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La Stampa Rassegna Stampa
27.03.2008 Ambasciatore dell'ospedale israeliano di Tel Hashomer
intervista a Lapo Elkann

Testata: La Stampa
Data: 27 marzo 2008
Pagina: 22
Autore: Lapo Elkann
Titolo: «Io e la Stone, ambasciatori dell'ospedale della pace»
Da La STAMPA del 27 marzo 2008:

Ho avuto molto ed è ora di restituire, aiutare chi ha bisogno di cure, in Medio Oriente come nel Terzo Mondo».
Con quest’idea in mente Lapo Elkann diventa oggi alle Nazioni Unite «Global Special Ambassador» dell’ospedale israeliano di Tel Hashomer in una cerimonia al Palazzo di Vetro nella quale avrà accanto una paladina della lotta all’Aids come Sharon Stone.
Perché ha scelto Tel Hashomer per aiutare il prossimo?
«Un mio amico di New York, Steven Klein, un creativo che viene dalla scuola di Andy Warhol e conosce bene il mondo ebraico me ne ha parlato dicendo che era lo strumento adatto per impegnarsi a favore del prossimo. Due giorni dopo ero a Tel Aviv, dove l’ho visitato, ho visto le innovazioni tecnologiche ed ho conosciuto i dottori».
Che cosa l’ha colpita di più?
«E’ un luogo dove c’è non solo dolore ma rinascita. Nella camera operatoria per bambini ci sono i pupazzi della Walt Disney. Nelle stanze ci sono ebrei e musulmani fianco a fianco con le mamme di bambini delle due fedi che si guardano e sorridono. Sono fatti ai quali raramente si assiste. Al Tel Hashomer non c’è chi ha ragione e chi torto: sono tutti esseri umani che alternano gioia e sofferenza. Si tratta di una realtà forse unica in Medio Oriente, una regione della quale si parla spesso per motivi che hanno a che vedere con la morte mentre al Tel Hashomer c’è vita e pace. E’ un messaggio universale».
Che cosa significa diventarne ambasciatore nel mondo?
«Veicolare persone, energie, medici per creare un network che consenta a chi ne ha bisogno, ovunque nel mondo, di usufruire di questa struttura all’avanguardia nel campo della medicina. Le innovazioni del Tel Hashomer devono poter essere accessibili non solo a israeliani e palestinesi ma in Africa, nel Terzo Mondo, soprattutto ai bambini. Ho avuto molto, sento che devo restituire, impegnarmi per contribuire a fare del mondo un posto migliore».
Che cosa la lega a Tel Hashomer?
«In Israele c’è una parte di me, ci sono le mie radici. Non ho mai fatto nulla per queste radici. Mia nonna, Carla Ovazza, fece molto, anche mio nonno paterno fece molto. Ora tocca a me, fare e non solo guardare. Dopo quello che ho passato sono come rinato, questa è l’opportunità per fare ciò che non ho mai fatto».
Perché ha scelto New York per lanciare questo network?
«E’ una città che accoglie tutti, è facile diventare newyorkesi, e ospita l’Onu, simbolo della pace nel mondo».
Qual è il legame di questa iniziativa con l’Italia?
«Sono orgoglioso di essere italiano e credo che l’Italia debba essere venduta nel mondo. Essere italiani significa veicolare i nostri messaggi altrove, occuparsi degli altri, essere meno autoreferenziali. Il Tel Hashomer inoltre ha forti legami con strutture italiane, è guidato da medici che parlano anche italiano. Un’Italia internazionale è un’Italia vincente ed ha bisogno di ambasciatori testimoni della sua energia e creatività».
Che cosa farà come ambasciatore globale di Tel Hashomer?
«Prima voglio imparare, poi coinvolgere i giovani su singoli progetti: avere 30 anni non significa infischiarsene del prossimo. Più che dare soldi mi interessa dedicare tempo agli altri».
Perché all’Onu ci sarà anche Sharon Stone?
«Sono in molti a essermi vicini. Sharon Stone è una persona che dà tanto del suo tempo per scopi a lei cari grazie all’Ampar, che venne inventata da Elizabeth Taylor e si occupa della lotta all’Aids. Sharon Stone promuove queste attività, combatte in prima persona, dedica tanto tempo al prossimo sebbene lavori molto. Per me ha avuto sempre attenzione ed anche in questa occasione è stata estremamente affettuosa. Chapeau. Mi rendo conto che il suo nome fa clamore ma non c’è solo lei a condividere l’impegno per questa causa. E’ solo una dei miei amici».

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