Se non è il palestinese, è il beduino nuovi pretesti per attaccare Israele
Testata: Il Manifesto Data: 01 aprile 2008 Pagina: 18 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Beduini, gli israeliani delle riserve»
Un tema della propaganda antisraeliana, secondario, ma sfruttabile quando la cronaca quotidiana del conflitto con i palestinesi non fornisce altri pretesti, è quello dei cittadini beduini.
I problemi di integrazione in una società moderna di una popolazione non stanziale, e i problemi delle città di sviluppo (che riguardano anche quelle a maggioranza ebraica), vengono enfatizzati, quando non distorti, per confermare la calunnia che bolla Israele come "Stato di apartheid".
Sul MANIFESTO del 1 aprile 2008, l'operazione è condotta da Michele Giorgio, anche con l'ausilio di un rapporto dell'organizzazione Human Rights Watch, il cui gruppo dirigente include notoriamente attivisti antisraeliani la cui agenda è politica, non umanitaria.
Per una prima informazione sul tema dei beduini, si veda la relazione di Enrico Fubini al convegno di Hasbarà di Torino del febbraio 2008, visibile e ascoltabile a questo link
Era una bella giornata di sole quel 3 marzo 2003, non c'era la cappa di nuvoloni gonfi di sabbia che grava in questi giorni sul deserto del Negev. Ghazi ricorda bene cosa accadde in quell'inizio primavera di 5 anni fa. «Udimmo avvicinarsi lentamente un motore ad elica - racconta sollevando - poi, quando l'aeroplano fu sopra di noi e i nostri campi, una pioggia strana, dall'odore pungente bagnò tutta la zona». Quella mattina su Ghazi e gli altri abitanti di Abda intenti a lavorare la terra arsa dal calore, non scese l'acqua tanto desiderata da chi vive nel deserto e gioisce anche per poche gocce di quel liquido prezioso. «Erano pesticidi o qualcosa di simile - continua Ghazi - e quella doccia inattesa non risparmiò anziani e bambini, molti dei quali poi accusarono problemi respiratori e svenimenti». I più piccoli furono presi dal panico. «Era imminente l'attacco americano all'Iraq - dice Abel Rahman del locale comitato popolare - e i bambini avevano appena ricevuto le maschere antigas dal governo, perciò immaginarono un raid aereo iracheno e si spaventarono molto». Qualcosa di simile accadde anche ad al-Gharir e in altre località ma il fatto non destò l'interesse dei media internazionali e locali, troppo presi dall'avvelenata vigilia dell'invasione anglo-americana dell'Iraq. Le autorità israeliane spiegarono che sulle mappe ufficiali non risultavano insediamenti abitativi in quella zona e che «l'irrorazione» aveva avuto lo scopo di eliminare coltivazioni illegali nelle terre dello Stato. Ma gli «insediamenti abitativi» c'erano, la loro assenza dalle carte un pretesto. I circa 140mila beduini cittadini di Israele, allora come oggi, in molti casi abitano in località non riconosciute che , il più delle volte, esistevano già prima della fondazione dello Stato ebraico. Sono una quarantina i piccoli villaggi e insediamenti beduini «inesistenti». Sono fatti di povere case costruite con materiali altrettanto poveri, che confermano la discriminazione economica e sociale ai quali sono soggetti i beduini che pure, a differenza degli altri palestinesi con cittadinanza israeliana (1.5 milioni su 7), ogni anno a centinaia (forse più) si arruolano da volontari nelle forze armate dove vengono impiegati in missioni sporche contro i palestinesi e inseriti in unità che operano lungo in confini. Eppure tanta dedizione non basta a renderli cittadini di serie A e ad ottenere giustizia. Quelli di Abda nel 2003 la giustizia la invocarono, così come avevano fatto nel 1992 quando per 6 mesi tennero issata una tenda di protesta davanti alla sede del governo per chiedere il riconoscimento del villaggio. Ma alla doccia chimica seguì poco dopo la doccia fredda dell'espulsione dalle loro terre. «Ci portarono via all'improvviso - racconta Mansur, che lavora come manovale a Bersheeva - i funzionari del governo ci invitarono, di fatto obbligarono, a lasciare le nostre case e ci spostarono con la forza a 4 chilometri di distanza. Dissero che nelle nostre terre c'erano resti archeologici dei Nabatiyyun (Nabatei) da sfruttare a scopi turistici e, ci assicurarono, che lo Stato avrebbe trovato a tutti noi una sistemazione dignitosa».Invece a distanza di 5 anni nella nuova Abda di dignitoso c'è ben poco. Mancano le infrastrutture, il sistema educativo è carente, l'assistenza sociale inesistente. «Per anni ci hanno esortato ad approfittare di quella che descrivevano come una buona occasione di vivere nelle nuove cittadine che avevano pianificato per noi. Ci parlavano di comodità e di servizi ma si è rivelato tutto un bluff», spiega Khir al Baz, una assistente sociale. Girando le strade dei centri abitati beduini, legali o «abusivi», ci si rende conto della miseria a cui sono condannati i beduini israeliani, inclusi quelli della Galilea che pure si ritengono «fortunati» rispetto a quelli nel Negev. Persino la «riconosciuta» Rahat, con i suoi 40mila abitanti, è un immenso dormitorio, privo fino a poco fa anche dell'ufficio postale. «Quando ero più giovane credevo che arruolandomi nell'esercito avrei risolto tutti miei problemi - spiega Firas, un amico di Ghazi - invece è cambiato ben poco, i benefici sono stati minimi e ho capito rimarrò sempre un cittadino non uguale agli altri». E' stato Ariel Sharon, l'ex premier israeliano (da oltre due anni e' in stato di coma profondo), ad aver varato i piani per risolvere il «problema beduino». Fu lui che nel 1978 istituì la «polizia verde» incaricata di individuare e rimuovere i campi di tende e le case abusive nel Negev. Piani ribaditi dopo il 2001 quando, divenuto premier, si è deciso a spazzar via i centri abitati non riconosciuti per fare posto a 2-3 nuove città per immigrati ebrei da insediare nel deserto del Negev (1/3 del territorio israeliano). Tutto questo senza tener conto che quelle terre erano abitate da questo popolo nomade che rifiuta di essere chiuso nelle «città di sviluppo». A denunciare la condizione beduina è stato ieri anche Human Rights Watch che ha presentato a Gerusalemme un lungo e dettagliato rapporto per contestare la linea dello Stato di Israele verso i suoi cittadini beduini. «Questa politica ha messo i beduini in una situazione penosa - ha spiegato Joe Stork, direttore dell'ufficio mediorientale di Hrw -. Lo Stato in molti casi li ha obbligati a lasciare le loro terre per centri abitati in realtà privi di tutto, persino dell'elettricità e dell'acqua». Dagli anni '70 in poi, ha aggiunto, ai beduini sono state demolite migliaia di case con il pretesto della loro «illegalità» e per il fatto che erano situate in aree naturali protette che poi, dopo qualche tempo, sono diventate edificabili per le autorità locali ebraiche. Questo mentre rimangono semivuoti gli oltre 100 piccoli centri abitati ebraici costruiti nel Negev. «Israele è pronto a costruire nuove città nel Negev per i cittadini ebrei ma lo vieta ai suoi cittadini beduini che hanno vissuto e lavorato in quei luoghi per generazioni», commenta Stork.
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