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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Israel Chalfen Paul Celan. Biografia della giovinezza 14/04/2008

Paul Celan. Biografia della giovinezza Israel Chalfen

Traduzione di Alessandra Luise

Giuntina Euro 14

Paul Celan nacque a Czernowitz, città della Bucovina attualmente in Ucraina, il 23 novembre del 1920. Nel nome che porta, anzi nei nomi mutevoli che la sua biografia gli ha assegnato, sta in fondo già iscritto il suo destino. Viene al mondo, infatti, in una famiglia di dotta tradizione religiosa, originaria della Galizia. Il padre Leo aveva conservato il doppio cognome, quello paterno (Teitler) e quello materno, Antschel, che, con una sofferta permutazione di lettere dell’alfabeto ebraico, sarebbe diventato la sigla dell’arte poetica di suo figlio: si tramutò infatti in Celan. Anche la madre di Paul proveniva da un’illustre famiglia chassidica: sarà lei a dargli accesso alla letteratura e alla lingua tedesca. Ma Paul riceve alla nascita, o meglio in quell’ottavo giorno dopo il parto che segna l’ingresso di un ebreo nel patto di Abramo e della sua discendenza con il Signore, attraverso la circoncisione, anche un altro nome. Che come sempre per i neonati d’Israele, viene impartito durante la cerimonia.

Il nome ebraico di Paul è Pessach, cioè Pasqua, o ad essere più precisi "passaggio", perché tale è la traduzione letterale di questo termine. In un giorno imprecisato verso la fine di aprile del 1970, Paul Celan si buttò nella Senna. La Pasqua ebraica – Pessach – cadeva in quei giorni, come a siglare l’appartenenza a un destino che il nome porta inevitabilmente con sé. Perché è così vero che la vita di Celan fu un passaggio, un transito da un dolore a una nostalgia, da una perdita a un ricordo. Dalla Bucovina alla Francia e ritorno – durante gli studi e dopo la guerra. Dal campo di lavoro alla casa dove non trovò più madre e padre, scomparsi nella Shoah. Da una solitudine a un’altra, malgrado gli amori e le amicizie.

Israel Chalfen, nato anch’egli in Bucovina dieci anni e più prima di Celan, emigrato a Praga, Parigi e definitivamente in Israele dove ha fatto il medico, narra ora ai lettori la biografia di questo poeta così enigmatico eppure aperto sulla pagina.

E’ una biografia parziale, perché si ferma all’indomani dell’ultimo "passaggio" di Celan, che nel 1948 si trasferì definitivamente a Parigi. Ma in fondo ci racconta, con garbo narrativo e una vicinanza che il tempo e la distanza geografica non hanno scalfito, gli anni che fondano tutta l’esperienza umana e artistica del poeta.

Quest’esperienza si avvita tutta intorno al terribile momento in cui Celan trova vuota la casa di famiglia. Vuota e serrata dall’esterno. I suoi sono stati deportati: "Albarella, è bianca la tua fronda che guarda nel buio. Bianchi non si fecero i capelli di mia madre. Dente di leone, così verde è l’Ucraina. Non fece ritorno mia madre ch’era bionda."

Celan continuerà per il resto della vita a usare un’unica lingua – matrigna per lui: il tedesco. Che nei suoi versi distilla l’indicibile, dà voce – forse per nostalgia straziata, fors’anche per vendetta, l’unica che la storia gli avesse concesso – al "nero latte" dell’abisso.

Elena Loewenthal

Tuttolibri – La Stampa


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