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La Stampa Rassegna Stampa
16.03.2008 La "sorpresa" Larjiani in realtà non cambia nulla
in troppi dimenticano che le elezioni iraniane non sono libere

Testata: La Stampa
Data: 16 marzo 2008
Pagina: 18
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Iran, la sorpresa Larijani»
Il titolo dell'articolo di Farian Sabahi pubblicato da La STAMPA il 16 marzo 2008 annuncia la "sorpresa Larjiani", come se davvero le elezioni iraniani potessero essere raccontate come quelle americane, come se fosse il popolo, e non il sistema di potere della Repubblica islamica, a scegliere chi promuovere e chi affossare sulla scena delle istituzioni di governo.

Un sommario  recita "Conservatore pragmatico considera l'economia più importante dell'ideologia" . In realtà, come si apprende nell'articolo di Sabahi, Larjiani considera l'economia più importante delle
riforme.
Sulla sua adesione  all'ideologia khomeinista non ci sono dubbi. Anche il termine "conservatore pragmatico" si adatta poco a chi, con un linguaggio più ambiguo e accorto, profferisce contro Israele minacce non dissimili da quelle di Ahmadinejad
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=110&id=22321

Anche l'articolo di Farian Sabahi stupisce per alcune scelte linguistiche.
Come ministro della Cultura Larjiani elimina
 "ogni influenza occidentale nei libri pubblicati nella Repubblica islamica" ? L'incarico è "svolto con rigore".
Larjiani si oppone al minimo allentamento della terribile repressione messa in atto dal regime ? E' perché 
 "a proposito di riforme, Larijani ritiene valga la pena farle soltanto se sono al servizio della religione, della giustizia e della moralità. "

Ecco il testo completo:

Doveva essere una vittoria a valanga dei conservatori ma dalle elezioni di venerdì in Iran, per quanto blindate, è uscito un risultato a sorpresa. Le previsioni che davano i falchi trionfatori, addirittura al 71%, sono state smentite: secondo la televisione pubblica la destra avrebbe ottenuto soltanto 120 seggi (su 290) e quindi meno rispetto ai 156 della scorsa legislatura. Secondo il ministero degli Interni, ha votato il 60% degli aventi diritto, un dato al ribasso rispetto alle prime dichiarazioni.
I risultati definitivi saranno noti tra un paio di giorni ma sembra che gli indipendenti siano quattro e i riformisti 46, e dunque 5 in più rispetto al parlamento uscente. «Un numero utile per disturbare il gioco dei falchi», osservano i moderati tra le cui fila manca però la coesione necessaria: anziché unire le forze in vista delle presidenziali del giugno 2009, l’ex presidente Khatami e Mehdi Karrubi già affilano i coltelli, rischiando di confondere i giovani e le donne che potrebbero votarli.
In queste elezioni l’ala conservatrice si è presentata divisa in due formazioni principali: il fronte vicino al presidente Ahmadinejad e la coalizione guidata dall’ex mediatore per il nucleare Ali Larijani che in questi mesi si è fatto portavoce del dissenso nei confronti della politica economica (fallimentare) e della politica estera (isolazionista) del governo. Nella città santa di Qum proprio Larijani ha ottenuto il maggior numero di voti grazie al sostegno dei seminari religiosi.
Nel nuovo parlamento sarà quindi Larijani a rappresentare la vera sfida per Ahmadinejad, con cui già si era confrontato nelle elezioni presidenziali del giugno 2005 e che gode di ottime alleanze. Larijani è molto vicino all’ex presidente Rafsanjani che lo aveva voluto come ministro alla Cultura, un incarico svolto con rigore eliminando ogni influenza occidentale nei libri pubblicati nella Repubblica islamica, una missione portata poi avanti censurando i programmi della tv di Stato di cui diventa direttore nel 1994 per volere del leader supremo.
In dieci anni Larijani rende l’emittente pubblica del tutto inappetibile ai giovani che si rivolgono alle televisioni via satellite. Nel 2004 l’ayatollah Khamenei lo sceglie come segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, una carica triennale che lascia lo scorso autunno, con qualche mese di anticipo, in polemica con il presidente. È infatti diversa la sua posizione rispetto ad Ahmadinejad sulla politica estera e il nucleare, per lo meno rispetto agli standard iraniani, anche se non in modo così evidente per l’Occidente.
Larijani è infatti un duro ma - a differenza del presidente che ha isolato sempre più l’Iran arrivando a farsi beffe delle sanzioni dell’Onu - non esclude la possibilità del dialogo in nome dell’interesse nazionale, posto al primo posto e quindi persino sopra ai principi islamici. A proposito di riforme, Larijani ritiene valga la pena farle soltanto se sono al servizio della religione, della giustizia e della moralità. E per questo accusa la sinistra di tradire la fede per occuparsi di questioni irrilevanti perché «alla gente affamata le riforme non servono, occorre badare in primis all’economia».
Oltre a Larijani, a rappresentare una sfida per Ahmadinejad nell’arena politica e in vista delle presidenziali sono l’attuale sindaco della capitale Ghalibaf e l’ex comandante delle Guardie rivoluzionarie Mohsen Rezaie: tutti pasdaran riciclati in politica, segno della militarizzazione dei vertici della Repubblica islamica. I riformatori sono invece membri di quel clero che ha esasperato gli iraniani. L’incognita è se i militari sapranno gestire il Paese meglio dei turbanti.

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