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La Stampa Rassegna Stampa
28.03.2008 Bene la memoria della Shoah,... ma senza esagerare
secondo De Luna si opporebbe, chissà perché, a quella delle persecuzioni politiche del fascismo

Testata: La Stampa
Data: 28 marzo 2008
Pagina: 37
Autore: Giovanni De Luna
Titolo: «Il fascismo derubricato»
Rivolgersi ad "organizzazioni ebraiche" come l'Ucei e il Cedec per restaurare il memorial di Auschwitz significa dimenticare i crimini del fascismo contro i deportati politici ?
Lo sostiene Giovanni De Luna sulla STAMPA del 28 marzo 2008.

Vi sono diversi modi per sminuire la memoria della Shoah. C'è quello dei negazionisti, che semplicemente la cancellano. C'è quello, adottato anche da ebrei come Norman Finkelstein, autore de "L'industria dell'Olocausto", che sostiene sia stata ridotta a strumento di lotta politica e propaganda. Quello di De Luna è un nuovo modo di fare la stessa cosa, contrapponendo artificiosamente la memoria della Shoa a quella delle persecuzioni politiche e dell'antifascismo.

In quanto agli effetti paradossali che sarebbero determinati dal fatto che la memoria della Shoah è ormai fatta propria anche da "Gianfranco Fini e dal suo partito", mentre un tempo "poteva essere considerata un elemento costitutivo dell'identità di sinistra", ci limitiamo a ricordare che nel dopoguerra fu proprio la sinistra comunista, anche con l'aministia voluta dal ministro della Giustizia Togliatti, a riciclare nella vita pubblica molti fascisti sottratti alla giustizia e al confronto con le loro responsabilità(alcuni dei quali divennero comunisti, passando felicemente da un totalitarismo all'altro).
Anche la memoria di sinistra, ci sembra, non fu esempi da strumentalizzazioni e da  interessate indulgenze.

Ecco il testo:

Per quanto sia entrato solo di sfuggita nella campagna elettorale, il rapporto con la nostra storia novecentesca resta un nervo scoperto del dibattito politico e culturale. Il 29 febbraio 2008, con la conversione in legge del «decreto mille proroghe», la Presidenza del Consiglio ha stanziato 900 mila euro (nel 2008) per il restauro del blocco 21 del campo di prigionia di Auschwitz. I lettori della Stampa sanno di cosa si tratta perché ne abbiamo riferito il 21 gennaio scorso. Ad allestire il padiglione italiano del Museo di Auschwitz (inaugurato nel 1980) furono chiamati Primo Levi per i testi, Luigi Nono per la colonna sonora, Ludovico di Belgioioso per l’architettura, Mario Samonà per l’affresco che decora le pareti. Si tratta quindi di un monumento di grande valore artistico.
Il problema è capire oggi se quella rappresentazione della storia della deportazione sia ancora in grado di trasmettere conoscenza storica, se i criteri validi negli anni ‘70, quando l’opera fu concepita, possano resistere validamente alle rotture e alle discontinuità del post-Novecento. Una cosa è un’opera d’arte, un’altra è la sua ricezione nel tempo, che cambia così come cambiano gli sguardi delle generazioni e i significati che le si attribuiscono.
Il Memorial italiano fu allora fortemente voluto dall’Aned, l’associazione degli ex deportati politici; ed è oggi fieramente difeso nella sua integrità dalla stessa Aned che ha reagito con asprezza alle critiche di chi - come me - ritiene del tutto inadeguata quella forma di allestimento espositivo. In una lettera aperta, il suo presidente, l’avvocato Gianfranco Maris, critica con toni allarmanti l’iniziativa della Presidenza del Consiglio («un attacco alla democrazia»), esprimendo il timore che si tratti del tentativo di sostituire «una memoria civile della deportazione politica e della lotta antifascista della resistenza» con «una memoria tematica e didattica sul genocidio ebraico».
È un fatto che quel provvedimento ha modificato i termini di un confronto che fin qui si era svolto su un terreno storiografico e culturale. L’Aned, che pure resta la proprietaria del blocco 21, non solo non è stata coinvolta nell’elaborazione, ma non viene neanche invitata a far parte della Commissione che deve avviare il restauro del padiglione. Il progetto del governo sembra invece rivolgersi direttamente a organizzazioni ebraiche come il CDEC e l’UCEI, lasciando affiorare un conflitto di memoria che ha già coinvolto molti paesi europei, specialmente la Francia. Se da un lato, per decenni la memoria della Resistenza, dell’antifascismo e della deportazione politica era così straripante da annettersi anche quella della Shoah, oggi la situazione si è capovolta e nel segno della Shoah a rischiare di sparire dal discorso pubblico e dalla nostra memoria collettiva è proprio l’antifascismo.
Quella che si definisce memoria collettiva non è affatto il risultato di un ricordo ma di un patto per cui ci si accorda su ciò che è importante trasmettere alle generazioni future. I confini storici e culturali che circoscrivono questo patto sono fluidi, dinamici, cambiano a seconda delle fasi che scandiscono il corso politico degli eventi; in Italia, quelli su cui si fondava la memoria della Shoah, ad esempio, all’inizio erano circoscritti ai sopravvissuti e alle loro famiglie: poi si sono estesi fino ad abbracciare per intero lo schieramento politico di sinistra. Anzi, negli anni Settanta, la memoria della Shoah poteva essere considerata un elemento costitutivo dell’identità della sinistra, uno di quegli ambiti in cui era possibile distinguerla senza esitazioni dalla «destra». Oggi quei confini sono amplissimi e hanno inglobato, anche Gianfranco Fini e il suo partito. Con effetti paradossali. Per prendere le distanze dal fascismo basta condannare l’infamia delle leggi razziali del 1938, quasi che quelle leggi esaurissero per intero la dimensione totalitaria del regime e possano oggi costituire un ottimo pretesto per chi vuole dimenticare che il fascismo prima uccise la libertà e la democrazia e poi perseguitò gli ebrei.
Una memoria collettiva diventa ufficiale quando a stabilire i confini del patto su cui si fonda interviene la sanzione dello Stato, quando, cioè, la Memoria si incontra con la Politica. Oggi la Shoah rischia di essere imbalsamata in una elefantiaca dimensione istituzionale: le celebrazioni per la «giornata della memoria», gli sforzi per diffondere nella scuole una specifica «didattica della Shoah», l’intervento della Presidenza del Consiglio su un «luogo» come il Memorial, adombrano una monumentalizzazione che avrebbe effetti devastanti proprio sui delicati meccanismi della trasmissione della memoria alle nuove generazioni: una storia sovraccarica di «ufficialità» favorisce più l’oblio che il ricordo.

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