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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Irène Némirovsky I cani e i lupi 07/04/2008

I cani e i lupi Irène Némirovsky

Traduzione di Marina Di Leo

Adelphi Euro 18,50

La parola "pogrom" era proibita in casa di Irène Némirovsky. La figlia Elisabeth racconterà che, da bambina, non sapeva esattamente cosa fosse. Ma immaginava confusamente qualcosa di terribile, del genere dei massacri di settembre del 1792 a Parigi, e allora la piccola fantasticava di essere condotta, su una carretta, alla ghigliottina. Ne I cani e i lupi, il romanzo del 1940 di Irène Némirovsky, un pogrom, quello terribile del 1905 a Kiev, è raccontato da una bambina. Nel 1905, lo zar, per mascherare lo sfascio dell’impero – la sconfitta col Giappone, gli scioperi generali, che da Odessa sciamavano ovunque – lasciò che si scatenasse la furia contro gli ebrei. Era il settimo pogrom dal 1821, tutti tacitamente autorizzati – come rievocano con atroce magia Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt nella recente "Vie d’Irène Némirovsky" (Grasset – Denoel) – ma fu il più sanguinario; in Ucraina, perirono in otto giorni ottomila ebrei.

I cani e i lupi ignora tutto questo. C’è solo l’indignazione di due bambini, Ada e Ben, quando vengono afferrati dai parenti, strattonati e sospinti per una scala a pioli su un abbaino, dentro a un baule polveroso: "Zitti; non muovetevi; non piangete". La scala è ritirata; i parenti scompaiono. Lontano, i suoni di una baraonda; una donna strillava come se la sventrassero. Affamati i bambini si annoiano. Inventano un gioco; e subito sono raggianti; poi per spossatezza si addormentano. All’alba, una zia li spinge per strada; è livida e senza cappotto; i bambini, litigando tra loro, passano nelle vie saccheggiate; vetri rotti, una scarpa da donna col tacco storto; tutto sfasciato. Presto, presto, li incalza la zia – di là no, la avvisano dei passanti; che devo fare? Geme lei, mentre li sorpassano, tra i nitriti dei cavalli, i cosacchi devastatori. Nella confusione, i bambini si perdono. Tale è il caos, che le barriere sociali cadono.

Soli nella notte, zoppicanti e senza forze, i bambini infatti si ritrovano in una delle strade più ricche e tranquille di Kiev. La città – è il grande tema de I cani e i lupi – è divisa in due. C’è la città bassa, dove – tra bambini vestiti di stracci che giocano nel fango, e gli scarafaggi tollerati perché segno, in una casa, di ricchezza – gli "ebrei infrequentabili" fanno piccoli affari, comprando e vendendo barbabietole, zucchero, e qualsiasi cosa. Poi ci sono le ville e i quieti viali di tigli, nella città alta che accoglie alcune famiglie di ebrei ricchissimi.

Nella notte del pogrom, i due bambini del ghetto suonano al cancello dorato di parenti ricchi, che, con diffidenza, li accolgono – raramente i pogrom violano la città alta. Ada vede così da vicino un bambino ricco, col suo collarino immacolato; è Harry Sinner; lo rincontrerà.

La vita sordida della città bassa e il lusso dei Sinner sono narrati col respiro ampio e magistrale consueto alla Némirovsky; ritmo che di colpo si rastrema in una nota dissonante, un punto di vista inaudito che insegna una verità più profonda. Le "juiveries" sono a volte così convenzionali e atroci – "le unghie ingiallite e adunche" – che Irène nel 1940 scrisse che la sua era "una storia di ebrei", e "in letteratura non ci sono tabù". Ma il sorriso "mellifluo" della madre di Harry alla ragazza francese che il figlio vuole sposare – "le dava l’aria di una vecchia rigattiera alle prese con una cliente" – è certo un sorriso da città bassa; il sorriso dell’incertezza: le fortune tra gli ebrei sono improvvise e veloci, e questo li rende instabili e pieni di desiderio. Le due città si confondono; e intanto quel sorriso si è trasformato in un’indimenticabile metafora dell’eterno, e generale, bisogno.

Dalia Galateria

Almanacco dei libri – La Repubblica


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