.05.2008 Trattare con l'Hitler di Teheran, oppure bombardarlo, ma solo dopo che avrà attaccato Israele
a confronto le politiche estere di Barack Obama e di Hillary Clinton

Testata: La Stampa
Data: 05 maggio 2008
Pagina: 15
Autore: George Stephanopoulos - Tim Russert
Titolo: «Ahmadinejad sappia come noi ci muoveremmo - Serve un dialogo diretto con il regime iraniano»

La STAMPA del 5 maggio 2008 pubblica due interviste ai candidati democratici per le elezioni presidenziali americani sulla politica che adotterebbero  verso l'Iran in caso di vittoria.

Ne risulta uno scenario non molto rassicurante. Barack Obama, esprime un incomprensibile scetticismo sulla corsa all'atomica dell'Iran. Scetticismo incomprensibile, visto che non si vedrebbe per quale motivo il regime dovrebbe nascondere alla comunità internazionale ciò che avviene nelle sue centrali nucleari se il suo scopo non fosse quello di violare il trattato di non proliferazione. Nè si capirebbero le ricerche missilistiche parallele a quelle sul nucleare. Inoltre, la volontà aggressiva di Teheran è confermata dalle molte dichiarazioni ufficiali che invocano la distruzione di Israele.
Nelle parole di Obama, comunque, c'è di peggio. Ovvero la riproposizione della strategia dell'appeasement nei confronti del regime degli ayatollah. Strategia già messa alla prova e già evidentemente fallita: è servita solo a concedere tempo per la realizzazione dei piani atomici.

La linea di Hillary Clinton è apparentemente migliore: punta sulla deterrenza, minacciando l'Iran di distruzione se attaccherà Israele. Il problema è però che la deterrenza funziona con controparti che agiscono secondo i consueti criteri di razionalità. L'ideologia apocalittica e il culto della morte della Repubblica islamica potrebbero rendere del tutto illusoria la prospettiva di scoraggiare un attacco a Israele minacciando una ristorsione. Molto probabilmente Ahmadinejad e Khamenei, così come il "pragmatico" Rafsanjani, che lo dichiarò apertamente, sono disposti a vedere morire milioni di iraniani per distruggere Israele. Così stando le cose, è evidente che una politca ragionevole non considerare un'alternativa accettabile che l'Iran si doti di una bomba atomica. Ahmadinejad deve essere fermato prima che sia in condizione di "premere il bottone", non dopo, attraverso una dissuasione che quasi sicuramente non potrebbe funzionare.

Esiste un candidato alla presidenza degli Stati Uniti che ha un buon programma per questo obiettivo ?

Ecco il testo dell' intervista a Hillary Clinton:

Signora Clinton, lei propone il ritiro delle truppe dall’Iraq. Ma senza quell’appoggio che cosa farebbe, se l’Iran invadesse l’Iraq?
«Io non credo che lo farà mai. E se lo farà, sarà una decisione del futuro. Noi non terremo basi permanenti in Iraq né lo occuperemo per decenni solo perché un qualche evento oggi aleatorio potrebbe verificarsi un domani. A preoccuparmi, piuttosto, è la nostra incapacità di affrontare i problemi nella loro globalità. L’Afghanistan sta per finire nelle braccia dei taleban e di Al Qaeda. E’ lì che dovrebbe concentrarsi la nostra attenzione».
Ma lei ha detto che, se Teheran usasse l’atomica contro Israele, per rappresaglia si dovrebbe distruggere l’Iran.
«L’ho detto e non mi pento».
Alcuni nostri esperti di Iran dicono che questa sua posizione indebolisce proprio quegli iraniani che vorremmo sostenere, cioè quelli che vogliono la democrazia e una alleanza con gli Stati Uniti.
«Gli esperti che consulto io non dicono nulla di tutto ciò. La mia strategia è in due punti. Primo: dobbiamo fare il possibile per impedire all’Iran di avere la bomba atomica. E lo faremo. Secondo: vogliamo che dal popolo salga un chiaro segnale al leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, e al presidente Ahmadinejad, che continuare sulla strada delle armi nucleari non è una buona scelta per l’Iran. Proprio l’idea che loro traducano in azione i loro assurdi propositi, come quello di cancellare Israele dalla faccia della terra, significa che noi dobbiamo dire loro ben chiaro che questo non avverrà senza conseguenze».
Lei ha detto che dovremmo estendere la deterrenza nucleare ad altri Paesi della regione: Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi. Ma questo non finirebbe col richiedere una presenza permanente degli Stati Uniti in Medio Oriente non meno ampia di quella attualmente dispiegata in Iraq?
«Ma noi già abbiamo una serie di basi permanenti. Siamo in Kuwait, siamo nel Bahrein. La Turchia è un alleato Nato. Abbiamo nella regione una presenza che precede il nostro coinvolgimento in Iraq, voluta per essere cuscinetto e contrappeso ai piani di Saddam e a quelle che oggi sono le minacce dall’Iran».
Dunque quelle basi fanno parte della deterrenza contro Teheran.
«Certo: se hai una base in questa o quella capitale del Golfo, non permetterai che l’Iran metta le mani sulla bomba. Userai la tua».
Una politica del genere implica che una bomba lanciata sul Golfo viene considerato come una sganciata su Indianapolis. E’ una politica saggia, questa?
«Questa è stata la logica della Guerra Fredda».
Ma presumeva che le persone fossero razionali. Lei ritiene che il Ahmadinejad lo sia?
«Questa è la ragione per cui deve sapere quale sarà il nostro atteggiamento. Noi non sappiamo esattamente chi prende le decisioni in Iran. Sappiamo però che gli iraniani sono per lo più razionali. E’ gente che studia, lavora, ama. Dobbiamo sostenerli, ma anche avvertirli che le decisioni dei loro leader non sono senza conseguenze».
Chi ha i requisiti per finire sotto l’ombrello nucleare Usa? Che deve fare per finire sotto la protezione americana?
«La mia teoria è che dobbiamo impedire di avere la bomba atomica anche agli Stati della regione: è già pericoloso che finisca nelle mani di uno Stato, sarebbe una catastrofe se finisse in quelle dei terroristi. L’Iran è uno Stato. Con gli iraniani la deterrenza e la minaccia di rappresaglia possono funzionare. Con Al Qaeda no. Così noi possiamo dire all’Iran: non pensare di procurarti quell’arma. Non mi interessa chi prende le decisioni, sappiate solo quali sarebbero le conseguenze. Entrate piuttosto nella comunità mondiale. Siate parte dell’economia globale. Siate con noi, che cerchiamo di costruire un futuro più prospero e pacifico».
Copyright Abc’s «This week
with George Stephanopoulos»

E di quella a Barack Obama:


L’amministrazione pensa ad attacchi mirati contro le fabbriche in Iran dove si fanno i missili che vengono poi mandati in Iraq.
«Vorrei vedere le prove, e i piani esatti. Ho sempre detto che, come comandante in capo, non escluderei le opzioni militari e dovremmo avere pronti i piani per diverse evenienze. Ma penso che l’Iran sia stato il maggior beneficiato strategicamente dalla nostra invasione dell’Iraq. Dobbiamo riequilibrare le nostre posizioni strategiche nella regione. In primo luogo dobbiamo ritirare dall’Iraq le nostre truppe combattenti. Li abbiamo messi a rischio, abbiamo alimentato i sentimenti antiamericani, ci siamo distratti dal vero fronte di battaglia, in Afghanistan contro Al Qaeda. Se dobbiamo pensare a un piano per quando non occuperemo permanentemente l’Iraq, dobbiamo spingere gli iracheni a giungere a un compromesso che includa l’Iran, la Siria, l’Arabia Saudita, La Giordania, la Turchia e le altre potenze regionali, e in questo caso saremo in una posizione più favorevole per trattare con la minaccia a lungo termine dell’Iran e soprattutto delle armi nucleari. Dobbiamo parlare direttamente con l’Iran, mandare un chiaro messaggio che devono fermarsi, smettere con il loro eventuale finanziamento alle milizie irachene, ma anche di Hamas e Hezbollah, cedere sulle armi nucleari. Ci saranno conseguenze per queste azioni, ma ci saranno anche carote e possibili benefici se cambiano comportamento. Questo è il tipo di cambiamento nella nostra politica estera che vorrei portare come presidente».
Hillary ha detto che, se l’Iran fa un attacco nucleare a Israele, gli Usa «lo annienteranno».
«Non penso sia il linguaggio che ci vuole adesso, sa di George Bush. Abbiamo avuto una politica estera di minacce e spade sguainate, e di decisioni strategiche che alla fine hanno rafforzato l’Iran. L’ironia è che la Clinton ha più volte detto che «non bisogna fare speculazioni sull’Iran», mi ha rimproverato un paio di volte per questo, e poi proprio pochi giorni prima delle primarie, sceglie questo linguaggio».
Ma lei cosa farebbe?
«Israele è il più importante alleato che abbiamo nella regione, non c’è dubbio che agiremo adeguatamente in caso di ogni attacco. Ma è importante far vedere che noi cambiamo linguaggio, abbandoniamo la diplomazia da cowboy, o l’assenza di diplomazia di Bush».
Clinton ha anche chiesto un «ombrello di deterrenza» che protegga non solo Israele, ma anche altri Paesi.
«Presuppone una circostanza che non vorrei presupporre, e cioè che l’Iran si doterà di armi nucleari. E’ mia intenzione garantire che non accada».
Pensa che dovremmo mandare uomini e donne americane a difendere i sauditi dall’Iran?
«Ovviamente, abbiamo interessi di sicurezza nazionale nelle forniture di petrolio. Come presidente, terrei conto di questo fattore. Ma per ora non parlerei di un’estensione del nostro ombrello nucleare e di qualche alleanza con l’Arabia Saudita sul modello dei Paesi della Nato o di Israele».
Afghanistan: aumenterebbe le truppe per eliminare i taleban una volta per tutte?
«E’ quello che dobbiamo fare. E’ il primo motivo per il quale mi sono opposto alla guerra in Iraq».
Se vince in Indiana e North Carolina, la corsa è finita?
«No, fino a che il senatore Clinton non deciderà di uscirne o fino alla fine di tutte le primarie».
Se perde, ne risente molto?
«No, sono convinto che alla fine sarò io il candidato democratico. Voglio che a novembre vinca un democratico, e farò campagna per la Clinton. Ma sono sicuro di offrire ai democratici migliori chance di vincere».
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