Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Kamikaze, così si forma il martire di Allah nel racconto di Fabio Scuto
Testata: La Repubblica Data: 26 aprile 2008 Pagina: 40 Autore: Fabio Scuto Titolo: «Kamikaze, così si forma il martire di Allah»
Su REPUBBLICA di oggi, 26/04/2008, a pag.40, con il titolo " Kamikaze, così si froma il martire di Allah ", un articolo di Fabio Scuto.
I video diffusi via web ce li mostrano prima. Mentre giurano sul Corano e imbracciano un Ak-47 per assumere un´aria marziale, si sforzano di dare un tono militare a una voce appena uscita dall´adolescenza, perché dopo di loro non resterà più nulla. Svaniranno in una nuvola di fuoco mentre l´esplosione e l´onda d´urto semineranno morte tutt´attorno. Ma sappiamo poco o nulla sulla selezione dei volontari e dell´addestramento di un kamikaze prima del «sacrificio nel cammino di Dio». «So bene quello che faccio... E sarà qualcosa di cui tutti parleranno molto presto», sono state le ultime parole che Marwan Boudina, alias Mouad Ibn Jabal, elettricista di 27 anni che viveva nella bidonville di Badjarrah ha scambiato con la madre al telefono qualche giorno prima di farsi saltare in aria davanti il palazzo del governo di Algeri l´11 aprile del 2007, un massacro. Chi era Marwan? da dove veniva? come era stato reclutato? Si sa solo che aveva abbandonato la casa dove viveva con i genitori e i fratelli nel 2006 per scomparire, entrare nel maquis islamico. Quello che si sa invece con maggiore certezza è che Al Qaeda nel Maghreb dispone in Algeria di almeno 33 candidati pronti "al martirio". L´aspirante kamikaze di Al Qaeda deve fare una domanda scritta che verrà esaminata dal capo della branca qaedista, l´emiro Abdelmalek Droukdel o da qualcuno dei suoi cinque luogotenenti. Una cellula segreta, la Loudjat al-Tadjassouss (Sorveglianza e spionaggio), si prende l´incarico di sorvegliare i volontari "al martirio", controllare che non ci siano "cedimenti" dell´ultimo minuto, sventare tentativi di infiltrazione o tradimento. Zuheir Abzar è invece il primo aspirante kamikaze che ha fatto quasi l´intero percorso, all´inferno e ritorno. Non voleva morire in Algeria, sognava di partire per l´Iraq per morire nel martirio, in un Jihad vero, quello contro gli americani, come molti altri "fratelli algerini". All´inizio dello scorso anno raggiunge i gruppi islamici. Ma dopo qualche settimana è assalito da dubbi e la convinzione vacilla: dopo essersi unito ai qaedisti riesce a scappare. E questa è la sua storia. Zuheir è di Mohammedia, un quartiere popolare di Algeri, strade, stradine, viuzze, casermoni abitati con la densità di un alveare, spesso due tre famiglie per appartamento, pochi dinari nelle tasche della gente che non smette mai di ripetere «lo Stato è ricco e noi...». La sua famiglia non fa eccezione, sette fra sorelle e fratelli, il padre piccolo commerciante, la madre aiuta come può nella bottega. Educato ma introverso, studia per diventare elettrotecnico, gli amici lo raccontano come un ragazzo semplice, con la fissazione del calcio e gli sguardi audaci da lanciare alle ragazze. La religione, l´Islam, non ha un ruolo centrale nella sua vita fino all´inizio del 2006, quando comincia a frequentare la moschea del quartiere, a due passi da casa. Si alza all´alba per la preghiera e non torna a casa se non ha pronunciato quella della sera. Un improvviso slancio religioso che però non allarma la famiglia. A casa parla spesso della guerra in Iraq, delle stragi di civili, della caduta di Saddam, i colpi messi segno dalla guerriglia. Ma nessuno presta attenzione ai suoi stati d´animo. Nel luglio del 2006 passa due settimane di "vacanza" nella regione di Zemmouri, una cinquantina di chilometri a est di Algeri. A casa dice che va qualche giorno a casa di un amico. Nella zona - indicano i rapporti dell´antiterrorismo algerino - ci sono dei capisaldi delle attività dell´ex Gspc - il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento confluito in Al Qaeda nel settembre 2007. Addestramento fisico, arti marziali, corsi di teologia e prediche incendiarie contro il potere danno il ritmo delle sue giornate. Nati alla fine degli anni Ottanta, questi campi sono una sorta di università estiva del Jihad. Fra gli istruttori del campo clandestino c´è Aissa. Barba corta, fisico scattante per i suoi 35 anni. Aissa è un veterano, si è fatto le ossa prima nel Fis, poi nel Gia e alla fine si è unito ai gruppi salafiti. E´ il responsabile del reclutamento per tutta la zona a est di Algeri. Zuheir è attratto dalla sua personalità e Aissa lo prende sotto la sua protezione. Al termine del "campo" gli raccomanda, una volta rientrato a Algeri, di prendere contatto con la moschea di Apreval, nel quartiere di Kuba, una delle banlieue della capitale dove gli islamisti pescano a piene mani fra la gioventù disillusa della città. Nella moschea officia i riti l´imam Amin Kerkouche, per tutti lo sceicco Amin. Diplomato in teologia in Arabia saudita, lo sceicco Amin è un abile tribuno, riscuote un certo seguito e il suo ascendente sui ragazzi è forte. Con lo sceicco Amin il rituale è sempre lo stesso. Dopo la preghiera serale nella moschea organizza sempre dei tavoli di discussione per esortare al Jihad, i suoi interventi ruotano sempre attorno alla guerra in Iraq. Durante questi incontri - aperti solo a gente "sicura" - sono proiettati video della guerriglia irachena. Spesso le "conversazioni" vanno avanti fino alle prime luci del mattino. Spinto da quelle prediche infuocate Zuheir non fa più mistero dei suoi pensieri, racconta a tutti che il suo più grande desiderio è quello di offrirsi come martire e di morire nel sacrificio. Lo sceicco Amin stempera i suoi ardori, lo invita alla pazienza. Ma dopo l´esecuzione di Saddam Hussein a Bagdad Zuheir si rimette di nuovo al suo imam: «Voglio che mi indichi la strada per andare in Iraq e vendicare Saddam». Lo sceicco all´inizio si mostra riottoso, poi lo mette in contatto con un "reclutatore" di volontari per l´Iraq. È lui che spiega a Zuheir che il cammino verso Bagdad è lungo, molto lungo. Passa per i campi della guerriglia integralista nelle foreste della Cabilia. A gennaio dell´anno scorso, una settimana dopo il primo colloquio con il reclutatore, Zuheir va alla stazione di Kharrouba. Da qui con altre sei "reclute" del Jihad, a bordo di due auto guidate da "passatori" raggiungono la cittadina di Bordj Menaiel, in Cabilia, poi a piedi si avviano verso le montagne. All´arrivo ai volontari vengono sequestrati telefonini e passaporti. Isolati e nelle mani di veterani del Jihad, divisi in piccoli gruppi, le reclute consumano le loro giornate nell´esercizio fisico, a scavare rifugi, tagliare legna, costruire piccole fortificazioni, prendere acqua al torrente, lavarsi i panni e prepararsi da mangiare. I ritmi delle prediche sul Jihad contro il potere algerino, la guerra in Iraq, in Afghanistan, l´occupazione della Palestina si fanno sempre più infuocate. Anche qui, i lunghi sermoni sono accompagnati da video che riprendono attacchi kamikaze, attentati della guerriglia irachena, attacchi contro le caserme dell´esercito. Poi le reclute vengono iniziate al Founun al-Qital, l´arte della guerra. Assieme ad altri volontari Zuheir impara l´uso delle armi e le tecniche di posizionamento degli esplosivi. Ma le settimane passano e Zuheir capisce che il martirio in Iraq è il miele per attirare i giovani ma la realtà è ben diversa: Al Qaeda nel Maghreb ha bisogno di carne da cannone, il miraggio dell´Iraq svanisce, ogni giorno è più lontano. Oltre alle privazioni, al freddo, alla mancanza di igiene, alla promiscuità, al cibo scadente e infetto, alla mancanza di sonno, agli spostamenti continui per non essere individuati, Zuheir capisce che lo stanno preparando a morire in Algeria, magari in un attacco a una caserma di periferia; lui, l´apprendista kamikaze che sognava di avere il suo martirio in Iraq. Tre mesi dopo essere partito come volontario per morire a Bagdad, Zuheir vacilla nelle sue convinzioni e decide di fuggire dal campo: lo fa di notte durante un cambio della guardia. Vaga per giorni nelle foreste della Cabilia ricercato armi alla mano dagli stessi "fratelli" che lo hanno addestrato: non c´è perdono per chi si tira indietro, solo una raffica calibro 7,62 o la lama di un coltello. Riesce in qualche modo a uscire dalla regione e raggiunge la capitale: Zuheir vuole tornare a casa. Due settimane dopo il suo ritorno in città sarà individuato e arrestato dai "Ninja", i reparti speciali dell´antiterrorismo, a qualche isolato da casa sua. I suoi genitori ne avevano denunciato la scomparsa e una foto presentata all´ufficio passaporti lo ha fatto individuare. Ora è nella prigione di massima sicurezza di Serkadj, sulle colline di Algeri, aspetta di essere giudicato. Non si è macchiato di nessun delitto, potrebbe beneficiare della legge del perdono fortemente voluta dal presidente Abdelaziz Bouteflika, ed essere fuori in un paio d´anni. Nello stesso carcere, in un altro braccio, c´è quasi tutto il reseau integralista che l´ha sedotto e attirato nel maquis. Sarà difficile che per loro il pesante portone di cedro del XVI secolo di Serkadj si possa aprire.
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