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Informazione Corretta Rassegna Stampa
26.03.2008 Bat Ye'or a Bologna
cronaca di un incontro

Testata: Informazione Corretta
Data: 26 marzo 2008
Pagina: 1
Autore: Fabio Cintolesi
Titolo: «Bat Ye'or a Bologna Cronaca di un incontro»

 Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Bat Ye’or, per quelli come me che hanno avuto la fortuna di incontrarla, non ha affatto l’aria altera e austera dello storico come qualcuno si potrebbe immaginare. Lo stesso pseudonimo, “Figlia del Nilo”, in ebraico, appare distante, almeno per me, dalle abitudini della grandissima parte dei cattedratici di cui ho sentito parlare.

 

Eppure questa donna schiva e minuta, con i suoi studi e con le sue tesi, ha scatenato un dibattito, del quale gran parte dell’opinione pubblica è all’oscuro, sull’attuale ruolo dell’islam e sul ruolo che esso eserciterà in Europa in un prossimo futuro.

 

Nell’incontro di Bologna, con più di cento persone, purtroppo sparse in una sala un po’ troppo grande, organizzato dall’associazione “Una via per Oriana”, l’accompagna il marito David Littman, storico e attivista per i diritti umani britannico. Questo compassato e (in privato) gustosissimo gentleman inglese, nella sua lingua madre, introduce l’argomento, spiegando che oramai si dovrebbe parlare di UN-irabia, dove UN sta per United Nations, le Nazioni Unite, che, spiega Littman, non difendono né promuovono i diritti umani, ma anzi stanno lavorando ad una loro limitazione.

 

Motore di questo infausto processo è una sorta di alleanza tra l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che raggruppa gli oltre 50 stati a maggioranza islamica; il movimento dei Paesi Non Allineati, dove Cuba, Iran e Venezuela hanno un largo peso, con in il sostegno cinico e spesso interessato di vari altri Paesi, tra cui spiccano Cina e Russia.

 

Lo strumento, invece, è la progressiva limitazione del diritto di espressione e di critica, quando questi entri in contrasto con credenze e tradizioni religiose (leggi “islam”). Questo perché la critica della cultura altrui, anche nei suoi aspetti più discutibili, potrebbe essere interpretato come una forma di “razzismo culturale”. In questa ottica, anche stigmatizzare l’uso del burqah diventa, secondo un alto funzionario ONU, un “attacco razzista”.

 

L’OCI, infatti, già nel 1990 ha promulgato la Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’Islam. In essa, si afferma che “ogni diritto umano è soggetto alla Shari’ah islamica”. La quale, tra le altre cose,  limita pesantemente le libertà individuali e indica grandi disparità di trattamento tra uomini e donne e tra musulmani e non musulmani. L’ONU, da tempo ha lasciato entrare questo documento nel proprio “corpus giuridico”, alla voce “strumenti regionali” per i diritti umani.

 

Di più, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, appena pochi mesi fa, ha approvato una risoluzione intitolata “Combattere la Diffamazione delle Religioni”, ufficialmente per combattere le manifestazioni di intolleranza e le discriminazioni religiose. L’unica religione citata per nome, però, è l’islam. Nella risoluzione si invita ad usare con responsabilità la libertà di espressione, la quale potrà essere limitata inter alia “per rispetto per le religioni e le credenze”.

 

Per David Littman, questa risoluzione, che ha implicazioni per tutti gli stati membri, dimostra oramai che l’ONU oramai non promuove, ma si batte contro i diritti umani.

 

Bat Ye’or, il cui vero nome è Gisèle Orebi, nata in Egitto da madre francese e padre italiano, per la precisione livornese, inizia scusandosi per il suo italiano approssimativo; di chi non parla quella lingua da più 50 anni e che in quella lingua neanche ha studiato. Scuse assolutamente ingiustificate.

 

La storia di questa donna attenta e meticolosa, è la storia di tanti profughi. Espulsa dalla terra dove era nata e cresciuta, l’Egitto, poco più che ventenne, all’indomani della crisi di Suez, nel 1957. Espulsi e spogliati dei propri beni, lei e la sua famiglia e tutta la comunità ebraica del Paese, perché ebrei. L’arrivo a Londra da apolide e poi anni e anni di studio e di lavoro. Ovviamente, non è lei che dice queste cose di sé.

 

Bat Ye’or inizia invece parlando con speditezza di “jihad”. Spiega Bat Ye’or che quando nei loro scritti in arabo, si riferiscono al termine “jihad”, i giuristi e i teologi musulmani indicano sempre l’aspetto militare. Esiste un ricco insieme di norme, basate sul Corano e sugli Hadith, i racconti orali sulla vita e i discorsi del profeta Maometto, che regolano nel dettaglio tutti gli aspetti della guerra portata agli infedeli; dal trattamento dei prigionieri alla spartizione del bottino.

 

Il Jihad, “lotta” in italiano, è uno dei doveri di ogni buon musulmano. Coloro che seguono la via del jihad, la via verso Allah, sono i mujahidin. Varie sono le forme e gli strumenti del jihad. La parola, la letteratura, la propaganda; altri mezzi sono la corruzione e la politica; fino al jihad militare, la guerra, il terrorismo. Obiettivo del jihad non è convertire tutti con la forza, ma difendere ed espandere i territori islamici, il Dar al-Islam.

 

Dar al-Islam, o Dar al-Salaam, “casa della pace”, sono i territori dove vige la legge islamica; dove i non musulmani sono sottomessi (dhimmi). Essa è contrapposta alla “casa della guerra”, o Dar al-Harb. In essa i musulmani non possono espandersi, e gli infedeli, in questo caso chiamati “harbi” sono considerati nemici dell’islam.

 

Tra questi due estremi, esiste la Dar al-Hudna, la “casa della tregua”. Terre nelle quali, pur non essendo islamiche, i musulmani possono espandersi liberamente. Gli abitanti di queste terre, sono sempre “harbi”, cioè infedeli non sottomessi, ma pagano il tributo e hanno un trattato di tregua, anch’essa codificata dalla giurisprudenza islamica, con i vicini stati islamici. Il mancato pagamento del tributo o la violazione di questi accordi comportano, di per sé, la ripresa delle ostilità.

 

Di questi argomenti Bat Ye’or ha parlato e scritto da tempi non sospetti. La sua prima pubblicazione, “Jews of Egypt” è del 1971, seguita da “Le Dhimmi” (1980) e da “The Decline of Eastern Christianity: From Jihad to Dhimmitude”, nel 1991. In questi libri, viene descritta in profondità la condizione di discriminazione religiosa, giuridica ed economica, nella quale vivono i non musulmani nei paesi islamici.

 

A lei vengono accreditate i neologismi “dhimmitude” (per indicare la condizione del dhimmi) ed “Eurabia”. In realtà questi termini erano già stati usati, pur con accezioni differenti ma mai erano stati definiti ed analizzati in profondità. Ma cos’è l’Eurabia?

 

Nel suo ultimo libro, “Eurabia: The Euro-Arab Axis”, del 2005, Bat Ye’or, descrive uno scenario inquietante. Con il termine Eurabia viene indicato, più che un continente, un processo che porterà all’islamizzazione dell’Europa e alla sua “fusione” con i paesi arabi.

 

Elementi di questo processo, secondo la storica, sono le ondate migratorie dai paesi islamici; l’alta natalità di queste popolazioni; l’acquiescenza dell’Europa nel difendere la propria cultura e la propria identità; la progressiva affermazione di leggi e consuetudini via via sempre più vicine alla cultura musulmana.

 

Continuando questo trend, nel giro di poche generazioni l’islam diverrà la religione dominante nell’Europa Occidentale, che diventerà un tutt’uno con il mondo arabo. Tutto questo sta avvenendo, secondo Bat Ye’or, perché le elite politiche, economiche e burocratiche dell’Europa, e particolarmente quelle dell’Unione Europea, supportano questo processo per vari motivi.

 

Se le radici teologiche di questo “confronto tra civiltà”, affondano nel remoto passato, le ragioni di queste scelte sono assai più recenti e mondane. All’inizio degli anni ’70, su iniziativa principalmente francese, fu avviato un forum di consultazione permanente tra l’Unione Europe (che allora si chiamava CEE) e la Lega Araba, con l’obbiettivo di stringere rapporti sempre più stretti tra le due realtà geopolitiche.

 

Questo forum, denominato “Dialogo Euro-Arabo”, nasce all’indomani della guerra del Kippur e della crisi petrolifera che ne seguì; crisi che provocò pesanti problemi di approvvigionamento energetico in Europa. Nel corso degli anni si articolerà in diversi comitati e sottocomitati a livello governativo, economico e sopratutto accademico.

 

Il tacito accordo tra governanti europei ed arabi, secondo Bat Ye’or, è fondato su molteplici aspetti. Da parte araba c’è la continuità nelle forniture petrolifere a basso prezzo dell’Europa, oltre ad un generico impegno, non sempre rispettato, di salvaguardare i paesi europei da atti terroristici, compresi quelli di matrice palestinese.

 

In cambio, la controparte europea ha accettato di aprire le porte all’immigrazione dai paesi arabi e a non ostacolare l’espansione dell’islam sul suolo europeo; oltre ad adottare un politica estera sempre più distante da quella degli USA e sempre più ostile a Israele. Prova ne sono i finanziamenti a fondo perduto e incontrollati, che l’Europa, da anni, eroga alla dirigenza palestinese.

 

Si realizzava un obbiettivo fortemente voluto dalla Francia; quello cioè di creare un “asse” euro-arabo, alternativo e autonomo dagli Stati Uniti. Un sogno, quello di competere con gli USA, che la Francia ha perseguito con grande determinazione.

 

Questi patti rendono l’Europa, di fatto, Dar Al-Hudna, “Casa della Tregua”. Cioè una terra di infedeli che ha accettato la penetrazione islamica sul proprio territorio e il pagamento di un tributo (i fondi ai palestinesi); al contrario degli Stati Uniti e di Israele, che sono e rimangono Dar Al-Harb, “casa della guerra”.

 

Pilastro e garante di questo patto, nella visione di Bat Ye’or, è senz’altro il mondo accademico, che ha fatto diventare le università europee dei veri e propri bastioni dell’avversione agli USA e ad Israele. E’ questa influenza sulla cultura, sui giovani e soprattutto sulla futura classe dirigente europea, per la storica britannica, la più pesante ipoteca sulla difesa delle identità e delle culture del Vecchio Continente.

 

Molti dotti professori europei, coadiuvati da vari intellettuali arabi o comunque musulmani, hanno sostenuto e difeso la bontà della società multiculturale; bollando gli scettici e i critici, di volta in volta come “razzisti”, “xenofobi”, o al più, “ignoranti”. In più, è stata data una rappresentazione edulcorata, se non agiografica, dell’islam; mettendone in luce (o inventandoli quasi di sana pianta) gli aspetti accettabili per un occidentale e nascondendo quelli più controversi o del tutto inaccettabili.

 

Le critiche all’islam, siano esse fondate o meno, rischiano, di per sé stesse, di minare alla base questi accordi e questo precario equilibrio, se di equilibrio si può parlare. Per questo motivo chi se ne fa portatore rischia di essere messo ai margini dell’establishment, o comunque di esserne osteggiato. Quando va bene, ad altri, come Theo Van Gogh, la sorte ha riservato una fine peggiore.

 

A confronto dello scenario delineato da Bat Ye’or, qualunque ipotesi di “grande complotto”, come ad esempio quello ipotizzato intorno alle stragi dell’11 settembre, impallidisce. Ma il termine “complotto” non viene mai usato. L’impressione, almeno per me, è che ci si trovi di fronte ad uno stato di cose prodotto negli anni da scelte scellerate motivate di volta in volta da cinismo, opportunismo, avidità o anche semplicemente da stupidità e incombenza.

 

Alla fine di questa relazione, breve ma intensa, dal pubblico cominciano ad arrivare le domande. Un pubblico attento e fino ad allora silenzioso, cerca risposte e rassicurazioni, dopo una serie di dati e informazioni che rassicuranti proprio non lo sono.

 

Le domande vertono su due temi principali. Il primo sulla possibile reversibilità di questo processo. Questa è domanda a cui nessuno può rispondere, interloquisce Bat Ye’or. Certo, la decisione dei governanti europei di non difendere la propria identità e di trasformare l’Europa in un grande mercato dove valori e radici hanno poco significato, ha fatto diventare il continente in una specie di tabula rasa culturale dove jihadisti, armati o meno, hanno gioco facile ad instaurare il proprio credo e la propria visione del mondo.

 

Certo, continua Bat Ye’or, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e una minore dipendenza dal petrolio, potrebbero senz’altro aiutare. Qualcuno chiede se gli Stati Uniti potrebbero avere un ruolo importante in questo confronto; ma la risposta è che mentre gli USA ancora non risentono di questa influenza e possono prendere decisioni con maggiore autonomia, al tempo stesso, i campus universitari americani stanno subendo lo stesso processo di “islamizzazione”, se così si può dire, di quelli europei. E ciò non è un bel segnale per il futuro.

 

L’altro tema invece si dipana intorno al come riconoscere nell’immigrato musulmano, il migrante che cerca solo migliori condizioni di vita per sé e per la propria famiglia, dal fautore di un islamismo politico, intollerante e aggressivo. Le domanda, che forse appare ovvia, è però fondamentale, vista anche l’esistenza, nella teologia islamica, dell’istituto della “taqiyya”.

 

Questo codice comportamentale permette ad un fedele musulmano di celare i propri convincimenti, qualora ritenga che il manifestare le proprie idee non sia opportuno. Un modo per tutelare la propria sicurezza, secondo alcuni. Uno stratagemma per ingannare i propri interlocutori sulle proprie idee ed intenzioni, ribattono i critici. Fatto sta che questa tendenza, che anch’io ho potuto constatare di persona, mina nel profondo la fiducia reciproca che dovrebbe essere alla base di ogni proficuo dialogo.

 

Per Bat Ye’or, lo strumento dialettico migliore è il chiedere all’interlocutore del momento di fare affermazioni positive e non semplicemente di negare qualcosa. Ad esempio, non chiedere di negare il proprio sostegno al terrorismo, ma di enunciare soluzioni concrete ai motivi di scontro e di conflitto tra gruppi o stati. Inoltre, una certa conoscenza del Corano, come pure dell’Arabo, sarebbero fortemente consigliabili.

 

Su quest’ultimo punto, aggiunge Bat Ye’or, il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele è un elemento principe, quello discriminante, tra chi vuole la convivenza tra genti diverse e chi invece persegue obbiettivi di tutt’altro genere. Il dibattito prosegue, con riferimenti non banali e citazioni dall’arabo. Un partecipazione sentita di un pubblico attento e colto che va avanti fin dopo la mezzanotte.

 

Una volta esaurito la rituale firma delle copie del proprio volume, Bat Ye’or, la figlia del Nilo, senza rumore e quasi senza voler essere vista, si allontana.

 
Fabio Cintolesi


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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