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La Stampa Rassegna Stampa
20.04.2008 Figlie in vendita come cammelli
L'esperienza di Gustavo Zagrebelsky

Testata: La Stampa
Data: 20 aprile 2008
Pagina: 3
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «“Vivere insieme nella diversità"»

Spiace dover criticare sempre gli articoli di Farian Sabahi sulla STAMPA, ma nei suoi pezzi traspare sempre qualcosa di poco chiaro ( a voler essere gentili), sia che lo dica lei o che lo riporti in una intervista. Sull'ultimo numero di TUTTOLIBRI, uscito con la STAMPA del 19/04/2007, Gustavo Zagrebelsky si esprime ad un certo punto con una espressione stupefacente, in bocca ad una persona che dovrebbe avere conoscenze precise di ciò di cui parla. Dice Zagrebelsky, «Dal punto di vista dei principi l’ebraismo ha un approccio molto diseguale nei confronti delle donne. Recentemente nella mia famiglia abbiamo sperimentato un’unione ebraica e mi sono reso conto come siano ancora in vigore regole secondo cui il matrimonio consiste nella vendita della figlia, valutata in sicli come se fosse un cammello: la vendita è fatta a favore del marito, il contraente è la comunità ebraica e la donna è un puro oggetto. Questi sono ovviamente i rituali, la realtà è del tutto cambiata. Regole ancora in vigore, dice l'illustre intervistato, come si può verificare nel testo che segue. Vorremmo sapere se Zagrebelsky conferma oppure no.

Fedi e laicità A colloquio con Gustavo Zagrebelsky:
la società italiana di fronte all’immigrazione e all’Islam


“VIVERE INSIEME
NELLA DIVERSITÀ”

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FARIAN

SABAHI
«L’accoglienza del Papa alla Casa Bianca non è disinteressata: gli Stati Uniti sono in campagna elettorale ed è evidente l’interesse ad ospitare il Pontefice che ha elogiato il modo di vivere degli americani. Questo complimento stride però con la decisione della Corte suprema che conferma la costituzionalità della pena di morte e respinge i dubbi sull’iniezione letale»: così - al convegno «Laicità della ragione, razionalità della fede?» svoltosi questa settimana a Torino - ha commentato il viaggio di Ratzinger negli Stati Uniti Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale e oggi ordinario di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale dell’Università di Torino, autore da ultimo di Contro l’etica della verità (Laterza).
Di questi tempi religione e politica sono un’accoppiata forte e non solo negli Usa. Ma il successo non è sempre assicurato: come ha giudicato la candidatura di Giuliano Ferrara con la lista «aborto no grazie?»
«Non definirei Ferrara un cittadino cattolico quanto un non credente - o un ateo - che opera in conformità con quello che dice la Chiesa in cerca di una identificazione. Nella Storia ci sono casi di uso della politica da parte della religione e, come nel caso di Ferrara, di uso della religione da parte della politica».
Cosa pensa della possibilità di inserire le radici giudaico-cristiane nella Costituzione dell’Unione Europea?
«Insistere su questi elementi identitari non è produttivo, sono un insulto perché in Europa il cristianesimo si è formato contro l’ebraismo. Molte altre radici hanno dato connotazione al nostro continente: isolarne alcune vuol dire fare torto ad altre. Le radici cristiane sono in linea con l’idea che le nostre società si appoggiano su un fondamento morale offerto dal Cristianesimo a cui per ragioni politiche - di vita nella polis - occorre dare un ruolo privilegiato. E la laicità presuppone non l’esclusione delle fedi dalla dimensione pubblica ma un’uguale lontananza (o vicinanza) da parte dell’autorità pubblica».
Per alcuni Islam e democrazia sarebbero inconciliabili perché l’Islam non garantisce uguali diritti alle donne e alle minoranze religiose. Cristianesimo ed ebraismo sono invece più rispettosi dei diritti di tutti?
«Dal punto di vista dei principi l’ebraismo ha un approccio molto diseguale nei confronti delle donne. Recentemente nella mia famiglia abbiamo sperimentato un’unione ebraica e mi sono reso conto come siano ancora in vigore regole secondo cui il matrimonio consiste nella vendita della figlia, valutata in sicli come se fosse un cammello: la vendita è fatta a favore del marito, il contraente è la comunità ebraica e la donna è un puro oggetto. Questi sono ovviamente i rituali, la realtà è del tutto cambiata. Ma è un esempio significativo di come il mondo ebraico si sia ben assimilato entrando in contatto con la civiltà cristiana dove la donna, con molta fatica, è emersa come soggetto paritario. Quello che possiamo auspicare per l’Islam in Europa è che, grazie a spinte e rivendicazioni interne, si mettano in atto i cambiamenti che nel Cristianesimo hanno richiesto secoli».
L’Islam è ormai in Europa: come si può affrontare il problema dell’immigrazione?
«Integrarsi in una società maggioritaria vuol dire adeguarsi. L’integrazione potrebbe avere senso se i gruppi fossero - per forza, numero e cultura - equivalenti, nel qual caso il risultato sarebbe qualcosa di nuovo a cui tutti hanno contribuito. Ma questo non può avvenire in una società consolidata come la nostra e la soluzione è l’interazione intesa come riconoscimento delle diversità: viviamo insieme e ognuno può fecondare l’altro nel massimo rispetto reciproco».
A quali condizioni?
«Rifiutando la violenza tra le diverse comunità e al loro interno. E qui dobbiamo porci degli interrogativi: la poligamia porta con sé una forma di violenza? E il velo? È un’imposizione o un segno di appartenenza e quindi una valorizzazione? Che cosa sia violenza è dunque da discutere, tenendo presente che la violenza in un contesto può non essere tale altrove».
Quale soluzione si può trovare alla sottomissione della donna all’uomo, sancita da una lettura radicale dell’Islam?
«Per superare le forme di oppressione non bisogna pensare a soluzioni giuridiche ma mettere a disposizione delle immigrate i mezzi culturali con cui possano trovare la forza per modificare i rapporti. Sono processi lunghi e le scorciatoie vanno evitate perché rischiano di creare ulteriore violenza».

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