Tra i cretinetti boicottatori di Israele alla prossima Fiera del Libro di Torino e Sergio Romano la differenza c'è e si vede. Sergio Romano non commetterebbe mai l'errore di manifestare visibilmente sentimenti di ostilità aperta. Romano, come si suol dire, ciurla nel manico. Fa finta di non vedere quello che è in atto, e cioè la totale delegittimazione dello Stato ebraico, e ci propina l'interpretazione dei più classici odiatori di Israele. " Ma noi critichiamo solo la politica del governo ", dicono sempre le anime belle, e, al riparo di questa enorme bugia, si sentono le mani libere per manifestare tranquillamente il loro odio antico verso gli ebrei. Che hanno osato persino avere un loro Stato ! E lo applica alla Germania, interpretando e capovolgendo la realtà con le citazioni che gli fanno comodo. E, soprattutto, evitando con cura la pubblicazione di lettere alle quali gli sarebbe difficile rispondere. " La sua lettera è troppo lunga, certi passaggi potrebbero essere eliminati, le spiace rimandarla come le chiediamo ? ", così la sua segreteria al CORRIERE della SERA, si esprime, quando raramente non viene seguita la pratica del silenzio, con chi scrive argomentando opinioni diverse. Così avviene oggi a pag. 37, in una risposta ad una lettrice, sotto il titolo " Angela Merkel in Israele, l'eredità del passato ". A Romano quel discorso alla Knesset non è andato giù, ed ha aspettato l'occasione giusta per scriverlo. Gli consigliamo di leggersi, sul quotidiano sul quale scrive, sempre in data odierna, la corrispondenza dalla Germania sulle responsabilità delle Ferrovie tedesche durante il Terzo Reich. E che pubblichiamo oggi su IC. E' un passato che fatica a passare, ma questo non turba lo storico Romano. Lui si preoccupa che il sostegno a Israele, ripetiamo a Israele, non ad un suo qualche governo, rimanga entri certi limiti, il che, tradotto, significa uguale a zero. Il tutto nella trepida attesa che Mister Ahmadinejad si sbrighi a procurarsi la bomba.
Ho letto sul Corriere
l'articolo di Danilo Taino, corrispondente da Berlino, sul libro «Le Benevole» di Jonathan Littell. In questo libro l'autore afferma che lo sterminio nazista non fu Ho letto sul Corriere
l'articolo di Danilo Taino, corrispondente da Berlino, sul libro «Le Benevole» di Jonathan Littell. In questo libro l'autore afferma che lo sterminio nazista non fu compiuto da pochi capi, psicopatici o sadici, ma da buona parte della volenterosa popolazione tedesca. Questo articolo mi ha fatto venire in mente un incontro, a metà degli anni '70, con alcuni ragazzi tedeschi in vacanza sul Lago di Garda. Erano studenti liceali, abitanti a Monaco di Baviera. Parlando con loro in inglese scolastico, mi dissero, tra le altre cose, che a scuola non si parlava di quanto avvenuto durante gli anni di Hitler, nemmeno dei campi di concentramento (vicino c'è il campo di Dachau). Forse solo ora la Germania sta veramente elaborando il male commesso. Forse bisognava aspettare che arrivassero le generazioni nate dopo la II Guerra Mondiale, più obiettive su quanto accaduto. Anche la recente visita della Cancelliera Angela Merkel in Israele forse ne è un esempio.
Emanuela Bassan
Badia Polesine (Ro) Cara Signora,
L' ignoranza del passato, che lei ha riscontrato conversando più di trent'anni fa con alcuni liceali tedeschi, fu in realtà un fenomeno europeo. Per molti anni, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, le scuole adottarono gli stessi manuali che erano stati usati negli anni precedenti e i docenti evitarono generalmente gli avvenimenti più critici e controversi del Novecento. Vi furono alcune interessanti iniziative franco-tedesche e tedesco- polacche per la preparazione di testi scolastici in cui la prima e la seconda guerra mondiale sarebbero state raccontate da un punto di vista distaccato e neutrale. Ma l'insegnamento della storia fu generalmente «patriottico », vale a dire ispirato dalla convinzione che era meglio non mettere troppo in evidenza le colpe e gli errori del proprio Paese.
La rottura avvenne con i movimenti studenteschi degli anni Sessanta in tutte le democrazie occidentali e fu generazionale. La rivolta contro i padri divenne rapidamente un processo ai valori, ai miti, alle credenze del passato recente e al modo in cui gli stessi padri avevano attraversato i maggiori avvenimenti del secolo. Gli americani cominciarono a parlare della sorte toccata agli indiani durante la grande corsa all'ovest della seconda metà dell'Ottocento. Gli inglesi cominciarono a interrogarsi sulla natura «rapace» del loro imperialismo. I francesi e gli italiani tirarono fuori dagli archivi le pagine meno nobili e le imprese meno confessabili del loro colonialismo. E i tedeschi cominciarono a fare i conti con la loro storia. È questo il momento in cui il genocidio ebraico della Seconda guerra mondiale e le leggi razziali adottate da alcuni Paesi, fra cui l'Italia, assumono maggiore evidenza e provocano dibattiti nazionali in quasi tutti i Paesi europei. Naturalmente i maggiori effetti di questa tendenza cominciarono ad avvertirsi nelle scuole soltanto quando i giovani del '68 divennero a loro volta docenti e cominciarono a insegnare una storia alquanto diversa da quella che era stata insegnata negli anni precedenti. I liceali tedeschi che lei ha incontrato, cara Signora, sono forse gli ultimi educati «all'antica». Da allora il clima delle scuole tedesche è certamente cambiato.
La visita del cancelliere Angela Merkel in Israele e il suo discorso alla Knesset (il parlamento israeliano) appartengono quindi a questa tendenza introspettiva e penitente delle società europee durante gli ultimi decenni. Ma potrebbero anche essere una delle sue ultime manifestazioni. Il discorso di Angela Merkel è parso a parecchi tedeschi troppo filo israeliano. La Süddeutsche Zeitung, il grande quotidiano di Monaco, ha scritto che «i tedeschi devono fare attenzione a non commettere l'errore del presidente George Bush ed essere parte nel processo di pace. La signora Merkel deve mantenere la sua indipendenza e criticare Israele direttamente per la sua politica di occupazione e di insediamenti. Un vero amico dice la verità». Dal canto suo, Bild, il quotidiano popolare che vende alcuni milioni di copie, ha fatto presente che la solidarietà verso lo Stato ebraico potrebbe dimo-strarsi pericolosa e imporre a Berlino, un giorno, di prendere le difese di Israele: «A Gerusalemme il discorso della signora Merkel non sarà dimenticato. Chi si dice così dichiaratamente amico e alleato dello Stato ebraico deve sapere che le sue parole sono prese alla lettera».
Queste reazioni non significano che la Germania stia dimenticando le sue responsabilità. Tutte le sue iniziative, dall'apertura a Berlino di un grande museo ebraico alla costruzione di un enorme memoriale dedicato all'Olocausto, dimostrano che la Germania è consapevole delle proprie responsabilità. Ma anche in Germania, come in altri Paesi, è oggi più diffuso il convincimento che le critiche della politica israeliana non possano essere considerate manifestazioni di antisemitismo.
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