La REPUBBLICA,oggi 05/04/2008, a pag.29, pubblica un articolo scritto dalla regina di Giordania, Rania, dal titolo " Quei bambini di Gaza che sognano la scuola ", che il quotidiano presenta con questa frase dal testo " Nei territori sono negati i diritti elementari dell'infanzia. Giocare, avere cibo a sufficienza, luce in casa per studiare, un posto dove sentirsi al sicuro ". Forse la regina di Giordania farebbe bene a chiedersi come mai a Gaza il sogno dei bambini si trasforma sovente in un incubo, chiedendosi altresì di chi sia la responsabilità. Chi siano cioè quegli adulti che a Gaza impiegano le loro forze non a garantire ai bimbi quello che Raina si augura possano avere, ma che occupano tempo e attività nel lanciare missili contro Israele e massacrare altri musulmani. Re Hussein, che precedette il marito di Raina sul trono di Giordania, la questione palestinese nel suo paese l'aveva risolta subito, ed modo tale che non si è più ripresentata. Ne fece fuori diecimila in quella strage che fu ricordata come " Settembre nero". Diciamo ricordata così per dire, perchè in effetti non viene mai citata da nessuno. Non diciamo che Israele deve imitare la Giordania, ma la regina, invece di alzare il regal ditino, ed augurarsi che i " bambini palestinesi ed israeliani meritano di crescere in pace", si chieda quali sono le condizioni nelle quali si trova ad agire Israele. E' vero che anche i bambini israeliani, come quelli di Gaza, non crescono in pace. ma non ci risulta che Israele voglia buttare i palestinesi in mare, nè che aggredisca i paesi confinanti. Si limita a difendersi, cosa difficile in quella regione, a meno di usare i sistemi del "piccolo re Hussein", che tutti hanno sempre definito . Forse saggio sì, certamente sbrigativo.
Ecco il regal compitino:
Ma, nella ristretta aula scolastica che divide con altri 47 compagni di classe, dove il doppio turno è la norma, le condizioni di apprendimento sono molto stressanti. La casa, poi, non è un rifugio sicuro: la recente incursione a Jabalia è avvenuta a 200 metri da dove Ayman vive. Le sparatorie e i bombardamenti hanno terrorizzato così tanto la sorella di 5 anni che continua a svegliarsi di notte urlando.
L´esperienza di Ayman è fin troppo comune negli affollati e disastrati quartieri di Gaza, dove le persone meno responsabili dei disordini sono quelle che soffrono di più. In realtà, tra gli 840.000 bambini di Gaza, dei quali 588.000 sono rifugiati, la storia di Ayman è migliore di quella di molti altri. Dopo la recente escalation di violenze del mese scorso, almeno 33 bambini e bambine palestinesi sono stati uccisi e molti altri feriti o mutilati, intrappolati nel fuoco incrociato, colpiti da proiettili nelle proprie abitazioni, o da esplosioni nel proprio cortile di casa. Il 28 febbraio, 4 bambini che giocavano a pallone sono stati centrati da un missile, che li ha letteralmente smembrati, impedendo alle famiglie perfino di riconoscerne i corpi.
Ayman, i suoi fratelli e tutti i bambini di Gaza vedono la propria esistenza quotidianamente avvilita; un soffocamento lento e crudele del loro spirito e dei loro sogni. Invece di godere di prospettive migliori per il futuro, sono intrappolati in una prigione virtuale, dove le cose che ogni bambino dovrebbe avere garantite gli sono invece portate via: il diritto a giocare, ad andare a scuola, ad avere abbastanza da mangiare, luce sufficiente per studiare di sera, e una casa dove sentirsi al sicuro. Il peso di uno dei più lunghi conflitti in corso al mondo grava sulle loro esili spalle, schiacciandone l´infanzia e infliggendo loro cicatrici psicologiche che potrebbero non rimarginarsi mai.
I palestinesi un tempo erano considerati tra i popoli meglio istruiti del Medio Oriente; oggi, dopo anni di violenze, isolamento e povertà, la loro fiera tradizione di un´eccellente istruzione è stata ridotta in pezzi. Circa 2.000 bambini di Gaza hanno dovuto abbandonare la scuola negli ultimi 5 mesi. Quelli che vi sono rimasti devono dividersi libri ridotti a brandelli, e fare a meno di risorse essenziali.
Gli esami semestrali del gennaio 2008, organizzati nelle scuole di Gaza dall´Unrwa, l´agenzia dell´Onu per i rifugiati palestinesi, registrano tassi di mancato superamento dei test del 50-60% per la matematica e del 40% per l´arabo, la lingua madre dei bambini palestinesi. Ciò nonostante, Ayman insiste: «Voglio essere una persona istruita. Voglio diventare un ingegnere per ricostruire il mio paese».
Mentre celebriamo la "Giornata del bambino palestinese", ricordiamo al mondo che la crisi di Gaza è un disastro provocato dalla mano dell´uomo. E prenda nota, il mondo, che le condizioni di oggi sono le peggiori di sempre, da quando è iniziata l´occupazione. Il 79% delle famiglie di Gaza vive in povertà e 8 su 10 dipendono dall´assistenza alimentare. Quasi la metà della forza lavoro è disoccupata, mentre l´industria locale è collassata. I sistemi idrici e fognari non funzionano, l´immondizia continua ad accumularsi nelle strade.
L´Unicef combatte contro il tempo per ripristinare un senso di normalità nella gioventù di Gaza, mettendo in piedi corsi di recupero scolastico per aiutare i bambini a proseguire gli studi; attuando programmi sportivi e socio-ricreativi nelle scuole; collaborando con le autorità scolastiche per creare spazi protetti per il gioco dove i bambini possono restare, in sicurezza, bambini. L´Unicef e i suoi partner lavorano per portare acqua, prodotti igienici e medicinali a famiglie ed ospedali. E i team di psicologi sostenuti dall´Unicef sono dislocati in tutta l´area, aiutando genitori e bambini palestinesi a far fronte allo stress emotivo.
Ma mentre l´Unicef fa tutto ciò che è in suo potere per offrire conforto nel mezzo della follia di Gaza, solo i leader politici possono mettere fine a questo incubo terrificante. È il momento per un rinnovato impegno. L´assedio deve essere tolto. L´uccisione di civili deve finire. Da ambo le parti.
I bambini palestinesi ed israeliani meritano di crescere in pace. E i leader di ambo le parti, assistiti dalla comunità internazionale, devono unirsi in un giusto dialogo che è la sola strada percorribile per rendere ciò possibile. Il padre di Ayman, con calma, dice: «I miei figli sono la mia speranza». I bambini di Gaza sono un raggio di luce nell´oscurità. Meritano un´occasione per poter splendere
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