Reportage da Hiriya, dove Israele risolve il problema dei rifiuti e dove si dice "dateci in mano Napoli e la metteremo a posto noi"
Testata: La Stampa Data: 06 marzo 2008 Pagina: 1 Autore: Francesca Paci Titolo: «Israele: date a noi i rifiuti di Napoli»
Da La STAMPA del 6 marzo 2008:
L’odore non proprio floreale è l’ultimo ricordo di una vita fa, quando anche qui i rifiuti venivano ammassati come a Napoli tonnellata su tonnellata, oppure inceneriti nell’aria. «Intanto la sostanza, poi penseremo all’olfatto», assicura Idit El-hassid, direttrice di Hiriya, la gigantesca discarica a pochi chilometri da Tel Aviv che fino al 1999 raccoglieva la spazzatura della regione di Gush Dan, diciassette municipalità, oltre due milioni di persone, un terzo della popolazione israeliana.
L’aspetto è una riserva verde di 450 mila metri quadrati intorno a una collina alta sessanta metri: sotto ci sono sedici milioni di metri cubi d'immondizia accumulati dal 1952, sopra, supervisionati dal paesaggista tedesco Peter Latz, crescono alberi, piste ciclabili, decine di piccole officine in cui si ricicla plastica, legno, metallo, vetro. Passato e futuro, strato su strato. «Israele è un Paese piccolo e popoloso», continua Idit El-hassid. Il trattamento dei rifiuti non è un problema postmoderno ma antico, esigenza nazionale più urgente anche della pace con i palestinesi, che invece stagna senza una soluzione condivisa. Otto anni fa, dopo l'ennesimo atterraggio d'emergenza al vicino aeroporto Ben Gurion invaso dagli uccelli della discarica, le autorità regionali decisero di chiudere Hiriya e ricavarne un parco, Ayalon Park. Lo smaltimento pianificato è cominciato nel 2000 e terminerà nel 2020, ma da mesi le famiglie utilizzano l'area per il pic-nic del sabato. «Dateci in mano Napoli e la mettiamo a posto noi», butta là Ori Boulogne, cofondatore della Arrow Ecology&Engineering Overseas Ltd., una delle società dell'arcipelago Hiriya, quella responsabile della città di Tel Aviv, cento tonnellate al giorno di rifiuti non smistati. Dalle finestre del suo ufficio ecologically correct, con le sedie di design in plastica riciclata, si vede l'enorme vasca in cui comincia il processo di separazione. Perchè, spiega mister Boulogne, «la raccolta differenziata ha fatto il suo tempo, troppo articolata per diventare cultura condivisa». I tecnici della Arrow gettano tutto nell'acqua: l'immondizia leggera resta a galla, quella pesante va a fondo, dove speciali calamite separano il metallo dal resto, i sacchetti vengono risucchiati da un ventilatore. Una turbina da 1,5 megawatt ricava energia dal metano prodotto. Ori Boulogne ha presentato l'idea a Rimini durante l'ultima fiera dell’high tech ambientale. Ma sogna Napoli, il mercato più appetibile del momento: «Ci stiamo provando». Da Palazzo Salerno, il centro operativo per la gestione dell'emergenza partenopea, Federico P. conferma l'avvio di una trattativa che appare complicata quanto quella tra Olmert e Abu Mazen: «Abbiamo portato la soluzione Arrow a Napoli, avevamo proposto un primo impianto per lo smaltimento di 120 tonnellate al giorno di rifiuti solidi urbani e di ecoballe in sei mesi. Ma non traspare la volontà di risolvere l'emergenza». Dai vialetti d'accesso all'area industriale di Hiriya entrano ed escono di continuo camion della nettezza urbana, la municipale con un terzo degli impiegati laureati in biotecnologie: 800 viaggi al giorno per scaricare 2700 tonnellate di rifiuti indifferenziati, una delle più grandi stazioni di transito del mondo. Sembra fantaecologia ma funziona come una catena di montaggio vecchio stile. Una volta differenziata, la spazzatura è spedita alle varie officine per essere riutilizzata. Anche artisticamente. Il falegname Aviv assembla pezzi di vecchi mobili in fogge nuove e la pittrice Rachel li decora con colori biologici. Riciclaggio al 100%? Non ancora, il mercato non è pronto ad assorbire il futuro. Quel che avanza da Hiriya è dirottato nei sette campi rifiuti israeliani e seppellito. Domani chissà, potrebbere pure fiorire.
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