Sul FOGLIO del 12/04/2008, una analisi di Carlo Panella sulla situazione siriana.
Drammatico golpe di palazzo a Damasco: Assef Shawkat, uomo forte del regime, il più potente dopo Beshar al Assad, capo di tutti i servizi segreti, è stato arrestato tre giorni fa. Il tutto, complicato da una intricata vicenda familiare dalle tinte fosche, degne di una medioevale resa di conti di satrapi. Shawkat, infatti è stato non solo intimissimo amico di Beshar al Assad prima che succedesse al padre Hafez al Assad nel 2000, ma è anche suo cognato, avendo sposato sua sorella Bushra Assad. Matrimonio che ha spaccato in due la famiglia presidenziale: la relazione tra Shawkat e Bushra, infatti è stata a lungo ostacolata da Basil Assad fratello maggiore -e allora erede di Hafez al Assad-, che lo avrebbe anche incarcerato ben quattro volte. Ma Basil morì nel 1994 in un misterioso incidente stradale (probabimente un attentato di regime) e Bushra riuscì a imporsi anche al padre e a sposare Shawkat, nonostante la dura opposizione del fratello minore, Maher. Una opposizione tanto radicale che negli ambienti dell’opposizione siriana si sostiene che nel 1998, durante una lite, Maher ha sparato un colpo di pistola al ventre di Shawkat che -secondo Libération- sarebbe stato inviato in aereo a Parigi per essere curato. Forte dell’amicizia personale con Basher, a cui ha garantito anche la sicurezza personale dopo la morte del padre, Shawkat, nonostante sia di umilissime origini e del tutto esterno ai clan che controllano il vertice siriano (ma è naturalmente di religione alauita e militante del Baath), ha fatto una folgorante carriera che l’ha portato al controllo di tutto l’apparato di intelligence siriano. Carica che lo ha posto al centro di tutte le attività terroristiche dei servizi siriani in Libano, oltre che in una posizione seconda solo a quella di Beshar, quanto a gestione del regime. Non a caso, la prima commissione d’inchiesta Onu diretta da Detlev Mehlis ha apertamente sostenuto che Shawkat -assieme al rivale Maher- era il più probabile mandante dell’assassinio di Rafik Hariri del 14 febbraio 2005.
La gravità delle convulsioni di regime che hanno oggi portato il suo ex intimissimo amico e sodale Beshar al Assad a imprigionare Shawkat, è drammatica per l’evidente legame dell’arresto con l’attentato che costò la vita il 12 febbario scorso a Damasco a Imad Mughniyeh, capo di tutte le operazioni dei pasdaran iraniani all’estero e centrale figura di comando delle milizie di Hezbollah in Libano. Attentato in teoria impossibile, perché Mugniyeh è stato ucciso a Damasco, dove viveva super protetto da una sua imponente scorta e dai migliori uomini, appunto, di Shawkat. Attentato che il regime siriano ha attribuito a Israele -che ha subito smentito- e che oggi alcune voci attribuiscono invece , vuoi a tensioni interne al regime iraniano, vuoi -ma la cosa pare quasi impossibile- all’opera dei servizi segreti dell’Arabia Saudita -sponsor di Rafik Hariri- magari appoggiata proprio da Shawkat. In questo contesto, l’arresto di Shawkat segnala comunque il lento -ma costante- radicarsi di una crisi convulsiva interna al gruppo dirigente Baath, dopo il suicidio-omicidio del 12 ottobre 2005 del ministri degli Interni in carica Ghazi Kanaan e la fuga a Parigi nell’autunno del 2005 dell’ex vicepresidente Abdel Halim Khaddam. Tre pilastri del regime baathista, tre uomini tra i più vicini al presidente Beshar e titolari di fondamentali leve di controllo repressivo del regime siriano e del Libano, sono via via scomparsi dalla scena. Tra le ipotesi possibili, non ultima è quella che vede una certa possibile affinità tra la decisione di Khaddam di fuggire a Parigi e l’ipotizzata intesa di Shawkat con i sauditi nell’attentato contro Mughniyeh. L’uno e l’altro avrebbero cioè tentato -in modi diversi- di imporre al regime una qualche svolta riformista (come fecero, rimettendoci la vita, i generi di Saddam Hussein nel 1995), che staccasse la Siria dall’abbraccio jihadista dell’Iran, la riallineasse su una posizione internazionale vicina alla realpolitik dei sauditi e aprisse sul fronte interno a quelle riforme politiche che Beshar da anni promette, ma che mai avvia. Ma, come il Baath iracheno di Saddam, anche il Baath siriano degli Assad, dimostra di essere incapace di autoriformarsi e soprattutto non intende rispondere positivamente alle profferte di dialogo che vengono dai Democratici Usa e dalla Ue. Da qui lo stillicidio di morti politiche e materiali dei più alti gerarchi di regime. In un contesto in cui l’ala dura del partito e lo stesso Beshar al Assad, danno ampia prova nella crisi istituzionale libanese di non avere nessuna intenzione di scendere a patti, mentre preparano con Hezbollah e con Hamas una nuova iniziativa bellica contro Israele. Molti giornali libanesi, da giorni titolano a piena pagina “Il problema non è “se” scoppierà una nuova guerra, ma “quando scoppierà”. Infatti, tre giorni fa, Israele ha organizzato eccezionali manovre militari che i giornali siriani si sono affrettati a definire “un messaggio di guerra”.
Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.