Libri religiosi ? Che c'è di male ? forse il quotidiano comunista preferirebbe l'ateismo di stato ?
Testata: Il Manifesto Data: 16 marzo 2008 Pagina: 13 Autore: Maria Teresa Carbone Titolo: «Un quarto dei libri è di tema religioso»
Israele sarebbe "probabilmente l'unico paese al mondo - Vaticano a parte - in cui quasi un quarto della produzione editoriale è composta da libri religiosi" Lo sostiene su Il MANIFESTO del 16 marzo 2008 Maria Teresa Carbone. Ci chiediamo come sia arrivata "probabilmente l'unico paese al mondo". Ha fatto un paragone con la pruduzione dell'Arabia Saudita, del Sudan o dell'Iran ?
E' evidente, comunque, che lo scopo di questa sottolineatura è quello di controbilanciare l'eventuale effetto positivo che sul lettore del MANIFESTO potrebbe avere (non sia mai) la considerazione della nota vivacità della cultura israeliana. Gli israeliani leggono molto, suggerisce il quotidiano comunista, ma soprattutto testi religiosi, da fanatici fondamentalisti quali sono.
La realtà è però che Israele rimane un paese libero. All'editoria non sono imposti né i libri religiosi né l'ateismo di stato. Sono gli interessi e i gusti del pubblico, alla fine a decidere quali libri vengono stampati. E se tra questi interessi c'è anche quello religioso non c'è nulla di male e nulla su cui ironizzare. I testi religiosi possono essere di altissimo livello culturale e non vi è dunque contraddizione tra l'immagine positiva del mercato editoriale israeliano e il fatto che una considerevole fetta di mercato sia rappresentata dai libri religiosi (e d'altra parte è ovvio che l'importanza dei libri in Israele non è senza connessioni con l'importanza che i libri hanno sempre avuto nell'ebraismo).
Ecco il testo:
Ha davvero caratteristiche curiose il mercato editoriale israeliano, così come è stato presentato in questi giorni a Parigi. A prima vista, potrebbe sembrare il paese di Bengodi, soprattutto da una prospettiva depressa e deprimente qual è quella italiana: ogni anno infatti in Israele si vendono circa trentacinque milioni di libri che equivalgono - per una popolazione inferiore ai sette milioni di abitanti - a circa cinque volumi a testa, infanti compresi. Osservando più da vicino i dati, però, il paradiso rivela i suoi lati oscuri. Con 6866 titoli pubblicati nel 2006, non è esagerato parlare di una sovrapproduzione che si traduce in tirature piuttosto basse e in dati di vendita paradossalmente mediocri: le novità della narrativa raramente superano le duemila copie, anche perché la vita media di un libro sui banconi è assai breve. Forse anche per questo, il prezzo medio di un libro è elevatissimo, intorno agli ottanta shekels (circa 44 euro) per un testo di narrativa destinato agli adulti e circa cinquanta shekels (28 euro) per i libri per bambini. In realtà, però, molto di rado i volumi vengono venduti a questi prezzi: le due grandi catene di librerie israeliane, Steimatsky e Tzomet Sefarim, che si sono impossessate del mercato, praticano una politica molto aggressiva di sconti, riducendo ancora di più non soltanto lo spazio delle librerie indipendenti, ma anche la vitalità delle piccole case editrici, penalizzate dai megastore. Ma la vera specificità è un'altra: Israele è probabilmente l'unico paese al mondo - Vaticano a parte - in cui quasi un quarto della produzione editoriale è composta da libri religiosi
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