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Avvenire Rassegna Stampa
16.04.2008 L'archelogia israeliana è una scienza, non un' arma di guerra
diversamente da quanto sembra suggerire Giorgio Bernardelli

Testata: Avvenire
Data: 16 aprile 2008
Pagina: 32
Autore: Giorgio Bernardelli
Titolo: «Gerusalemme, la guerra degli scavi»
Gli scavi archeologici a Silwan (Siloe), a pochi chilometri da Gerusalemme, possono essere un ennesimo pretesto per una polemica antisraeliana.
Solo un pretesto, però.
Contrariamente a quanto scrive Giorgio Bernardelli su AVVENIRE del 16 aprile 2008, il fatto che "l’Alta Corte di giustizia israeliana – nei giorni scorsi – ha imposto cautelativamen­te lo stop agli scavi, in attesa di esa­minare il ricorso presentato dagli a­bitanti di Silwan" non prova affatto che "un problema esista realmente" .
Prova che in Israele esistono garanzie legali e istituzionali, che impedirebbero che l'archeologia (israeliana) divenisse un'arma nel conflitto con i palestinesi, anche nell'ipotesi, non dimostrata, che qualcuno volesse renderla tale.
L' archeologia, in Israele, resta una scienza. Come tale accresce le conoscenze, non le cancella. Ricostruire il passato ebraico di Silwan-Siloe non cancella la realtà dell'attuale villaggio arabo.
Il vandalismo  arabo e islamico, invece, come lo stesso Bernardelli deve ricordare, un'arma per cancellare la memoria della presenza ebraica in Terra d'Israele lo è stato più volte. 

Ecco il testo completo dell'articolo:

C’ è il conflitto su Gerusa­lemme che leggiamo tutti i giorni sulle pagine dei giornali. Quello delle intifade, degli scontri verbali tra i leader o dei piani di pace sulle cartine. Ma ce n’é anche un altro che – per definizione – corre sotto traccia. E in queste settimane sta conoscen­do una nuova incande­scente battaglia. Perché – in una città così carica di storia – anche sulla scel­ta di quale passato ripor­tare alla luce si combatte ormai da anni a Gerusa­lemme. È il fronte degli archeologi militanti. Uno dei meno seguiti del conflitto israelo-palesti­nese. Ma non per questo un fronte marginale, come dimostrarono tra­gicamente nel 1996 i morti seguiti al­l’apertura del tunnel archeologico al­l’interno della Città Vecchia.
  Oggi il motivo del contendere è il quartiere arabo di Silwan, a Gerusa­lemme Est, poche centinaia di metri a sud rispetto al Muro del Pianto e al­la moschea di al-Aqsa. Silwan che è poi l’antica Siloe, di cui parla la Bib­bia. Ma è soprattutto la zona in cui – secondo gli archeologi – sorgeva l’an­tica Città di Davide, cioè il nucleo più antico della Gerusalemme ebraica, dove intorno al 1000 avanti Cristo il grande condottiero trasferì la capita­le da Hebron. Il problema è che – do­po essere stata Siloe – dal XVI secolo questa zona di Gerusalemme è di­ventata appunto Silwan. E da quat­trocento anni, ormai, ci abitano de­gli arabi (oggi alcune migliaia). Pri­ma di Davide – invece – era stata la gebusea Shalem, che gli ebrei espu­gnarono. Dunque – a seconda dello strato da cui la si guarda – la sua fi-
sionomia cambia di parecchio.
  La riscoperta della Città di Davide ri­sale al 1867, quando l’esploratore bri­tannico Charles Warren scoprì un an­tico canale che collegava la Città Vec­chia alla sorgente di Ghion. Tra la fi­ne del XIX secolo e l’inizio del XX il ba­rone Edmond de Rotschild, intuen­do
il valore archeologico dell’area, i­niziò ad acquistare terreni nella zo­na. Ma quando alla fine della guerra del 1948 questa parte di Gerusalem­me rimase nelle mani dei giordani, quei terreni andarono persi. E Silwan ricominciò a crescere. Poi venne la Guerra dei sei giorni nel 1967, Geru­salemme passò interamente sotto il controllo israeliano e per gli archeo­logi ebrei si concretizzò il sogno di poter tornare a scavare nelle zone più cariche di storia della Città Santa. Ma a quel punto iniziò la guerra dei se­tacci. Perché in una città come Ge­rusalemme – dove antichi resti e­braici, bizantini e arabi si trovano spesso uno sopra l’altro – scegliere che cosa è più importante salva­guardare è un’operazione molto de­licata.
  A complicare ulteriormente la situa­zione c’è il fatto che l’archeologia è u­na disciplina costosa. E quindi – o­vunque – capita sempre più spesso che le autorità pubbliche affidino gli scavi a fondazioni private. Il proble­ma è che in un contesto come quel­lo israeliano i più disposti a finanzia­re
imprese di questo tipo sono i mo­vimenti legati alla destra religiosa. Così è accaduto che la gestione del sito archeologico della Città di Davi­de sia stato affidato a Elad, un’asso­ciazione legata ai coloni. La stessa che – contemporaneamente – inse­dia famiglie ebree nel mezzo del quartiere arabo, perché Silwan deve tornare a es­sere Siloe. Del resto basta dare un’occhiata al sito internet per scoprire che nella ricostruzione della storia di quest’area ar­cheologica si passa tran­quillamente dal 70 dopo Cristo – l’anno della di­struzione del Tempio – al XIX secolo: dell’esistenza di Silwan non si fa neppure cenno.
  Intanto gli scavi vanno avanti. E l’an­no scorso è arrivata un’altra impor­tante scoperta: quella di un tunnel ri­salente all’età erodiana. È bastato sol­levare
le pietre che lastricavano una strada romana per portare alla luce un condotto largo circa un metro e al­to tre che nell’antica Gerusalemme doveva servire per il drenaggio delle acque piovane (preziosissime in una regione arida come il Medio Oriente). Secondo gli studiosi questo sarebbe inoltre il passaggio nascosto attra­verso cui – come racconta lo storico Giuseppe Flavio – nel 70 d.C. gli ebrei fuggirono da Gerusalemme al tempo della rivolta contro i romani conclu­sasi con la distruzione del tempio. Questa importante scoperta archeo­logica risale all’estate scorsa. Da al­lora, però, gli scavi devono essere ul­teriormente andati avanti. E questa volta sotto le case degli abitanti di Silwan, dal momento che in febbraio gli arabi hanno cominciato a scopri­re alcune crepe sospette nei loro ap­partamenti e in alcune strade. Ne è nata una protesta che ha visto schie­rarsi dalla loro parte anche l’associa­zione ebraica Rabbis for Human Ri­ghts e alcuni archeologi israeliani che non condividono i metodi di Elad. Da qualche settimana hanno anche loro un sito internet () attraverso il quale organizza­no tour alternativi «da Siloe a Silwan». «Non neghiamo l’importanza ar­cheologica della Città di Davide e del tunnel erodiano – ha spiegato al 'Je­rusalem Post', l’archeologo Yonha­tan Mizrachi, uno dei promotori del­l’iniziativa –. Ma l’archeologia non può essere un’arma politica attraver­so cui rivendicare che una terra ap­partiene all’uno e non all’altro. Elad sta gestendo questo sito parlando so­lo del periodo ebraico. Invece qui ab­biamo 20 o 30 strati diversi di storia, che coprono un arco di tempo che va dal 5000 avanti Cristo fino a oggi».
  Che un problema esista realmente lo conferma il fatto che l’Alta Corte di giustizia israeliana – nei giorni scorsi – ha imposto cautelativamen­te lo stop agli scavi, in attesa di esa­minare il ricorso presentato dagli a­bitanti di Silwan. Va ricordato – però – che la guerra degli archeologi ha conosciuto anche capitoli di segno opposto: negli anni Novanta furono infatti gli arabi a compiere scempi gravissimi nei lavori di realizzazione della moschea sotterranea nelle Stal­le di Salomone, sotto la Spianata del­le Moschee. Tonnellate di detriti del monte – che se esaminati con cura a­vrebbero portato alla luce detriti del­l’età del Tempio – furono gettati con i camion in discarica. Quella volta negando così l’esistenza di un’altra storia altrettanto importante in quel luogo a Gerusalemme. Conosce cor­si e ricorsi la guerra degli archeologi a Gerusalemme. E conferma come qualsiasi soluzione politica per il fu­turo della Città Santa abbia bisogno di autorità capaci di salvaguardare davvero quel posto unico che questo luogo ricopre nella storia di tutta l’u­manità.


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