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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.03.2008 Il "dialogo" con Hamas e le missioni italiane in Libano e Afghanistan
la politica estera e la campagna elettorale

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 marzo 2008
Pagina: 8
Autore: Monica Guerzoni - Massimo Franco
Titolo: «Le due linee dei democratici su Hamas - Tra Kabul e Beirut il centrodestra sancisce la svolta «estera»»
Un articolo di Monica Guerzoni sulla posizione del Partito Democratico circa il "dialogo" con Hamas.
Segnaliamo le dichiarazioni di Lapo Pistelli responsabile esteri del PD, che ci sembra inquietante e inaccettabile. Anche sulla politica estera, la linea politica dei partiti dovrebbe essere chiara.


Per due giorni Walter Veltroni ha evitato con cura di parlare di politica estera, così da non accentuare le divergenze che cominciano ad affiorare nel Partito democratico.
E ancora ieri all'ora di pranzo, da una terrazza con vista mozzafiato sul lago e su Lecco, il segretario del Pd provava a mantenere le distanze dolendosi che «in campagna elettorale si fa fatica a parlare di contenuti». Ma poi il caso Martino si è fatto incandescente, Berlusconi ha scagliato le missioni nell'arena elettorale e costretto lo sfidante a muoversi su un terreno scivoloso dal palco di Lugano, davanti a una massiccia e simbolica presenza di italiani all'estero.
Varcato in pullman il confine Italia- Svizzera, il segretario è costretto a chiarire la linea dei democratici. «Qualcuno della destra — prende elegantemente le distanze il leader dopo un acceso confronto telefonico con Massimo D'Alema — ha detto che bisogna ritirare i nostri soldati dal Libano e rimandarli in Iraq, da dove stanno venendo via anche gli Usa». Fuggire, interrompere una missione di pace sotto egida internazionale sarebbe «un colpo al nostro prestigio». E il disimpegno rischierebbe di innescare «una crisi che può avere conseguenze devastanti per tutta l'area». E le contraddizioni, le divergenze di linea? «Le avevamo e le abbiamo risolte». In realtà quando dice che contrasti sulla politica estera non ce ne sono più Veltroni allude al taglio netto con gli alleati dell'Unione, mentre lo stesso non può affermare se dirige lo sguardo in casa propria. L'aspro diverbio a distanza sul dialogo con Hamas tra D'Alema e l'ambasciatore israeliano Gideon Meir, grande estimatore di Veltroni, ha messo in evidente imbarazzo il leader del Pd e portato a galla il conflitto sottotraccia per il prossimo mandato alla Farnesina in caso di vittoria del Pd. D'Alema o Piero Fassino? Il ministro uscente o l'inviato speciale della Ue in Birmania, il quale non fa mistero di ambire all'incarico? «C'è un piccolo problema — rimanda il verdetto Roberta Pinotti, sottosegretaria alla Difesa —, prima bisogna vincere le elezioni».
All'ex segretario dei Ds, le cui posizioni sul Medio Oriente sono tradizionalmente distanti da quelle di D'Alema, Veltroni ha affidato il delicato compito di chiarire la linea del Pd: Hamas può e deve essere un interlocutore, ma solo se riconosce Israele e rinuncia al terrorismo. Parole condivise da quanti — Rutelli, Vernetti e molti veltroniani — ritengono Israele l'unica democrazia del Medioriente. Ma il Fassino che ha messo i puntini sulle «i» non ha mancato di innervosire D'Alema. Berlusconi lo ha trattato da nemico degli ebrei e il ministro ora comincia a temere che il dialogo tra gli sfidanti anche sulla politica estera, nonché la somiglianza dei programmi, finiscano per sconfessare la sua politica.
«Massimo è nitidamente schierato per la causa araba, aprendo al dialogo con Hamas voleva mettere in difficoltà Walter — è l'analisi di Peppino Caldarola —. Per non finire in soffitta, D'Alema prova a inceppare il confronto bipartisan». Lapo Pistelli, responsabile Esteri del Pd, smentisce tensioni e spiega che se la linea del partito appare un po' «cerchiobottista» è perché «in Medioriente il doppio registro è giusto che ci sia».
Un gioco delle parti, insomma, con Veltroni che fa l'amico di Israele e D'Alema che si coccola gli arabi? «Il nostro machiavellismo — conferma Pistelli — una volta tanto è una virtù
». E alle nove il pullman arriva a Varese, culla della Lega. Dove la sorpresa non sono i manifestanti pro Carroccio con tanto di striscioni «Walter pensa a Roma ma Mal-pensa» e «Veltroni a Varese = Bin Laden a New York», ma il teatro esaurito e i quattromila democratici che costringono il leader del Pd a traslocare il comizio all'aperto: «È una serata magica... e seppure mi paragonano a Stalin io non rispondo».

Un articolo di Massimo Franco sulla posizione del Pdl sulle missioni italiane.

I n quattro giorni, il centrodestra ha modificato la politica estera dell'Italia. Se vince, ridimensionerà la missione Unifil in Libano, voluta fortemente dall'Unione per sancire il ritorno al multilateralismo sotto l'egida dell'Onu. Ma progetta anche di mandare più truppe in Afghanistan, «perché lo chiedono le Nazioni Unite»; e istruttori militari in Iraq. È la promessa di una sterzata che cancella le scelte fatte negli ultimi due anni dal governo di Romano Prodi. E spiega perché ieri, almeno per alcune ore, sia stato riesumato il duello fra Silvio Berlusconi ed il premier dimissionario.
È la conferma che il segnale lanciato il 12 marzo da Gianfranco Fini non era una fuga in avanti. Appoggiando Israele contro il dialogo con Hamas proposto da Massimo D'Alema, titolare della Farnesina, Fini sapeva di non rimanere isolato. Faceva il battistrada di un'offensiva che ieri è stata estremizzata dall'ex ministro della Difesa, Antonio Martino; e poi ufficializzata dal Cavaliere. «Noi abbiamo votato la missione in Libano, ma non eravamo d'accordo con le regole d'ingaggio», ha spiegato Berlusconi. «Se andremo al governo le cambieremo». L'annuncio sposta bruscamente l'attenzione sulle questioni estere. Rivela una strategia di smantellamento dei capisaldi del centrosinistra. E prefigura una transizione che potrebbe comportare rischi non solo diplomatici. L'ambasciatore d'Italia a Beirut, Gabriele Checchia, è stato convocato dai vertici istituzionali libanesi: volevano capire che cosa sta succedendo. Prodi, D'Alema e Walter Veltroni accusano il centrodestra di ferire la credibilità che il nostro Paese avrebbe riacquistato con loro. E Fausto Bertinotti si associa, attaccando «le destre che vogliono abbandonare il Libano» e tornare in Iraq.
Ma più delle loro critiche colpiscono i timori del generale Mauro Del Vecchio, candidato del Pd al Senato, ex capo missione in Afghanistan. Del Vecchio intravede pericoli per i soldati in Libano, dovuti al cambio di strategia annunciato da Berlusconi: anche se sia il candidato premier, sia Fini precisano che non vogliono cancellare la missione. Tuttavia la considerano meno importante rispetto al 2006. E preferiscono assecondare le richieste alleate di un rafforzamento dei contingenti europei in Afghanistan.
Si tratta di un'opzione che va incontro alle pressioni degli Usa, per i quali oggi la priorità è la guerra ai Talebani. Ma implica anche una maggior sintonia col governo di Gerusalemme. Promette di interrompere il dialogo con Hamas teorizzato da D'Alema e contestato dalla diplomazia israeliana. La polemica di ieri, però, non offre solo lo scontro fra Cavaliere e Professore. Fa rispuntare sulla politica estera un asse Prodi-D'Alema-Bertinotti, che risuscita per un giorno l'Unione. Veltroni lo asseconda. Ma l'impressione è che stavolta segua un'agenda dettata da altri.

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