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Un difetto impercettibile Nancy Huston
Traduzione di Federica Aceto
Rizzoli Euro 18,50
“Un romanziere non scrive mai partendo dalle idee. I romanzi non sono opere teoriche, ma storie di personaggi fatti di carne, emozioni e passioni”. Autrice di una dozzina di romanzi, Nancy Huston torna nelle librerie italiane con “Un difetto impercettibile”, un bel romanzo denso di vicende e sentimenti che l’anno scorso in Francia ha vinto il prestigioso Prix Femina.
Ricostruendo lungo quattro generazioni la storia di una famiglia di ebrei americani, l’autrice vi racconta la vicenda intensa e dolorosa di un gruppo di personaggi alle prese con un segreto terribile, quello di Erra-Kristina, le cui origini affondano nella tragedia della Seconda guerra mondiale. Dalla Germania alla California, da Israele a New York, la vicenda familiare si snoda lungo sessant’anni ed è raccontata a ritroso da quattro narratori bambini, ognuno di una diversa generazione, i quali guardano con occhi spietati e innocenti gli adulti alle prese con la difficoltà della vita quotidiana e con il peso di una verità ingombrante e minacciosa. Dal concatenarsi dei loro racconti emerge l’esile filo che collega una bambina tedesca negli anni del nazismo a un bambino californiano del XXI secolo.
“Per uno scrittore i drammi e le contraddizioni della storia collettiva hanno senso solo se s’incarnano in vicende umane singolari”, spiega la scrittrice d’origine canadese ma da moltissimi anni residente a Parigi, dove è sposata con lo studioso Tzvetan Todorov. “Il romanzo, alla cui origine c’è il dramma dei bambini strappati dai nazisti alle loro famiglie e adottati da famiglie tedesche, è nato come reazione al mio libro precedente, il saggio intitolato “Professeurs de désespoir”. Vi analizzavo gli scritti di diversi autori – da Beckett a Kundera, da Bernhard a Houellebecq – per i quali, in nome di una dimensione tragica e disperata dell’esistenza, la maternità, l’infanzia e la famiglia hanno molto spesso una connotazione negativa. Io al contrario ho voluto sottolineare l’importanza capitale dell’infanzia, un periodo in cui l’individuo si costruisce attraverso l’interazione con gli altri e la scoperta del mondo esterno”.
E’ per questo che al centro del romanzo c’è il passaggio da una generazione all’altra?
“La vita fa sì che, in una stessa famiglia, nel giro di una cinquantina d’anni, si trovino bambini radicati in lingue, religioni e realtà geografiche diverse. Tenendo presente questa realtà, ho affrontato il problema della trasmissione dell’eredità familiare da una generazione al’altra. Di solito, gli uomini sono sempre molto fieri di essere ciò che sono, dimenticando però che nel loro divenire vi è sempre una componente casuale. Se siamo ciò che siamo, è anche il frutto del caso. Il romanzo prova quindi a riflettere su come gli individui acquisiscono opinioni e certezze sulla loro identità. Soprattutto quando sono bambini, prima del processo di omologazione della scuola”.
Lei adotta il punto di vista dei bambini, una scelta narrativa che accentua la dimensione emotiva della narrazione….
“I bambini, quando attraversano vicende terribili, reagiscono innanzitutto sul piano emotivo, non certo su quello della ricostruzione razionale e storica degli avvenimenti. I bambini vivono attraverso i sentimenti dei loro genitori. Il romanzo ruota attorno al tema dell’identità, alla cui costruzione contribuiscono molto le emozioni e le passioni. Ma attenzione, non bisogna separare arbitrariamente i sentimenti dal resto della nostra realtà. Gli individui sono fatti al contempo di corpo e razionalità, componenti tra le quali non esistono frontiere precise”.
Le sembra che oggi in ambito letterario ci sia più spazio per l’espressione di emozioni e sentimenti?
“Penso di sì. La dimensione soggettiva si manifesta più facilmente. Anche perché abbiamo definitivamente superato il trionfo dell’oggettività proposto in passato dagli scrittori del nouveau roman e dai loro epigoni. La loro era un’ipotesi interessante dal punto di vista della teoria letteraria, ma assolutamente senza senso sul piano della letteratura, vale a dire di quella attività umana che aiuta le persone a vivere e a comprendere la loro vita”.
Fabio Gambaro
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