Le colline del Golan, che sotto dominazione siriana erano brulle e non servivano ad altro che ad essere basi per bombardare Israele, speriamo proprio non cambino nazionalità. Da quando sono terra d'Israele, quelle colline stanno producendo ottimi vini, diventati famosi in tutto il mondo. Ed è alzando un buon calice di Yarden che brindiamo a quelle colline, oggi luogo di pace e di generosi vitigni. Concessaci questa trasgressione, della quale chiediamo venia ai nostri pazienti lettori, riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/04/2008, a pag.1, dal titolo "Damasco in bilico fronteggia le ribellioni parlando di Golan", una accurata analisi di quanto sta avvenendo in Siria, un paese che sembra non interessare ai nostri media,
Roma. Il premier turco Tayyp Erdogan tenta un’accelerazione della mediazione tra Israele e Siria, proprio mentre il regime alawita tradisce segni sempre più clamorosi di cedimento interno: attentati, arresti e ammutinamenti. Il primo ministro di Ankara qualche giorno fa aveva consegnato al presidente siriano Beshar el Assad una lettera riservata di Ehud Olmert. Ieri, nel corso di un “summit economico” bilaterale a Damasco con Assad, Erdogan ha fatto altri passi avanti, verso una cornice negoziale. E’ stato prudente nelle dichiarazioni pubbliche: “Stiamo pensando di nominare alcuni responsabili delle due delegazioni, per avviare negoziati. Se questi daranno risultati positivi faremo incontrare i due leader”. Più enfatico al Assad, che ha annunciato al quotidiano Qatar al Watan di aver ricevuto da Israele addirittura l’offerta di una restituzione delle alture del Golan. In realtà nel suo messaggio Ehud Olmert è stato molto prudente sulla restituzione del Golan – una postazione pericolosissima per Israele, perché sovrasta tutta l’Alta Galilea – e ha avanzato una serie rigida di precondizioni, oltre al riconoscimento di Israele, che ben difficilmente saranno accolte. Siria e Israele hanno infatti già condotto identiche trattative dal 1993 al 2000, perché Hafez al Assad, padre di Beshar, aveva partecipato al processo negoziale di Oslo, a lato di Yasser Arafat. Ma la settennale trattativa non portò a nulla, in apparenza per un disaccordo marginale sulla attribuzione delle fattorie di Shebaa (contese da Libano, Siria e Israele), un territorio di poche decine di chilometri, in realtà come conseguenza della tradizionale strategia destabilizzante di Hafez al Assad: tavoli negoziali perennemente aperti, senza concludere mai le transazioni e alternanza tra fasi di provocazione bellica e di trattative. Strategia dispiegata per trenta anni nella “colonia” del Libano e oggi replicata a Beirut dal figlio Beshar. Convocata per il 13 maggio, l’elezione del presidente della Repubblica libanese, probabilmente slitterà di nuovo a simboleggiare questa strategia della tensione, tutta fatta di stop and go, che è la specialità – assieme agli attentati terroristi – del regime baathista di Damasco. Doppio scenario Sta di fatto che Assad e i giornali del suo regime parlano negli ultimi giorni della prospettiva della restituzione del Golan con un’enfasi non abituale (e non giustificata). Questo probabilmente per ragioni di ordine interno, per dare a intendere agli oppositori che il regime non soltanto è forte, ma che è ormai in grado di ottenere clamorose vittorie diplomatiche. Una strategia che punta soprattutto a contrastare gli elementi sempre più forti di crisi esplosi proprio nel cuore più riposto del regime. Dopo l’inaudito attentato- omicidio del capo militare di Hezbollah nel cuore di Damasco, a febbraio, ieri è giunta all’agenzia Aki-AdnKronos la notizia che un gruppo clandestino di ufficiali alawiti chiede le dimissioni del “tiranno Assad”. Se vera, questa insubordinazione sarebbe di straordinaria rilevanza, gli alawiti infatti occupano le posizioni di comando nelle forze armate (i sunniti sono relegati ai ruoli inferiori). Ma soprattutto, questa frattura sarebbe probabile conseguenza del clamoroso arresto del 10 aprile scorso del cognato di Beshar al Assad, Assef Shawqaf. Una sorta di putsch interno: Shawqaf infatti, quale capo dei servizi segreti, era il più potente uomo del regime dopo Beshar, che l’ha destituito con la forza – pare – per stroncare un intrigo che stava intessendo con il governo di Riad, che da anni tenta di sganciare Damasco dalla stretta alleanza con Teheran, per portarla su posizioni moderate. Tentativi sempre falliti, che sinora hanno prodotto effetti opposti: l’uccisione dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, plenipotenziario saudita in terra libanese, il suicidioomicidio del 12 ottobre 2005 del ministro dell’ Interno Ghazi Kanaan e la fuga a Parigi nel 2005 dell’ex vicepresidente Abdel Halim Khaddam. Il tutto mentre Assad con l’aiuto dei nordcoreani costruiva un reattore nucleare, bombardato nel settembre 2007 da un raid israeliano (ieri Assad ha ridicolizzato questa versione). Come sempre in medio oriente si intrecciano due scenari: trattativa con Israele e preparazione di una guerra contro Israele. Scenari contemporanei, ma il secondo è più forte: la deflagrazione di una guerra ha sempre interrotto la firma di una pace, a volte a pochi passi dall’accordo. Molti elementi – a partire dalle frizioni interne al regime siriano – indicano che entro pochi mesi questa vecchia, reiterata storia si ripeterà.
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