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Il Manifesto Rassegna Stampa
13.03.2008 Al Jazeera continui pure con la propaganda...
... e Israele collabori, se no Michele Giorgio si indigna

Testata: Il Manifesto
Data: 13 marzo 2008
Pagina: 0
Autore: Michele Giorgio
Titolo: ««È filo-Hamas», Israele dichiara guerra ad Al Jazeera»

Non stupisce certo che Il MANIFESTO difenda il diritto di al Jazeera di produrre e diffondere liberamente la propria propaganda di guerra contro Israele.
E anzi, il dovere di Israele di favorirla in ogni modo. Le interviste ai membri del governo e gli accrediti dei giornalisti, ad esempio, devono essere concessi. Altrimenti è una "guerra" di Israele contro la libertà di informazione.

Resta ovviamente fuori dalle selettive indignazioni di Giorgio il problema di come una società democratica, che lascia la massima libertà ai media, possa difendersi dalla guerra dell'informazione che stati e gruppi totalitari possono condurre attraverso una sistematica manipolazione.

Ecco il testo:


È un attacco a tenaglia quello che Israele e l'Autorità nazionale di Abu Mazen hanno lanciato contro la televisione satellitare del Qatar al-Jazeera. Israele ha dichiarato guerra all'emittente che ha rivoluzionato il modo di fare informazione nel mondo arabo.
«Al Jazeera è diventata parte di Hamas» ha accusato il vice ministro degli esteri Majalli Wahabe. Simili le accuse che arrivano dall'Anp. Da oggi in poi il direttore dell'ufficio locale dell'emittente Walid Omary e il resto della redazione non otterranno più interviste con esponenti del governo israeliano. E verrà inviata anche una lettera ufficiale di protesta al Qatar. «Abbiamo constatato che al-Jazeera è diventata parte di Hamas, schierandosi e cooperando con gente che è nemica dello Stato di Israele», ha affermato Wahabe, «rappresenta una sola posizione. Perché dovremmo collaborare con loro?».
In futuro i giornalisti di al-Jazeera che arriveranno in Israele non potranno ottenere l'accredito. Lo scontento israeliano e dell'Anp verso la televisione qatariota è cresciuto nelle ultime settimane, soprattutto durante la recente offensiva contro Gaza. Al-Jazeera, sostiene Israele, ha dato spazio solo alle sofferenze arabe, trasmettendo immagini e servizi sulle tante vittime civili (oltre il 50% dei 120 morti palestinesi registrati in una settimana) dell'attacco israeliano, ed ha trascurato quanto accadeva a Sderot, la cittadina presa di mira dai razzi Qassam che di recente hanno fatto un morto e feriti tra i civili israeliani.
«Queste accuse sono infondate - ha protestato Walid Omary - cercano di intimidirci per influenzare il nostro lavoro. Nei giorni scorsi abbiamo inviato troupe anche a Sderot e intervistato rappresentanti ufficiali israeliani. Non siamo noi che lanciamo razzi verso Israele e non siamo noi che mandiamo gli F-16 a bombardare Gaza».
Ma Omary deve guardarsi anche alle spalle, perché l'Anp e Fatah stanno attaccando a fondo la sua televisione che pure gode di un pubblico vasto e di un'ampia stima nei Territori occupati. È un attacco intenso, cominciato dopo la presa del potere di Hamas lo scorso giugno a Gaza, quando emissari di Abu Mazen andarono a Doha per chiedere la testa dei giornalisti di al-Jazeera che avevano dato spazio al movimento islamico. Ora diversi dirigenti locali di Fatah stanno raccogliendo firme per bloccare l'emittente. Ma la televisione qatariota deve fare i conti anche con l'ostilità dei regimi di vari paesi arabi, in particolare di Egitto e Arabia saudita (la monarchia di Riyadh ha dato vita ad una sua tv «all news», al-Arabiya, per contrastare i rivali del Qatar). Lo scorso 29 gennaio la polizia egiziana ha arrestato la giornalista di al-Jazeera Huwaida Taha che aveva denunciato l'uso della tortura da parte dei servizi segreti.
L'accusa che il regime di Mubarak lancia al tv del Qatar è quella solita: darebbe sostegno ai Fratelli Musulmani. Ad inizio del mese invece la stampa araba legata ai regimi si è scagliata contro la direzione dell'emittente che aveva dato spazio ad una intellettuale araba-americana critica verso l'Islam. Senza dimenticare le accuse continue ad Al-Jazeera che giungono dagli Stati Uniti che pure hanno dato vita ad una televisione satellitare in lingua araba, al-Hurra, che non fa altro che riportare la versione di Washington di ciò che accade in Medio Oriente.
L'attacco ad al-Jazeera investe però tutti i media arabi più liberi. Di recente il ministro dell'informazione egiziano Anas al-Faqqi and il suo omologo saudita Iyad Madani hanno lavorato ad un piano per la riorganizzazione dell'informazione regionale volto a «fermare» quei mezzi d'informazione che «aiutano il terrorismo». Una formula studiata non certo per colpire i giornali e i siti web che fanno capo ad al-Qaeda ma invece al-Jazeera e altri media che danno un resoconto degli avvenimenti non ancorato alle versioni ufficiali. Come faceva notare il mese scorso il direttore del quotidiano londinese al Quds al Arabi, Abdel Bari Atwan, i regimi arabi da questo momento in poi potranno far arrestare chiunque, in un giornale o in una televisione, decida di riferire posizioni scomode e i comunicati delle opposizioni.


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