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L'Onu, D'Alema e l'aggressione a Israele 07/03/2008
Dopo la conclusione del vertice di Annapolis scrivemmo che, in realtà, non
si doveva sperare in nessun miglioramento della situazione in questo periodo
di fine presidenza Bush. I desideri dei singoli personaggi, se si scontrano
con la storia, sono sempre destinati a soccombere.
Non gioire quando il nemico cade, ricordò il perfido Sharon all'altrettanto
odiata Oriana Fallaci. Dall'altra parte i palestinesi, dopo ogni attentato
riuscito, escono in strada sparando per la gioia pallottole e fuochi
d'artificio, in barba alla assoluta mancanza di tutto.
Se cerchiamo di analizzare meglio la situazione, non si può non osservare
come, per cominciare, l'ONU è bloccata dalle sue precedenti, scellerate
scelte (intendo quella di aver affidato a paesi non democratici il Consiglio per i diritti umani) Se deve votare l'ennesimo documento, destinato a fare la
fine dei precedenti, sulla battaglia combattuta a Gaza nei giorni scorsi,
l'ONU viene pertanto facilmente bloccata dalla Libia di Gheddafi, ormai buon
amico di tutti i Grandi, che non ammette l'uso del termine "terrorismo"
accanto alla descrizione del "lavoro" compiuto dai Grad e dai Qassam sparati
sulle città israeliane al ritmo di 30/50 al giorno.
Se si parla delle risposte di Israele, la Libia si oppone, regolarmente, a
qualsiasi riferimento alle aggressioni degli arabi. Per par condicio, si
dovrebbe quindi ammettere che, se si parla di un'aggressione subita da
studenti ebrei intenti a studiare, la Libia non imponga alcun riferimento
agli scontri di Gaza. E invece no, e così l'ONU, ancora una volta, si trova
bloccata dalle imposizioni arabe, che prevalgono sulla volontà, per esempio,
di USA e Russia, per una volta concordi.
Non si può quindi non comprendere l'ambasciatore israeliano all'ONU che si
chiede "che cosa ci faccia il suo paese in quell'edificio".
Ma se poi attraversiamo l'oceano e guardiamo in casa nostra, comprendiamo il
perché di tanta acrimonia da parte degli arabi: ci spiegano infatti che
"quei giovani uccisi (due di 15 anni, 2 di 16 e due di 18, fra gli altri)
combinavano educazione religiosa e attività proprie del servizio militare".
Ma che strano, non incominciano a 18 anni, dopo la fine del liceo, i giovani
israeliani a servire nell'esercito?
E poi ancora ci spiegano, questi amici nostrani dei palestinesi, che cito
testualmente quando ci illustrano che cosa facevano quei giovani trucidati:
"creare quell'atmosfera di turbolenza e di guerra nella quale si dovrebbe
manifestare più rapidamente il loro Messia". Ma non erano proprio gli arabi
che cercavano di creare le condizioni per il ritorno del loro "Messia"
uccidendo anche l'ultimo ebreo rimasto sulla terra?
E dire che basterebbe andare in Israele e parlare con la gente, per capire
come stanno le cose. E i giovani potrebbero anche parlare un poco coi loro
coetanei israeliani che vengono nel nostro paese a studiare: si renderebbero
facilmente conto dell'assurdità di certe loro affermazioni.
Davvero diventa difficile comprendere come gira il mondo, leggendo certe
parole. Per fortuna che D'Alema si è espresso, riconoscendo quest'ultimo
come un efferato atto di violenza dopo i tragici eventi di Gaza. Grazie alla
sua equidistanza lui, per una volta, si è ricordato di quel che gli altri
(questa volta gli arabi) hanno subito. Ma l'altro giorno si era dimenticato della sua equidistanza, dovendo criticare Israele per le sue risposte al lancio di
migliaia di missili assassini.
Emanuel Segre Amar

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