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La Repubblica Rassegna Stampa
11.03.2008 "La storia che stavo raccontando e la mia vita si sono incrociate nella maniera più dolorosa possibile"
intervista a David Grossman sul suo nuovo romanzo

Testata: La Repubblica
Data: 11 marzo 2008
Pagina: 50
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «tutto il dolore di Grossman»

Da La REPUBBLICA dell'11 marzo 2008:
« Un anno e mezzo fa, tre anni e mezzo dopo aver cominciato a scrivere il mio ultimo romanzo, la storia che stavo raccontando e la mia vita si sono incrociate nella maniera più dolorosa possibile». David Grossman parla in pubblico della sua nuova opera che uscirà in Israele fra due settimane. Inevitabilmente la tragedia del figlio Uri, ucciso alla fine della seconda guerra del Libano, quando ormai la tregua era stata decisa, riecheggia nel tessuto narrativo, irrompe dal subconscio dell´autore, diventa parte del processo creativo già in stato avanzato.
Il nuovo romanzo, dice Grossman alla platea del centro culturale Beit Shmuel, parla di una donna il cui figlio parte per una missione militare e lei scappa di casa per non tormentarsi nell´attesa di una ferale notizia che è certa di ricevere. In questo, la madre decide di diventare «una refusnik» della cattiva notizia nel tentativo di evitarla, di evitarne l´esistenza: se lei non è lì in attesa, sembra di capire, la notizia non ci sarà «e riuscirà a salvare il figlio».
La donna fugge in Galilea trascinando con sé un uomo che era stato il suo primo amore in gioventù, il primo e unico amore della sua vita, e per giorni e notti vagano da una parte all´altra del paese. Durante questo peregrinare la madre fa l´unica cosa che sa fare per difendere il suo unico figlio: parlare di lui. E così facendo vive la storia della vita del suo ragazzo.
«E´ un libro sull´opera creativa della famiglia - dice Grossman -, sull´essere genitori, sul matrimonio, sui rapporti fuori dal comune fra due fratelli, sull´amicizia, sull´amore di lunghi anni. Vi si parla dello sforzo quasi eroico di mantenere integro il tessuto delicato e intimo di una famiglia nel cuore della violenza, dell´orrore e dell´unicità della realtà israeliana».
Ce n´è abbastanza per intuire l´orizzonte amplissimo di questa nuova opera. Ma Grossman non s´è limitato a dare le prime anticipazioni del suo nuovo romanzo. Ha voluto accendere una luce sul processo interiore che presidia alla creazione di una nuova opera. Quello che spinge uno scrittore è la volontà di organizzare la realtà in una storia e, attraverso questo sforzo, di conoscere se stesso e gli altri. «Per me più tempo passa più cresce la volontà di identificarsi con l´altro, di mettersi nelle sue scarpe, di entrare non solo nella sua anima ma anche nel suo corpo».
E´ un rapporto di tenerezza materna quello che lega l´autore ai suoi personaggi. Scrivere un romanzo è come nascondere una grande famiglia in cantina in tempo di guerra. Bisogna scendere un paio di volte al giorno, portare loro da mangiare, raccontare le ultime notizie, quello che succede fuori, ed anche svuotare il vaso da notte. «Lo scrittore deve essere attento a tutte le esigenze dei suoi personaggi». E soprattutto deve fare in modo che, pur identificandosi con essi, vivano di vita propria, con una loro logica, capaci anche di sorprendere il loro stesso autore.
Ma cosa significa la scrittura letteraria in una terra di conflitto? Qui il discorso di Grossman acquista un tono inevitabilmente polemico. Dice l´autore di Vedi alla voce: Amore: come la dedizione dello scrittore è totale nei confronti dei suoi personaggi, così i politici devono dedicarsi ai loro popoli, ai loro Stati, perché sono responsabili delle trappole in cui hanno spinto la gente. In questo una grande responsabilità pesa anche sui media che usano le parole per cancellare le sfumature, per offrire una realtà più facile da digerire, trasformando così i singoli in massa.
Ora Grossman racconta di sé. Quando si chiude nella sua stanza di lavoro. Grossman pensa che da un´altra parte del mondo, a Teheran, a Gaza, c´è un altro scrittore come lui occupato in questo lavoro di creazione, un alleato che non lo conosce e pensa all´enorme potenzialità esistente per cambiare il modo e correggerne gli errori.
E tuttavia la realtà spesso ha il sopravvento. «Chi ride non ha sentito le news», dice Grossman citando Brecht. Dunque, «il prezzo che si paga a vivere in una zona disastrata come questa». La chiusura, la costruzione di una barriera tra noi e gli altri. Spesso i lettori non capiscono. Una volta, ad un dibattito, una persona gli chiede se la macchina in cui viaggiano per tutta la notte i due protagonisti di Col corpo capisco non sia per caso una metafora, quello spazio ristretto, della soffocante occupazione militare.
«Se crediamo che la guerra sia il destino che ci è stato prestabilito, è enorme il prezzo richiesto dopo cento anni di questa nostra vita parallela al conflitto». Gli effetti devastanti sono: «una riduzione della superficie dell´anima e per molti la scelta di non sapere per non provare troppo, in una forma di anestesia autogena, perché chi sente di più, soffre di più». E conclude, Grossman, che a causa di questo timore riduciamo la nostra vitalità, riduciamo l´arco armonico della nostra anima e della nostra coscienza. «Così che, quando arriverà la pace che tutti ci auguriamo forse sarà troppo tardi».

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