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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.03.2008 Formidabile scoop di Informazione Corretta
la parte mancante dell'intervista a Daniel Barenboim

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 marzo 2008
Pagina: 17
Autore: Giuseppina Manin
Titolo: ««Il mio Mozart contro il Muro del Medio Oriente»»

La parte mancante dell'intervista a Daniel Barenboim, se il maestro comunicasse finalmente l'essenza del suo pensiero,  reciterebbe così:

Domanda: Lei dove vive  gran parte dell'anno?
Rispota: Tra Berlino, Milano, New York: ovunque mi conducano i miei impegni internazionali di direttore d'orchestra. Da domani stesso, però, mi trasferirò a Sderot. Perché è l'unico posto nel quale mi potrò sentire davvero al sicuro e perché devo tentare di riportare l'intelligenza ebraica tra quelli ebrei israeliani che ne hanno dissipato il capitale
D. Perché proprio Sderot, allora ? Perché non un al tra città israeliana.
R. A Sderot potrò essere più utile anche ai miei amici palestinesi. I loro razzi artigianali troppo spesso mancano le case e gli asili degli instupiditi israeliani, cadendo nei campi. E' un peccato. Andando a vivere laggiù, potrò fare le necessarie segnalazione e migliorare, oltre che l'intelligenza degli ebrei, la precisione di tiro degli arabi.

Di seguito, le parole di  Daniel Barenboim raccolte da Giuseppina Manin e pubblicate dal CORRIERE della SERA del 27 marzo 2008:

A Gerusalemme arriverà domani. In tasca due passaporti, uno israeliano e uno palestinese. Perché Daniel Barenboim, pianista e direttore d'orchestra tra i più celebri al mondo, di casa alla Staatsoper di Berlino e alla Scala di Milano, ha nelle vene sangue ebreo e nel cuore l'amore per la Palestina. «Due popoli legati in modo inestricabile da un unico destino», sostiene il musicista, impegnato in questa sfida dai tempi del saggio scritto con l'intellettuale Edward Said, Paralleli e paradossi (Il Saggiatore).
E così domani al Jerusalem International YMCA Barenboim sarà protagonista di un evento fortemente voluto, un «Concerto per due popoli» che si aprirà nel più emblematico dei modi, con il Concerto per due pianoforti e Orchestra di Mozart dove a una tastiera ci sarà l'israeliano Barenboim, all'altra il palestinese Saleem Abboud Ashkar. A suonare con loro un'orchestra speciale, inventata per l'occasione dal direttore sul modello della sua ormai celebre «Divan»: 33 giovani strumentisti provenienti da Israele e dalla Palestina chiamati a far musica insieme.
Un'orchestra per la pace?
«No, un'orchestra contro la paura e l'ignoranza — risponde Barenboim —. Il segno che un'altra via è possibile. Dopo 60 anni di guerra permanente mi pare evidente che la soluzione militare si è rivelata fallimentare.
. Anzi, ogni vittoria non ha fatto che indebolire lo Stato ebraico. Anche i negoziati politici non sono approdati a nulla. Bisogna quindi cercare altri percorsi»
Anzi, ogni vittoria non ha fatto altro che indebolire Israele. D'altra parte anche i negoziati politici non sono approdati a nulla. Bisogna quindi cercare altri percorsi che non passino né dall'esercito né dai politici. Se si vuole uscire da questo tragico impasse, è arrivato il momento di avviare quello che io chiamo un processo di depoliticizzazione».
Cosa intende con questo termine?
«Che bisogna spezzare la relazione malsana innescata tra vita e politica e dar spazio ai veri bisogni e ai veri interessi dei cittadini dei due popoli. Coinvolgendoli in progetti comuni, artistici o scientifici che siano. Se i politici hanno eretto muri, noi dobbiamo creare un substrato culturale dove incontrarci e comunicare liberamente».
Un'idea magnifica, ma dopo tanti anni di sangue e odio sembra solo un sogno.
«Il peggio che può capitare è di cedere al cinismo e al fatalismo. Quando non c'è più posto per la speranza si spalancano le porte a ogni orrore. Bisogna trovare la forza di credere a nuove occasioni d'incontro. Anziché distruggersi a vicenda, cerchiamo di fare qualcosa di bello insieme».
Tra pochi giorni lo stato d'Israele festeggerà i suoi 60 anni. Chi salva tra i suoi premier?
«Uno solo, Moshe Sharett, il successore di Ben Gurion. L'unico che teneva presente la dignità dei palestinesi. Ma poiché non era un "falco" fu considerato debole e allontanato».
Cosa pensa delle polemiche anti Israele al recente Salone del libro di Parigi?
«Che Israele dovrà abituarsi. Almeno fino a quando insisterà nella sua mancanza di critica all'interno».
Ma insomma, la tanto decantata intelligenza ebraica dov'è finita?
«E' un capitale che ormai temo sia stato speso tutto. Se vogliamo tentare di rimetterlo insieme bisogna rimboccarsi le maniche ».

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