Moqtada Sadr e la lotta tra costituzionalismo e fondamentalismo nell'islam sciita l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 11 aprile 2008 Pagina: 0 Autore: Carlo Panella Titolo: «Moqtada Sadr accentua la spaccatura del clero sciita: costituzionalisti iracheni contro fondamentalisti iraniani»
Da Il FOGLIO dell''11 aprile 2008:
L’ayatollah al Ali Sistani è sceso in campo, per l’ennesima volta, contro Moqtada Sadr e gli ha ricordato che “la legge è l’unica autorità nel nostro paese”. Parole che mettono in difficoltà il leader -discusso- dell’Esercito dal Mahdi, che tre giorni fa, per bocca del suo collaboratore Hassan al Zargani aveva così risposto alla decisione del governo di al Maliki di escludere il partito di Moqtada (27 parlamentari) dalle prossime elezioni amministrative se le Milizie del Mahdi non fossero immediatamente sciolte: “Se l’ordine dei leader religiosi sarà di sciogliere le Milizie del Mahdi, Moqtada Sadr obbedirà”. Ma oggi che l’ordine della più alta autorità religiosa sciita è di fatto arrivato, è assai improbabile che Moqtada obbedisca e che ordini ai suoi armati di consegnare le armi. Armi che al Maliki ha ieri ordinato di compensare secondo una scala di valore, resa nota dal generale Muhammed: un milione di dinari, circa 830 dollari, per ogni mortaio da 120 millimetri e per ogni mitra pesante (Dimitrov); 100 dollari per ogni mitra Ak-47 Kalashnikov; 45 dollari per ogni granata; gli ordigni di fabbricazione iraniana, verranno ricompensati con 290 dollari, e 210 dollari per gli ordigni di fabbricazione locale. La motivazione che Moqtada con ogni probabilità addurrà per disattendere alle nette indicazioni di al Sistani è di fondamentale rilevanza: al Sistani è sì la più alta e autorevole autorità religiosa sciita, espressione della Marjà di Najaf (composta da 5 “grandi ayatollah”), il centro spirituale di tutti gli sciiti del mondo, ma è da sempre non riconosiuto come leader religioso da Moqtada stesso ed è in aperto, radicale contrasto con gli ayatollah iraniani seguaci di Khomeini. Dal 1979 a oggi è stato infattiil più fermo avversario dottrinale e politico della stessa struttura della Repubblica Islamica dell’Iran che giudica “non consona” ai precetti islamici. Quando Moqtada proclama di attendere le indicazioni dei “leader sciiti”, non si riferisce affatto dunque alla Marjà di Najaf -che nel 2004 tentò addirittura di conquistare manu militari, assediando lo stesso mausoleo della città- ma agli ayatollah seguaci di Khomeini che risiedono nella università coranica di Qom, in cui lui stesso è oggi rifugiato per proseguire i suoi studi religiosi (è un semplice mullah) e per sfuggire alla cattura da parte del governo al Maliki. Tra gli ayatollah di Qom, per di più, Moqtada Sadr ha deciso di considerare “modello da imitare” -classica definizione sciita- l’ayatollah Mezbah Yazdi e l’ayatollah Ahmed Jannati, presidente del Consiglio dei Guardiani, e imam della preghiera di Teheran. Yazdi e Jannati sono supporter di Mohammed Ahamdinejad (Jannati ha falcidiato le candidature degli esponenti riformisti nelle ultime elezioni), tanto che uno dei loro più stretti collaboratori a Qom, l’ayatollah Moshen Gharavian, ha emesso il 21 febbraio scorso una fatwà in cui sostiene che “l’impiego di armi nucleari come contromisura è pienamente in linea con la sharia”. L’appello di Moqtada ai leader religiosi -a quelli iraniani, non a al Sistani- perché se pronuncino sullo scioglimento delle Milizie del Mahdi non è dunque un gesto di pacificazione, ma punta a acutizzare al massimo non solo lo scontro con il governo al Maliki, ma anche e soprattutto le tensioni che travagliano il corpop religioso sciita, tanto che, ieri ha detto ai suoi sostenitori “non deponete le armi, che saranno consegnate solo ad un governo che riuscirà a liberare il Paese dall’occupante”. Le conseguenze di questa dinamica saranno sempre più radicali nella collocazione della leadership politica sciita di Baghdad. Sia il premier al Maliki, che il suo partito, il Dawa, che Abdulaziz al Hakim e il suo partito Sciri, saranno sempre infatti più spinti ad appoggiarsi all’indispensabile magistero religioso di al Sistani e a schierarsi apertamente contro il magistero degli ayatollah oltranzisti iraniani. Alle loro solide ragioni per contrastare la volontà politica dell’Iran di Ahmadinejad di imporre la sua influenza -tramite la Milizia del Mahdi- su tutto il sud Iran e su Bassora, si sommerà con sempre maggiore nettezza la spinta a rifiutare ogni autorevolezza religiosa agli ayatollah di Qom. Per le caratteristiche dei loro partiti -lo stesso al Hakim è ayatollah- questo comporterà una separazione sempre più netta di tutti i tanti loro quadri dirigenti che appartengono al clero sciita, dai loro confratelli iraniani. La divaricazione all’interno della cosiddetta “chiesa sciita”, sinora sottotraccia, tra il ramo iracheno -tradizionalmente egemone- e quello iraniano -forte dell’esperienza rivoluzionaria khomenista- sarà dunque sempre più accentuata. Tanto più, quanto la vera gestione della “battaglia per Bassora” passerà dalle mani di Moqtada al Sadr a quelle dei pasdaran iraniani, veri strateghi degli scontri delle ultime settimane contro l’esercito di Baghdad. Il noto analista Amir Taheri ha infatti rilevato recentemente sul New York Post che “anche il tipo di armi usate sia nella capitale, sia a Bassora, suggerisce un coinvolgimento straniero almeno parziale. I ribelli a Bassora stanno utilizzando un grande quantitativo di veicoli corazzati per spostare uomini e materiale sul fronte di guerra. Si tratta di un qualcosa che nessun’altra milizia – tantomeno quella del Mahdi – ha mai fatto. Stanno anche utilizzando l’artiglieria pesante, lanciarazzi semoventi e raffinati sistemi di comunicazione, tutte attrezzature normalmente fuori portata per la milizia tradizionale”.
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