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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.04.2008 Barack Obama incassa il sostegno dei palestinesi
che sperano, con lui alla Casa Bianca, in una svolta antisraeliana

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 aprile 2008
Pagina: 16
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «I palestinesi "Obama è con noi"»
Dal CORRIERE della SERA dell'11 aprile 2008 un articolo di Paolo Valentino sul sostegno dei palestinesi a Barack Obama.
Al proposito del quale ci limitiamo a un'osservazione. E' falso  che Rashid Khalidi, amico personale di Obama, sia un palestinese moderato. Il centro del suo insegnamento alla Columbia  University e dei suoi saggi risiede infatti nella delegittimazione di Israele, nella negazione del suo diritto all'esistenza.

Ecco il testo completo dell'articolo:


WASHINGTON — Se fosse eletto presidente, Barack Obama continuerebbe a considerare Israele «il più forte alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente», ma sarebbe molto più incline ad assumere una posizione più equilibrata nel conflitto con i palestinesi, ascoltando anche le ragioni di questi ultimi.
Lo spiega il candidato democratico alla Casa Bianca, in una lunga intervista alla
JTA, l'agenzia di informazione ebraica, sicuramente destinata a sollevare nuovi dubbi e polemiche del fronte conservatore sulla solidità dell'impegno di Obama nei confronti di Israele.
«Io non mi considero in nessun campo, tranne quello del buon senso», risponde il senatore dell'Illinois alla domanda se favorisce chi considera l'alleanza con lo Stato ebraico una priorità assoluta, ovvero chi chiede un approccio più bilanciato. E aggiunge: «È una pericolosa semplificazione pensare che la nostra unica opzione in politica estera sia accettare senza discutere il nostro approccio tradizionale alla questione arabo-israeliana o, alternativamente, non riconoscere il legame speciale che c'è tra noi e Israele».
Secondo Obama, il ruolo degli Usa «richiede di ascoltare e parlare a entrambe le parti». Sia Israele che l'Autorità palestinese devono essere «considerati responsabili per gli accordi firmati», anche se il candidato democratico riconosce che «il mancato rispetto delle passate intese è avvenuto più spesso nel campo palestinese, soprattutto per quanto riguarda la prosecuzione della violenza».
L'intervista alla JTA cade mentre Barack Obama è nuovamente sotto il microscopio dei media americani, sul tema più Candidato Il senatore Obama esplosivo del dibattito politico. Nel vetrino non sono più tanto i suoi rapporti con il reverendo Jeremiah Wright, il pastore della Trinity United Church di Chicago che maledice l'America e non nasconde idee anti-semite, che Obama ha condannato senza però sconfessarlo del tutto. A mettere in allarme i sostenitori di Israele, è anche la nomina nel suo team di politica estera di Daniel Kurtzer, ex ambasciatore Usa in Egitto e a Gerusalemme, autore di un libro sui negoziati di pace in Medio Oriente, nel quale invoca una maggior pressione americana sullo Stato ebraico, che secondo lui non avrebbe pagato alcun prezzo per il mancato smantellamento degli insediamenti nei territori occupati, come invece aveva promesso. Kurtzer, ex speech-writer di James Baker quando questi era segretario di Stato, non è mai stato una figura popolare in Israele, dov'è considerato troppo filo-palestinese. Insieme a Robert Malley e a Samantha Power, dimessasi dalla campagna per aver definito Hillary un mostro ma ancora influente, Kurtzer è considerato parte di un nucleo di consiglieri meno favorevole verso Gerusalemme.
Sin da febbraio, Obama ha cercato di parare le critiche, dichiarandosi più volte «incrollabile sostenitore di Israele e delle sue esigenze di sicurezza». E molti leader della comunità ebraica americana gliene hanno dato atto, mentre sul piano elettorale gli attacchi hanno avuto poco effetto.
Ma la percezione di un candidato più sensibile alla causa palestinese rimane. Secondo un'inchiesta pubblicata ieri dal
Los Angeles Times, i palestinesi d'America sono convinti a torto o a ragione che Obama sia il loro uomo. A riprova viene citata la sua lunga amicizia personale con Rashid Khalidi, oggi docente di studi arabici alla Columbia University, forte critico di Israele e già consigliere di Yasser Arafat nei negoziati di Daytona. Khalidi è un moderato, che condanna la violenza di Hamas e definisce crimini di guerra gli attentati dei kamikaze, ma difende il diritto dei palestinesi a resistere all'occupazione israeliana. Un altro attivista palestinese di Chicago, Ali Abunimah, ha detto al quotidiano che Obama si sarebbe scusato per non poter parlare di più della causa palestinese durante la campagna elettorale. Il portavoce di Barack, David Axelrod, ha smentito che il senatore abbia mai pronunciato quelle parole.

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