L'Iraq e il terrorismo Saddam addestrava terroristi suicidi e aveva legami con Al Qaeda
Testata: Libero Data: 23 aprile 2008 Pagina: 20 Autore: Francesco Ruggeri Titolo: «Saddam addestrava kamikaze Le prove in un dossier segreto»
Da LIBERO del 23 aprile 2008
«Mi offro volontario per operazioni suicide contro il nemico americano. Sono pronto ad eseguire ogni missione che mi verrà assegnata dal comando, dal partito o dalla rivoluzione». Firmato Brigadiere Generale Nazham Jasim Ahmad, membro attivo della prima divisione dell'Unità di comando dell'Iraqi intelligence service, il famigerato Mukhabarat. La data in calce al documento è il 21 settembre 2001. Sono passati appena dieci giorni dal catastrofico attacco alle torri, quando oltre cento tra rappresentanti e agenti del regime di Saddam scrivono lettere analoghe, firmandole col proprio sangue. Per rispondere a un appello lanciato quattro giorni addietro dalla presidenza della repubblica irachena. Con cui il dittatore in persona chiedeva ai vertici dei servizi di individuare tra i loro affiliati e quelli del Baath un plotone di volontari per missioni kamikaze contro gli Stati Uniti. Ben prima della guerra del 2003, mentre di intervento in Afghanistan neppure si parlava. ASPIRANTI MARTIRI L'eccezionale faldone delle missive originali, sequestrato in Iraq nel 2004, è stato da poco declassificato dalla Difesa americana. All'interno di 5 volumi dal titolo "Iraqi Perspectives Project (Ipp). Materiali di fonte primaria su Saddam e il terrorismo". Una raccolta di documenti che prova il legame tra governo di Saddam e terrorismo. O meglio, del fatto che lo stesso Hussein era a tutti gli effetti un leader terrorista, intenzionato a colpire a freddo gli americani come e più di Osama. Predisponendo in maniera scientifica l'arsenale più truce dello stragismo islamico: giubbotti esplosivi, auto bomba, ordigni mascherati in pacchetti di sigarette, o dentro libri, fustini di detersivo, videocassette, condizionatori, borse diplomatiche, impianti casalinghi, germi e liquidi tossici. Il tutto testato, camuffato, contrabbandato in mezzo mondo, e spesso utilizzato nel corso di veri attentati. Le tracce di un'attività vasta ed intensa riemergono fin nei minimi dettagli da decine di report top secret ritrovati negli archivi del Mukhabarat. Visionabili ora per la prima volta, in coincidenza col quinquennale dal crollo della dittatura, tra le 2mila pagine dell'Iraqi Project. Il documento corrisponde alla sigla in codice Isgq-200500037352. Lo hanno rinvenuto il 29 novembre 2004 gli uomini del primo cavalleggeri a stelle e strisce, 91mo battaglione, al civico 50 di Al Qadah street, Provincia della giustizia, Bagdad. È catalogato come "Memorandum del Direttorato generale (dei servizi) riguardante i volontari di missioni suicide". Contiene la lista con gli impegni scritti degli aspiranti al martirio contro l'America. Da solo occupa 112 pagine del quarto volume dell'Ipp. Gli autori della mortale promessa sono agenti dell'in telligence e militanti del Baath di ogni ordine e grado. Compresi un generale e un capo divisione. Le motivazioni vengono espresse con formule varie: «Per la nostra giusta causa», «Per il Paese e il suo nobile comandante», «Per gli ideali del partito», «Per il bene del grande Iraq». O ancora: «Per la difesa del leader», «Per la gloria immortale del messaggio della nazione», oppure: «Per liberare Gerusalemme». NOVELLO SALADINO In realtà obbediscono alla precisa sollecitazione da parte di Saddam, che fa a sua volta riferimento alla direttiva 15/12363 del 28 agosto 2001. Già da qualche tempo il rais mirava a vincere l'opposizio ne sciita presentandosi quale novello Saladino. Araldo di un ritorno al fondamentalismo panislamico anti occidentale, dopo il fallimento del sogno nazionalista laico di stampo nasseriano. Non a caso fece cucire sulla bandiera irachena il grido dei martiri jihadisti, Allahù Akhbar. E lanciò la campagna della fede, basata su rispetto della sharia, studio coranico obbligatorio e conferenze islamiche all'hotel Rashid. Addirittura volle scrivere una copia del Corano con inchiostro ricavato da alcuni litri del suo sangue. È in un siffatto contesto che va situato il reclutamento dei kamikaze. Obiettivo, il nemico yankee, civili inclusi: come Bin Laden nella celebre fatwa del '98. Non dunque le sole basi dei marines in Kurdistan o nel Golfo, oggetto di attacchi paralleli denominati, per distinguerli, «contro le forze armate anglo americane». Un'ulteriore lista di 9 candidati suicidi del Baath, contenuta nel memorandum Cmpc2003-011229, e aggiunta il 22 settembre 2001 dal segretario della divisione Al Sumud per i colleghi della Tammuz, illustra con esattezza il genere di missione che attende i volontari. Offertisi «per realizzare operazioni con attentati suicidi». Nel caso degli aderenti al partito, gente qualunque: diplomati in legge, ragionieri o semianalfabeti. L'attentatore che diventa bomba umana, triste realtà quotidiana nell'Iraq di oggi, rappresentava manco a dirlo la specialità del Mukhabarat saddamita. L'arma invincibile al cui perfezionamento si dedicavano sforzi e fondi. A partire dalla realizzazione di una «veste di pelliccia di foggia persiana, dotata di esplosivi al plastico». Essa, si spiega a pagina 6 dell'Ipp, «fu sperimentata la prima volta contro i dissidenti dello Sciri, durante un'operazione del giugno 2001 in una biblioteca di Qom (Iran)». Visto il successo («inflisse al nemico pesanti perdite»), il Direttorato ordinò di produrne subito altre. Ma il cavallo di battaglia dei baathisti erano le auto bomba. Nel memo siglato Cmpc-2004-002746 viene riportato un aggiornamento dell'estate 2001 per il direttore della sezione 2 dell'Iraqi intelligence service: «Abbiamo adempiuto alla preparazione e al camuffamento di una bomba da 1 tonnellata di plastico (Pe4a) dentro un veicolo pick up. Dal 21 agosto è conservata presso il sito di Salah Al Din, pronta per la consegna coi detonatori elettrici». Per far pratica di solito si preferiva un ferrovecchio. Nelle istruzioni del memo Cmpc-2004003446 si cita una Renault riempita con 56 kg di esplosivo, fatta detonare attraverso un dispositivo con pile Duracell da 9 V, nascosto dentro un pacchetto di sigarette marca Sawmar. Era l'inizio di settembre '99. Tra il 28 novembre di quell'anno e il 28 febbraio successivo, fu inaugurato un corso avanzato in esplosivi con tanto di attestato. I partecipanti imparavano a produrli, maneggiarli, trasportarli, detonarli, e occultarli in stile Ied (congegno esplosivo improvvisato). Cioè mimetizzandoli in oggetti di uso comune. AUTO, PILE E SIGARETTE La corrispondenza originale (memo Cmp-2004-002801) descrive 4 videocassette e 2 fotocamere bomba assemblate per la divisione M5. Il 6 ottobre '97 furono consegnati alla M40 cinque fustini esplosivi di detersivo per lavatrice, e qualche mese prima (4/6) un condizionatore da 1.2 kg di tritolo. Tra le ultime invenzioni del 2000 figuravano persino 3 libri esplosivi da 1 kg di Rdk, e il brevetto per nascondere del plastico nel quadro della corrente di una abitazione. Mentre il 26 febbraio 2001, il supervisore del corpo dei Fedayin Saddam veniva informato che 4 borse diplomatiche con esplosivo a tempo erano state acquisite dallo staff presidenziale: la comunicazione giunse su carta ufficiale col logo del rais di profilo, accanto al motto «Usa la spada per combattere l'oppressione». Dall'ago sto 2001 l'Iis cominciò a filmare la costruzione delle bombe telecomandate. Secondo le tabelle in archivio, gli ordigni non convenzionali realizzati nei primi due anni del nuovo secolo furono 73 e 27. I timers programmabili 55 e 45, le auto bomba 50 più altre 50, le ricerche su esplosivi liquidi 57 e 43, i corsi per dinamitardi 100. Purtroppo l'attività dei bombaroli shahid in versione mesopotamica non si limitò alla sperimentazione e all'addestramento: in numerose occasioni trovò riscontro pratico. Un esempio di operazione suicida anti occidentale andata a segno, lo fornisce una lettera accreditata dai Fedayin al figlio del rais Uday, per conto di una vedova di nome Nazah. Costei rivendicava la concessione di un vitalizio in quanto il marito, il 19 luglio 2000, si era fatto esplodere su ordine del governo nell'hotel Ibn Sina: «Il più frequentato da cittadini americani nel Kurdistan». BOMBE A NATALE In precedenza l'ex consorte della donna aveva fatto saltare il quartier generale dei comunisti curdi e detonato una macchina durante la visita di Danielle Mitterand ad Halsabajah, mietendo 40 vittime. Proprio Uday pareva il referente per questo tipo di missioni, giungendo a ordinare un attentato contro gli stranieri nella no fly zone curda per «il giorno del compleanno di Gesù». In una choccante missiva del 12 dicembre 2000 col marchio dei Fedayin, i suoi sottoposti gli comunicarono quanto segue: «Sua eccellenza ha ordinato di colpire concentrandosi sulle tane degli stranieri che lavorano nel nord per frustrare i loro piani. Indicando due bersagli sovrappopolati di stranieri: uno di questi verrà fatto la notte di Natale». Al febbraio 2001 risale invece a firma del colonnello Muhsin al Karim Mahmud- la conta dei colpi terroristici già eseguiti: «Una bomba contro il Comando operativo turco a Irbil, una contro Al Ayyubi e l'ente umanitario legato all'intelligence britannica, una borsa diplomatica fatta esplodere nella sede del Movimento dell'unità a Sirwan il primo dicembre 2000». E ancora, dai successivi schedari: «Una bomba a tempo contro il partito comunista il 12 novembre 2001, una al plastico contro un rappresentante di una Ong il 18 febbraio 2001, 2 contro la sede del movimento di Al Hakim a Suleimaniyah, una contro il National Council Party». Nel frattempo nacque il progetto di far saltare una scuola turca e soprattutto si rifornirono le ambasciate in Europa di ingenti quantità di armi e dinamite. Duecento chili di tnt vennero nascosti nella legazione irachena ad Atene, e alla chiusura di quella bavarese un certo Adil Ghafuri fu incaricato di interrare il plastico in giardino. Nelle ambasciate di Londra, Madrid, Vienna, Ginevra, Bruxelles, prevalse invece la preoccupazione di celare o eliminare kalashnikov, revolver e silenziatori. L'intenzio ne di utilizzare il materiale per attentati all'estero è lampante. L'ambasciatore Usa a Jakarta e l'American Airlines di Manila la scamparono per pura fatalità, svela un file del '94. Parallelamente non si trascurava «l'idea di produrre virus e batteri per l'acqua delle basi americane in Kuwait e Arabia», registrata da un rapporto del 14 ottobre 2000 al capo sicurezza del Mukhabarat sui progressi del biologo Salim Mahdi. Nè l'utilizzo di «5 casse di liquidi tossici per speciali operazioni contro la popolazione», approvato con un autografo dal supervisore dei Fedayeen il 19 febbraio 2001. Un capitolo a sè merita poi il legame tra il defunto regime e i principali gruppi del terrore islamico. Gli estensori dell'Iraqi Project affermano che Saddam non si limitò ad agire in proprio, ma «intese senza dubbio servirsi di operativi affiliati con Al Qaeda (..) monitorando, contattando, finanziando, addestrando i medesimi simpatizzanti, (..) nella misura in cui i loro obiettivi coincidevano con quelli nazionali». Fu così che «combattenti arabi si addestrarono nei campi in Iraq per più di una decade fino al 2003». L'ADDESTRAMENTO Proprio chi scrive ne documentò per primo l'esistenza su Libero 4 anni fa. Le carte scovate dall'Ipp danno il sigillo a ciò che qualcuno giudicava leggende. Tutto era cominciato il 18 gennaio del '93, col classico ordine scritto di Saddam ai suoi 007: «Dare la caccia agli americani in terra araba, usando elementi arabi o asiatici». Da qui il reclutamento e la formazione di fondamentalisti dai più diversi Paesi islamici, ricostruito in moltissimi memorandum con nomi, ricevute, date e dettagli. Come il siriano Abd Al Majid Sa'd al Din, il libico Mahmud Abdallah Al Shibani o il tunisino Farid Al Husayni Hafsawi, istruitisi al "Campo degli Iss Fedayin". E se i seguaci di Maometto non andavano alla montagna irachena, era questa a venirgli incontro. Accadde per la jihad egiziana di Zawahiri (contro Mubarak), per Ansar Al Islam (contro i Kurdi) e Hamas (contro Israele); e per Salafiti algerini, miliziani sudanesi o taliban pakistani (contro i relativi governi). Il 24 agosto 2002 toccò al direttore dei Fedayin rammentare a Uday il senso delle direttive 474 e 1244 sul "Progetto martirio": «Per mezzo dell'adde stramento selezioniamo i più adatti a missioni suicide, dato che esso avrà luogo durante le vacanze estive», nel periodo di massima disponibilità degli estremisti stranieri. E quando si parla di azioni suicide e jihad internazionale, non può certo mancare Osama. L'11 gennaio '95 Saddam ordinò di contattarlo in Sudan. Durante l'incontro del 19 febbraio, un esperto di esplosivi del Mukhabarat gli propose risorse tv e azioni congiunte contro la monarchia saudita. Ve n'è traccia indiretta in un memo del '97 dove si certifica che, dalla fuga dello sceicco da Kartoum, «si lavora per rivitalizzare la relazione tramite un nuovo canale». Tempo qualche anno e per rintracciare Al Qaeda sarebbe bastato guardare verso il nord dell'Iraq: «Jund Al Islam vi ha creato basi sotto la direzione di Al Qaeda», avvertiva il capo del 3° dipartimento dei servizi. Saddam ne era ben conscio. Una domanda chiude la raccolta dell'Ipp: «I documenti sequestrati indicano che Saddam voleva davvero usare le sue capacità terroristiche contro gli Usa?». La risposta è sì. Fu il rais in persona a rivendicarlo, in epoca non sospetta: «Se l'America interferisce colpiremo - disse il 19 aprile del '90 - Forse non raggiungeremo Washington, ma possiamo mandare qualcuno con una cintura esplosiva a lanciarsi contro l'auto di Bush». www.laltrogiornale.com
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