Non una parola sul discorso di Angela Merkel alla Knesset.
Si può capire, del resto, che sia scomodo per il quotidiano comunista il collegamento istituito dal Cancelliere della Germania tra la vergogna per la Shoah e il dovere di evitare una sua replica per mezzo dell'atomica iraniana.
Parole in libertà, invece, nell'articolo di Danilo Zolo "La guerra si fa globale".
La guerra al terrorismo vi è definita "terrorismo", la guerra preventiva vi è condannata come "eversione del diritto internazionale", che nell'interpretazione di Zolo è evidentemente il diritto dei terroristi e dei loro sponsor di portare a termine i loro piani senza essere disturbati. La guerra tra Israele ed Hezbollah è presentata come un'aggressione israeliana al Libano e naturalmente vengono denunciati anche i supposti "preparativi di guerra" contro l'Iran. La bomba atomica dei mullah non preoccupa affatto, invece, Zolo e il quotidiano comunista.
La guerra di aggressione scatenata il 20 marzo 2003 contro l'Iraq dalle armate statunitensi e britanniche ha segnato il culmine di una deriva bellicista che ha preso avvio nell'ultimo decennio del secolo scorso, dopo la fine della guerra fredda. Si tratta di un fenomeno che ha investito il mondo intero e che è ben lontano dall'essersi esaurito, come ha provato la guerra contro il Libano dell'estate scorsa e come provano i preparativi di guerra contro l'Iran. Sia il fenomeno della guerra, sia gli apparati retorici della sua giustificazione sono rapidamente cambiati. E questo cambiamento può essere adeguatamente interpretato solo nel quadro dei processi di trasformazione economico-finanziaria, informatica e politica che vanno sotto il nome di «globalizzazione». In questi anni, in altre parole, si è sviluppato un processo di transizione alla «guerra globale», con al centro l'adozione da parte delle potenze occidentali della nozione di «guerra preventiva», concepita e praticata dagli Stati uniti contro i cosiddetti «Stati canaglia» e le organizzazioni del global terrorism . Questa transizione non ha riguardato soltanto la morfologia della «nuova guerra», e cioè la sua dimensione strategica e la sua potenzialità distruttiva. Strettamente connessa è una vera e propria eversione del diritto internazionale, dovuta all'incompatibilità radicale della «guerra preventiva« con la Carta delle Nazioni unite e al diritto internazionale generale. A questo si aggiunge la regressione alle retoriche antiche di giustificazione della guerra, inclusa la dottrina «imperiale» della «guerra giusta« e del suo nocciolo di ascendenza biblica: la «guerra santa» contro i barbari e gli infedeli. Queste retoriche sono diventate oggi, nel contesto della globalizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, uno strumento bellico di eccezionale rilievo. La guerra di aggressione contro l'Iraq è stata una guerra «globale» perché è stata condotta all'insegna di una strategia imperiale che il suo attore principale - gli Stati uniti d'America - ha orientato verso obiettivi universali come la sicurezza globale ( global security ) e l'ordine mondiale ( new world order ). La finalità non è stata la conquista di spazi territoriali secondo il modello delle guerre coloniali. La «guerra globale» è stata combattuta per decidere chi avrebbe dovuto assumere la funzione di leadership entro il sistema mondiale, chi avrebbe imposto le regole della competizione fra le grandi potenze, chi avrebbe avuto il potere di modellare i processi di allocazione delle risorse e far prevalere la propria visione del mondo . Questa è stata la posta in gioco di una guerra che, sotto molti profili, non è ancora finita. La guerra continua sia nei suoi effetti distruttivi e sanguinari, sia nell'istigare la replica altrettanto distruttiva e sanguinaria del terrorismo. La finalità imperiale della guerra in Iraq è confermata da importanti documenti della Casa bianca e del Dipartimento di stato, a partire dal Defense Plannin g Guidance del 1992 sino al National Security Strategy del 2002. L'interesse che si dichiara di voler perseguire con la forza delle armi è la stabilità dell'ordine mondiale in un quadro di accresciuta interdipendenza dei fattori internazionali e di elevata vulnerabilità dei paesi industriali. A rischio è soprattutto il libero e regolare accesso alle fonti energetiche. E questa stabilità globale deve essere garantita - questo è il punto centrale - senza toccare i meccanismi di distribuzione mondiale della ricchezza che scavano un solco sempre più profondo fra i paesi ricchi e i paesi poveri. Per realizzare questo fine la guerra globale è una protesi necessaria. E gli Stati uniti, in quanto global power , sono il solo paese in grado di «proiettare potenza» su scala planetaria. Essi hanno interessi, responsabilità e compiti globali e devono perciò estendere la propria influenza nel mondo, rafforzando l' America's global leadership role . Universalismo imperiale, dottrina della «guerra giusta» e mistica biblica della «guerra santa» si sposano in una concezione discriminatrice dello spazio globale. Chi respinge l'egemonia dei valori occidentali appartiene alla schiera dei nuovi barbari e dei nuovi infedeli: è un nemico dell'umanità. In questo contesto, si può dire che la guerra scatenata cinque anni fa contro l'Iraq, con le clamorose falsificazioni che l'hanno motivata, l'uso massiccio di mezzi di distruzione di massa, l'imponente campagna ideologica, le stragi di civili, la depredazione delle risorse energetiche, e, non ultima, l'atroce impiccagione dell'e x dittatore Saddam Hussein, è l'esempio della natura terroristica della «guerra globale preventiva» scatenata dalle potenze anglosassoni contro il global terrorismo.
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