T
ra gli innumerevoli segreti celati nello Zohar ( Il libro dello splendore), uno dei testi più criptici del misticismo ebraico — scrive Giulio Busi, magnifico curatore del volume antologico pubblicato da Einaudi — il più inaccessibile è, forse, quello della sua origine. Busi, oltre a essere uno dei maggiori ebraisti del mondo, ha il gusto del racconto. Le pagine della prefazione in cui descrive l'apparizione, come dal nulla, nella Spagna del Milleduecento, di questo libro davvero splendido, sembrano la traccia di un vero e proprio romanzo giallo, destinato a non aver soluzione, i cui protagonisti sono cabalisti e rabbini, accademici e maestri itineranti, amanuensi e furfanti. Infatti, i primi frammenti di prosa zoharica apparvero in Castiglia nel 1281 e l'intera raccolta fu elaborata in una trentina d'anni: ma chi era l'Autore? Era un autore singolo, un sapiente il cui nome era stato cancellato dal tempo? Erano più sapienti, autori ciascuno di una singola parte, membri di una accademia segreta? Erano abili manipolatori di testi? Copisti di manoscritti a loro volta copiati da antichi manoscritti? Fortunati custodi di quelle preziose biblioteche che viaggiavano da una sponda all'altra del Mediterraneo e talvolta potevano servire a pagare un riscatto? Non lo sappiamo. Da dove venga lo Zohar
— nonostante la grande fortuna che ebbe nei secoli, non soltanto in ambiente ebraico, rimane un mistero.
Di cosa parla Il libro dello splendore:
questo libro sterminato che amarono Pico della Mirandola e Proust, e lascia il lettore moderno sbalordito per la fantasia inesauribile dei suoi racconti e la bellezza delle sue scenografie cosmiche? Questo libro da cui emana una trepida aria di lacrime e di estenuazioni? Nel quale vediamo dispute interminabili sulla Bibbia? E rabbini che, al lume della candela, studiano tutta la notte? E viandanti notturni che si commuovono osservando le costellazioni, ascoltando il canto degli angeli? Nel quale, finalmente, sentiamo il medesimo profumo che si innalza dalle vecchie case di preghiera di Gerusalemme, o da quelle moderne di Brooklyn tanto ben descritte nei suoi romanzi da Chaim Potok?
La Torah –dice lo Zohar – è stata creata migliaia di anni prima del mondo. Per la verità, sette sono le cose create prima del mondo: la Torah, l'Eden, la Geenna, il Trono della Gloria, il Tempio, il nome del Messia, il pentimento. Dio creò l'universo, guardando la Torah.
Dal mistero inconoscibile, scoccò una «luce di nerezza» che si sparse ovunque, consolidandosi in dieci sefirot: e cioè le dieci manifestazioni della divinità nel cosmo. Le emanazioni, dobbiamo immaginarle come un immenso albero, con immensi rami: l'albero della vita. La «luce di nerezza» è il centro della speculazione mistica: significa che la luce e le tenebre sono legate indissolubilmente, sempre; che una scintilla di luce è nascosta in ogni frammento d'oscurità. E che la sapienza «buona» si può trovare anche in quella «cattiva»: come nella magia, ad esempio.
Nel mondo in cui viviamo, l'oscurità prevale. In quello a venire, ci sarà soltanto la luce; e, dopo la resurrezione dei morti, delle cose che vediamo non resterà nulla: neppure un capello. Il primo uomo fu Adamo: conteneva in sé la parte maschile e quella femminile. Dio, estrasse da lui la donna. Dopo la separazione, la parte maschile e la parte femminile non smettono mai di cercarsi. L'amplesso è il ritorno all'unità: dunque, è momento di gioia infinita. Infatti, non esiste solo l'amplesso dei corpi: esiste l'amplesso di Dio e della sua Sposa, di Dio e della sua presenza nel mondo. Avviene poco prima dell'alba; nell'ora incerta in cui luce e buio si confondono in un colore che potrebbe essere paragonato al colore del mantello di una cerva che fugge: la «cerva dell'aurora». I giusti che vegliano tutta la notte, immersi nello studio della Torah, possono cogliere l'eco dei canti divini e delle benedizioni che accompagnano lo sposalizio.
Il destino dell'uomo è triste e glorioso. È triste, perché deve espiare l'istinto maligno e tornare alla polvere, dopo essere rimasto intrappolato nella Ruota delle rinascite come Adamo (che ben tre volte si reincarnò: in Abramo, Isacco e Giacobbe). Glorioso, perché un giorno conoscerà la vita eterna. Questo avverrà quando il Messia, nell'ultimo giorno, scenderà sulla terra. La sua venuta sarà preceduta da ogni tipo di sciagure: terremoti, devastazioni. Poi, il buio scomparirà: ci sarà soltanto la luce. E tutti avremo accesso a quel Santuario — che già esiste nell'aldilà — in cui splendono migliaia di candelabri, sorgono migliaia di colonne attorno all'unico fondamento che lo sostiene e va dal cielo al monte Sion.
Nell'attesa, quando viene il tempo, Dio chiama l'anima dell'uomo a giudizio. Svariati giorni prima della sua morte (ma anche durante le malattie, anche durante il sonno), l'anima si allontana dal corpo e sale al cospetto del Santo — che non vede: perché neppure Mosè fu in grado di vedere la sua luce — nel luogo del giudizio. Qui, ci sono le «vesti delle anime», costituite dalle buone azioni compiute dai giusti, delle quali, se ne sarà degna, essa stessa potrà rivestirsi, prima di tornare sulla terra.
Che deve fare un uomo giusto per meritare l'amore di Dio? Tre cose, innanzitutto: avere una casa; coltivare una vigna; sposarsi e avere figli. Tutti devono lavorare: pure Dio ha lavorato, quando ha creato il mondo — ricorda lo Zohar. Questo, comunque, è solo il primo passo. Perché, certo, le verità ultime sono occulte. Tutto quello che c'è al di sopra di noi è segreto. È segreto il principio da cui scaturì la «luce di nerezza ». Esistono i colori che si vedono, e i colori che non si vedono: i colori occulti. Esiste il mondo che è stato creato secondo un progetto che si può contemplare, e esiste una traccia invisibile di questo progetto. Però, tutto quello che appare e vive sulla terra ha una corrispondenza altrove. E l'uomo giusto, l'uomo che non smette mai di indagare la Parola, che non smette mai di pregare, riesce a cogliere anche qui un riflesso della «voce splendida e melodiosa con cui le costellazioni inneggiano a Dio».
Dio ascolta le preghiere dei giusti (manda gli angeli alle finestre delle sinagoghe, affinché gliele portino), e ha una profonda compassione per la sofferenza umana. Quando Israele soffre, le lacrime di Dio cascano nel mare, producendo un suono talmente forte che, nella grotta di Malpela in cui sono sepolti, i patriarchi si svegliano. È il suono del dolore di Dio. Sulla terra, ci sono tre suoni del dolore che non si spengono mai: la voce del serpente malvagio, la voce della donna che partorisce, il suono dell'ultimo respiro. Dio vuole liberare l'uomo dal suo dolore. Vuole portarlo nel Santuario: dove ciò che si è fatto piccolo, sarà grande.
Giorgio Montefoschi, dal Corriere della Sera del 19/04/2008