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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
23.04.2008 Mario Pirani nega un fatto storico
la strumentalizzazione della memoria della Shoah da parte comunista

Testata: La Repubblica
Data: 23 aprile 2008
Pagina: 1
Autore: Mario Pirani
Titolo: «Il fascismo edulcorato»
Mario Pirani interviene sulla polemica sulla memoria della Shoah e dell'antifascismo, che già ha visto gli interventi di Giovanni De Luna ed Ernesto Galli della Loggia.

L'intervento di Pirani nega il dato di fatto della strumentalizzazione della memoria storica dei crimini del fascismo per giustificare quelli del comunismo.
Una pessima premessa all'appello, che invece è condivisibile a
"separare finalmente l´operare politico dall´analisi storica".

Ecco il testo:


Una poesia può contenere in pochi versi più verità e chiarezza di un saggio storico. L´idea mi è suggerita dalla lettura di una breve lirica (da "Gente sul ponte", ed. Scheiwiller) di una grande poetessa polacca, Wislawa Szymborska, poco conosciuta in Italia, malgrado il Nobel.
Intitolata "Figli dell´epoca" ne riporto qui poco più di una strofa: «Siamo figli dell´epoca,/ l´epoca è politica./ ... Ciò di cui parli ha una risonanza, / ciò di cui taci ha una valenza/ in un modo o nell´altro politica./.... Intanto la gente moriva, / gli animali crepavano,/ le case bruciavano/ e i campi inselvatichivano/ come in epoche remote/ e meno politiche». L´analogia nasce dal paragone con una polemica tra storici – Giovanni De Luna sulla "Stampa" e Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere"–, il primo preoccupato dal fatto che la natura totalitaria del fascismo venga ormai derubricata solo alla persecuzione razziale anti ebraica, il secondo, come d´abitudine, impegnato ad incolpare di ciò gli storici di sinistra, i quali, per alleviare le responsabilità del comunismo, avrebbero appiattito tutta l´esperienza fascista su quella hitleriana. A tal fine, quindi, «dopo l´equiparazione del fascismo al nazismo, l´accento sull´antisemitismo serviva a ristabilire l´incrinata supremazia del comunismo sull´uno e sull´altro». Alla base della riduzione del fascismo «all´archetipo di totalitarismo diabolico-omicida che è stato il regime hitleriano» vi sarebbe, inoltre, il vecchio rifiuto delle ricerche di Renzo De Felice che smentivano «l´immagine del Ventennio in contrapposizione alla quale la sinistra ha costruito il mito dell´antifascismo e della Resistenza».
Stanca polemica, in verità, sol che essa conferma ancora una volta come l´uso politico della storia risorga dalle sue ceneri ogni qualvolta si delinea un mutamento di scenario - come ora con l´alternanza destra-sinistra - contribuendo a confondere sia la storia che la politica.
Se, infatti, guardiamo, da cronisti attenti ai fatti e non da cattedratici innamorati delle loro tesi, il calendario degli anni più recenti, possiamo facilmente constatare che l´amalgama delle più generali responsabilità fasciste solo alle leggi razziali, è andata via via affermandosi con l´evoluzione democratica dell´estrema destra, la trasformazione del Msi in An e, da ultimo, l´approdo al Pdl, accompagnati dalle visite di Fini ad Auschwitz, a Gerusalemme, alla Sinagoga di Roma, al suo sostegno sincero ad Israele, alle sue affermazioni contro le leggi razziali, alla condanna senza mezzi termini della Shoah. Tutto ciò, oltre ad essere in sé ottima cosa, ha contribuito a sdoganare anche sul piano internazionale, a dare un profilo nuovo al vecchio movimento post-repubblichino e ad inserirlo a pieno diritto nel quadro costituzionale, pagando solo lo scotto della scissione dell´ala estremista.
D´altro canto l´accentuazione posta sul ripudio dell´antisemitismo come simbolo unico di un passato, inaccettabile, invece, anche per tanti altri versi, ha permesso alla destra di non confrontarsi con la sua storia reale. Si è finito per ricoprire di un oblio quasi nostalgico gli anni di una dittatura in primo luogo antiliberale, che soffocò la libertà di stampa, di parola, di associazione, di sciopero; soppresse la democrazia rappresentativa; istituì tribunali speciali, incarcerò e talora assassinò gli oppositori; infine trascinò l´Italia in una guerra rovinosa contro le più grandi potenze del mondo. Non aver fatto i conti culturali - ribadisco culturali - col passato, attraverso la vulgata detta revisionista, ha portato non solo la destra ma una parte non piccola dell´opinione pubblica a recepire una versione edulcorata e distorta del Ventennio, ad accettare per buona una «condivisione» strumentale di una storia falsificata, culminata nella par condicio tra ragazzi di Salò e Resistenza, ad accettare la ricorrente richiesta di rivedere i testi scolastici a seconda di chi vinca le elezioni.
La storiografia di sinistra porta in tutto ciò le sue responsabilità ma non nella «reductio» del fascismo alla sua svolta razzista. Le colpe più gravi, che si sono trascinate a lungo, riguardano piuttosto il giudizio sul comunismo e sull´Urss. Così anche sull´uso strumentale dell´accusa di fascismo contro chi condannava la dittatura staliniana. In questo seguendo la propaganda sovietica che, ad esempio, giustificò, tra l´altro, l´invasione della Cecoslovacchia inventandosi la minaccia del riarmo tedesco alle frontiere orientali (ma in proposito non va dimenticato che il governo centrista Dc-Liberali nascose nell´armadio della vergogna le carte sull´eccidio di Cefalonia per non mettere in difficoltà la Repubblica federale tedesca al momento della sua adesione alla Nato).
Infine anche la polemica su De Felice «vittima», è in gran parte viziata. Non solo perché Giorgio Amendola in un impegnato libro-intervista dette subito una interpretazione largamente positiva della riscoperta defeliciana (che non vuol dire rivalutazione) delle ragioni del consenso popolare al regime mussoliniano, ma anche perché quella riscoperta in realtà coincideva con le analisi togliattiane sul carattere di massa del fascismo, sulla opportunità, sia pure strumentale, che i giovani comunisti entrassero nei Guf, partecipassero ai Littoriali, cogliessero le esigenze di rinnovamento che provenivano dall´interno del fascismo.
Una linea che trovò una sua conferma subito dopo la Liberazione con l´apertura senza veti ideologici alle nuove generazioni educate dal regime. Quel che gli storici di sinistra non intravidero neppure era la insania, al termine autodistruttiva, come infatti avvenne, del nucleo centrale del pensiero e dell´azione dei partiti comunisti, quel finalismo assoluto che tutto giustificava in nome di una costruzione sociale e politica senza contraddizioni, basata su un´etica costrittiva capace di sfociare nel gulag e nel crimine di massa. Il non aver mai affrontato la negatività insita nell´utopia comunista ha portato il Pci e, poi, il post-Pci (nelle sue susseguenti trasformazioni) a smarrire identità, ad arrivare sempre in ritardo agli appuntamenti col rinnovamento riformista, a lasciare alla sua sinistra, specularmente alla destra post fascista, i brandelli radioattivi e dannosi di scorie storiche che ancora si richiamano al comunismo.
Peraltro le afone e invecchiate sirene degli opposti estremismi non appaiono più in grado di influenzare l´agenda del Paese. Non sarebbe allora giunto il momento per separare finalmente l´operare politico dall´analisi storica? Non è venuto il giorno per spogliare le date epocali della vicenda repubblicana dall´affronto riduttivo delle polemiche contingenti? Se il 14 luglio è la festa di tutti i francesi, degli eredi dei giacobini come dei vandeani, dei laici come dei cattolici, di chi si richiama alla Comune e dei gollisti che inalberano Giovanna d´Arco perché tutti gli italiani non debbono finalmente ritrovarsi nel 25 aprile e nel 2 giugno? Se Berlusconi e Fini, pur non essendo ancora in carica, promuovessero una iniziativa in tal senso, non sarebbe davvero questo un buon inizio, al di là della validità di ogni restante giudizio politico?

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