Sul CORRIERE della SERA di oggi, 30/03/2008, a pag.28, l'analisi di Antonio Ferrari sul vertice della Lega Araba a Damasco. Il titolo recita " Lega araba, il vertice inutile". Noi avremmo aggiunto "dannoso". In mezzo alle molte assenze, si nota la presenza di Abu Mazen. Se è partner del processo di pace, che ci è andato a fare a Damasco ?
La Siria è vittima della propria ostinazione, quindi complice del proprio destino. Il ventesimo vertice della Lega araba, che si è aperto a Damasco e che avrebbe dovuto celebrare il recuperato prestigio del Paese di Bashar el Assad, è fallito prima di cominciare. Persino l'ipocrisia diplomatica che aveva ammantato i summit precedenti, dove si giustificavano le assenze e si nascondevano i fallimenti, è stata tradita. Un vero disastro: politico e d'immagine. Soltanto la volontà di isolarsi, con accanto l'alleato e «osservatore» Manoucher Mottaki, ministro degli Esteri iraniano, può spiegare la sicumera siriana attorno a un tavolo con pochissimi capi di Stato e molte comparse.
Più che la divisione fra amici degli Usa (gli assenti) e avversari degli Usa (molti fra i presenti), a provocare il sostanziale boicottaggio di oltre metà dei leader arabi, che hanno inviato rappresentanti di basso profilo, conta il secco rifiuto a partecipare del Libano, al quale è dedicata gran parte dei lavori del summit. Beirut è senza presidente dalla fine di novembre, e i motivi della mancata elezione, dopo 17 tentativi a vuoto, si spiegano soltanto con l'ostinazione di Damasco, che considera la repubblica dei cedri un protettorato, e quindi non perde occasione per condizionarne la sovranità e umiliarne la dignità.
La maggioranza dei libanesi è convinta che siano stati i servizi segreti siriani a organizzare la strage di tre anni fa, che annientò l'ex premier Rafic Hariri. E la tribolata inchiesta promossa dalle Nazioni Unite, proprio l'altro giorno, è giunta a una prima conclusione: il massacro, come quelli che l'hanno preceduto e quelli che l'hanno seguito, è stato ordito e realizzato dalla stessa «rete criminale» di individui. Formula ambigua, che pare escludere la responsabilità di un Paese o di un regime, in vista del delicatissimo processo che si terrà all' Aja.
Tuttavia, l'assenza del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, al vertice di Damasco, al quale era stato formalmente invitato, è un chiaro segnale dei sospetti e dell'imbarazzo della comunità internazionale.
Il presidente palestinese, ovviamente, non poteva mancare, anche perché Abu Mazen, in questo momento, ha bisogno dell'aiuto di tutti. Ma il suo intervento al vertice, duro con la politica degli insediamenti israeliani (per convincere gli intransigenti), e franco con Hamas, cui ha ricordato le condizioni per tornare a dialogare, non ha spostato nulla di sostanziale. Mentre, galvanizzato dalla possibilità di monopolizzare l'attenzione dei mass media, in assenza di concorrenti, il «figliol prodigo dimezzato » dell'Occidente Muammar Gheddafi ha lanciato un monito ai leader arabi moderati, avvertendoli che prima o poi potrebbero fare la fine di Saddam Hussein. «Impiccati». Ma un summit senza i re di Arabia Saudita, Giordania e Marocco, senza l'egiziano Mubarak, e senza il presidente dello Yemen, che tanto si era prodigato per mettere d'accordo Fatah e Hamas, è un appuntamento non soltanto inutile, persino dannoso. Perché il fallimento avrà pesanti ripercussioni nei rapporti interarabi, già notevolmente compromessi. Uno scenario allarmante, per la Palestina ma soprattutto per il Libano, dove le tensioni fra filo occidentali e filo siriani hanno già superato il livello di guardia. Tutta la nostra comprensione va al segretario della Lega araba Amr Moussa. I suoi sforzi per evitare il funerale di un'istituzione moribonda sono ammirevoli. Tenere assieme 22 Paesi che non vedono l'ora di separarsi non è un' impresa ardua. È impossibile.
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