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La Stampa Rassegna Stampa
30.04.2008 L'Iran ai confini di Israele
intervista a Benyamin Netanayahu

Testata: La Stampa
Data: 30 aprile 2008
Pagina: 12
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Ora Israele confina con l'Iran»
Da La STAMPA del 30 aprile 2008:

Benyamin Netanyahu siede alla scrivania del suo ufficio alla Knesset, il parlamento israeliano sui colli di Gerusalemme. Completo scuro, camicia celeste, sorriso assertivo di chi è pronto a traslocare al piano nobile del primo ministro, il leader dell’opposizione però prima di rispondere alle domande ne fa a raffica: Silvio Berlusconi può contare su una maggioranza stabile? La Lega è un alleato sicuro? Che contributo potrà dare Gianfranco Fini? L’Italia lo interessa, «un Paese piccolo ma importante». Un alleato «storico» d’Israele sebbene a volte percepito come recalcitrante.
Il premier israeliano Olmert si è rammaricato per «l’incidente» di Beit Hanun in cui hanno perso la vita 4 bambini palestinesi. La situazione a Gaza è grave: c’è da aspettarsi un’escalation?
«Quanto accaduto a Gaza è drammatico. Che siano palestinesi o israeliani i civili sono civili. Ma c’è una differenza enorme: quando Hamas bersaglia da Gaza le scuole di Sderot o del Negev punta deliberatamente la popolazione civile, noi cerchiamo di evitarla. Israele si confronta militarmente con gente che usa donne e minori come scudi umani. Siamo addolorati per la famiglia decimata a Gaza. Avete mai sentito un leader palestinese piangere le nostre perdite, i bambini, gli anziani? L’opposto: a ogni attentato, a ogni razzo Qassam che centra l’obiettivo, i sostenitori di Hamas si rallegrano, fanno festa».
Chi è il leader palestinese attualmente più credibile?
«La situazione è tragica. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen è molto debole e per Israele l’ipotesi di parlare con Hamas è impraticabile. Non si incontra qualcuno che non ti riconosce. Quando abbiamo trovato leader arabi coraggiosi, come Sadat o re Hussein, abbiamo fatto concessioni generose alla pace. Ma in tutti questi anni i palestinesi non hanno prodotto un Sadat. Oggi abbiamo di fronte un partner volenteroso ma politicamente debole e Hamas, potente proprio perché irriducibile».
Sderot conta più razzi che attestati di solidarietà, le colonie ebraiche in Cisgiordania aumentano, qualcuno comincia a dubitare della formula «due Stati per due popoli»: come vede il futuro?
«L'unica soluzione è rafforzare economicamente la società palestinese. Noi abbiamo bisogno di sicurezza, loro di prosperità, possibilmente con l’assistenza della Giordania. A lungo, prima e dopo Oslo, si è creduto che la pace fosse l’antefatto alla prosperità. Molti Paesi, come l’Irlanda, mostrano che talvolta è vero il contrario. Non dico che la prosperità sostituisca la pace, ma la può incoraggiare. Dipendesse da me lavorerei a una rapida crescita dell’economia palestinese in Cisgiordania, lo sviluppo rafforzerebbe i leader moderati a danno dei fondamentalisti islamici. Allora, solo allora, penserei a un accordo di pace».
Facendo a meno di Gaza?
«Gaza ha bisogno di una leadership diversa. Con Hamas non possiamo parlare. Il presidente egiziano Mubarak dice che ormai l’Egitto confina con l’Iran: si riferiva a Gaza. Cosa dovrebbe dire Israele che non ha neppure il Sinai a fare da cuscinetto? Da quando Hamas è al potere abbiamo contato 4 mila razzi: come reagirebbe l’Italia se fosse bombardata ogni giorno da un Paese limitrofo? Hamas deve tirarsi indietro».
Alcuni analisti ritengono che gli interessi americani inizino a divergere da quelli israeliani. E’ d’accordo? E’ preoccupato?
«Gli Usa hanno la loro politica estera e nazionale. Ma da Truman in poi il sostegno a Israele è rimasto stabile. Se domandate agli americani chi preferiscono tra noi e i palestinesi il rapporto è di 9 a 1. L’Europa non capisce, spiega l’amicizia tra Israele e Usa con l’influenza della lobby ebraica, importante ma numericamente poco significativa. Il nodo non è l’ebraicità d’Israele ma la sua libertà, l’essere un’isola democratica circondata da Paesi islamici autoritari».
Potendo, voterebbe McCain, Barack Obama o Hillary Clinton?
«Non ho un candidato da sponsorizzare. Ma sono convinto che chiunque venga eletto non metterà in discussione i valori, le idee, l’identità americana. L’Europa travisa perché guarda Israele con le lenti del colonialismo, quasi fossimo arrivati qui come i francesi o gli olandesi in Africa e non avessimo alle spalle tremila anni di rapporto con questa terra. Gli americani, estranei all’esperienza coloniale, colgono meglio la profondità della nostra esperienza, l’aspirazione alla libertà, un patrimonio biblico che ci accomuna sin da quando Jefferson definì la nascita degli Usa “la rinascita di Zion”».
Secondo il Jerusalem Post l’Europa è pronta a sanzioni contro Melli Bank, una delle principali istituzioni finanziarie iraniane. E l’Italia sarebbe della partita. Una buona notizia per Israele?
«Se vera è una notizia importante. L’Iran, che nega l’Olocausto, non minaccia solo Israele ma l’intero Occidente. Teheran supporta direttamente l’islam militante globale. Il sostegno europeo sarebbe benvenuto e quello italiano ancor di più: il segno di un cambiamento nella politica estera incoraggiato dal nuovo governo».
Tra gli elettori del centrodestra italiano ci sono i ragazzi che lunedì hanno accolto con il saluto romano l’elezione di Alemanno sindaco di Roma. Non l’imbarazza?
«Ogni governo democratico deve rigettare il vecchio e il nuovo fascismo e ogni tipo di ideologia estremista. Non conosco queste frange dell’estrema destra italiana. Ma ho parlato a lungo con il Cancelliere tedesco Angela Merkel di alcuni casi in Germania, vanno messi al bando. Ci siamo trovati d’accordo nella volontà di combatterli con forza».

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