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La Stampa Rassegna Stampa
06.03.2008 Israele alla Fiera del libro, ventinovesima puntata
il quotidiano di Torino pubblica l'islamista Tariq Ramadan

Testata: La Stampa
Data: 06 marzo 2008
Pagina: 37
Autore: Tariq Ramadan
Titolo: «Nessuna fatwa»
Ogni anno la Fiera del libro di Torino invita una paese come ospite d'onore, per presentare la sua cultura e la sua letteratura.
Nel 2008 è stato scelto Israele, in concidenza con l'anniversario della sua fondazione.
In questo caso, siccome si tratta di Israele, Tariq Ramadan ritiene che l'iniziativa abbia avuto un significato "politico". Quale ? Non certo quello di approvare le politiche dei governi israeliani, che non c'entrano nulla, come non c'entravano nulla con gli inviti al Canada o alla Grecia.
Forse il significato politico che Ramadan non accetta consiste nell'affermazione, certamente implicita nell'invito,  del diritto all'esistenza di Israele ?
Nel testo di Ramadan si trovano le abituali smentite delle dichiarazioni più fnatiche attribuitegli dalla stampa (come "non si può accettare niente dallo Stato di Israele"), le abituali falsità (non solo la criminalizzazione di Israele, ma anche l'affermazione che a Torino nonsarebberostati invitati scrittori arabo-israeliani: è stato invece lo scrittore Sayed Kashua a rifiutare l'invito), e l'abituale ambiguità.
Un concentrato di tutti questi aspetti è la frase:
"Boicottare non significa assolutamente negare l’esistenza di Israele: io non nego la sua esistenza, ma mi oppongo alla politica d’occupazione e alle campagne repressive e disumane messe in atto dai vari governi israeliani"
Ramadan non nega l'esistenza di Israele, dunque. Neanche Ahmadinejad lo fa, limitandosi ad auspicare che a questo fatto increscioso possa essere posto rimedio. Quel che vorremmo sapere, però, e se Ramadan nega il diritto all'esistenza di Israele. E ancora: cosa intende per politica di occupazione ? Prescindendo dal fatto che Israele non ha affatto una politica di occupazione, e anzi ha una politica di disimpegno paralizzata dal terrorismo e dalle conseguenti esigenze di sicurezza, ci chiediamo: che cosa intende Ramadan per "occupazione" ? Quali sono i territori "occupati" ? Comprendono Tel Aviv e Haifa ?. Le "campagne repressive e disumane" sono naturalmente le risposte militari all'aggressione terroristica aintisraeliana. Gli ebrei darebbero prova di grande umanità, se si lasciassero ammazzare senza difendersi.

Ecco il testo completo dell'articolo di Ramadan:

Da settimane i media si sono mobilitati, e talvolta scatenati, intorno alla questione del boicottaggio della Fiera del Libro di Torino che celebra Israele in occasione del suo sessantesimo anniversario. Abbiamo ascoltato di tutto, controverità, falsità e dichiarazioni che hanno seminato la confusione sui termini del dibattito e sulle rispettive posizioni. È importante incominciare a chiarire che cosa ho davvero detto e le posizioni che ho preso nelle ultime settimane. Non sono stato io a lanciare l’appello al boicottaggio della Fiera e quando sono stato interpellato da un giornalista dell’agenzia ATIC, ho effettivamente appoggiato l’iniziativa affermando che questa celebrazione era inopportuna e provocatoria, che il silenzio della comunità internazionale di fronte alle sofferenze dei palestinesi era insopportabile e che non si poteva accettare qualsiasi cosa dallo stato di Israele (non ho mai detto che «non si poteva accettare niente dallo stato di Israele»: è stata una cattiva traduzione dall’arabo compiuta dall’agenzia ATIC che ha riconosciuto l’errore).
Boicottare non significa assolutamente negare l’esistenza di Israele: io non nego la sua esistenza, ma mi oppongo alla politica d’occupazione e alle campagne repressive e disumane messe in atto dai vari governi israeliani. Ho combattuto e continuerò a combattere l’antisemitismo e ogni forma di razzismo, non mi stanco mai di partecipare ai circoli di riflessione su queste questioni e ai dibattiti ebraico-musulmani, ma non accetto il ricatto al quale ci sottomettono politici, intellettuali e alcuni media. Confondere la critica allo stato di Israele e alla sua politica con l’antisemitismo è un’impostura intellettualmente disonesta. È un’offesa alla coscienza umana e alla dignità dei palestinesi: significa mettersi ciecamente e con arroganza dalla parte dei più forti considerando che la vita dei più deboli non vale nulla e può essere sacrificata in nome del calcolo politico.
La celebrazione di uno Stato e del suo sessantesimo anniversario - a meno che non ci consideriate degli imbecilli - è un gesto eminentemente politico ed è questo che noi boicottiamo. Non si tratta di negare la libertà d’espressione o la cultura degli scrittori e degli artisti. Gli inviti che sono stati loro rivolti sono benvenuti e io stesso ho sempre partecipato a questi dibattiti (anche se è interessante interrogarsi su questa strana dimenticanza: l’assenza di inviti agli autori israeliani arabi, cristiani o musulmani: che idea hanno gli organizzatori della Fiera della composizione della cittadinanza nella società israeliana?)
E infine è stato detto che il mio appoggio al boicottaggio aveva il valore di una fatwa! Non contenti di aver deformato la mia posizione e le mie dichiarazioni sono andati oltre con l’intenzione di spaventare utilizzando la parola «FATWA» che ricorda la triste storia del tentativo di far tacere Salman Rushdie. A parte il fatto che io ho condannato fin dall’inizio la fatwa contro Rushdie, bisogna dire con chiarezza che il mio appoggio al boicottaggio non è un pronunciamento religioso né un provvedimento della legge islamica. Che ignoranza, che strumentalizzazione! Essendo privi di argomenti, i miei avversari mi vogliono demonizzare: «Tariq Ramadan è antisemita e ha lanciato una fatwa!». Un’affermazione del genere è vergognosa e falsa, indegna di persone che dicono di voler rispettare la cultura e il dialogo.
Se gli organizzatori della Fiera di Torino volevano aprire un dialogo e dei veri dibattiti tra gli autori e gli scrittori israeliani, palestinesi o più apertamente ancora arabi, non avrebbero dovuto imporre un quadro che altera la natura stessa di questi incontri. E invece tutto quanto non può che essere preso per una provocazione, ragione per la quale io penso che la scelta di Israele come invitato d’onore e del quale si celebra l’anniversario nel momento in cui il popolo palestinese muore a Gaza a causa della politica israeliana è come minimo una gaffe e nei fatti un errore. Questa scelta che si definisce «culturale» riflette esattamente la posizione politica di oggi dell’Europa e dell’occidente: si celebra Israele, si continua ad attizzare la confusione tra critica politica e antisemitismo e soprattutto si tace sull’indegna sofferenza dei palestinesi. Questa scelta «culturale» fa l’eco al «silenzio politico» contribuendo a deviare la questione come sanno fare bene i ciechi sostenitori dello Stato di Israele: lanciamo dei dibattiti «culturali» e facciamo finta di non accorgerci che in questo modo giustifichiamo il «silenzio politico»! Questo uso della cultura è politico e, lo ripeto, bisogna che smettano di prenderci per imbecilli. E allora, voglio porre una semplice domanda, nel momento in cui l’Iran è lo spauracchio della scena politica internazionale e il bersaglio preferito della bellicosa amministrazione Bush. Gli organizzatori della Fiera sarebbero arrivati fino al punto di invitare l’Iran affermando che si trattava di un incontro strettamente culturale e che i veri invitati sono gli autori e non lo Stato? No, è evidente. Con questo non intendiamo proporre agli organizzatori di invitare l’Iran, ma soltanto a riconoscere il carattere politico del loro invito! Noi opponiamo loro lo strumento del boicottaggio che manifesta chiaramente il rifiuto della violenza ed è - in realtà - l’accettazione del dialogo! Che altri mezzi abbiamo noi? Ho detto e ripetuto che è il nostro silenzio sulla scena internazionale una delle cause della violenza in Medio Oriente: il boicottaggio è uno degli strumenti pacifici per rompere il silenzio, eppure ecco che subito ci viene risposto con una incredibile violenza verbale e moltiplicando le menzogne. Gli intransigenti chiusi al dialogo non sono quelli che si pensa.
Ho molto apprezzato che il direttore della Fiera Ernesto Ferrero e il presidente Rolando Picchioni mi abbiano indirizzato un appello al dialogo in una lettera aperta. Noi siamo in disaccordo sul senso da dare a questa celebrazione e sulla sua portata politica. Mi viene chiesto di riconoscere la sua dimensione culturale: la mia posizione, secondo loro, equivarrebbe a impedire la libertà di espressione degli scrittori e degli autori israeliani. I due firmatari della lettera mi ricordano che io stesso sono stato invitato alla Fiera e che dunque la mia posizione sarebbe paradossale. Effettivamente io sono stato invitato alla Fiera e ne ho apprezzato l’apertura di spirito e lo spazio del dibattito. L’ho riconosciuto e lo riconosco ancora oggi con forza e con rispetto. Ma ora voglio precisare che avrei partecipato senza alcuna esitazione a dei panels di discussione e di dibattito con autori israeliani su questioni letterarie o filosofiche o ancora, per esempio, sul senso e il diritto di criticare Israele. Sarei stato il primo a rispondere a questo invito e a incoraggiare gli autori arabi, palestinesi, cristiani e musulmani a parteciparvi. Ma una cosa è la libertà di espressione e il dibattito intellettuale in uno spazio libero (come dovrebbe essere la Fiera di Torino) e altra cosa è organizzarlo mentre si festeggia l’anniversario di uno Stato che non rispetta le risoluzioni dell’Onu, pratica gli assassini politici mirati e affama un intero popolo. Mi impegnerei con tutto il cuore in liberi dibattiti, alla Fiera di Torino o altrove, ma con tutta la forza della mia intelligenza e della mia coscienza mi opporrò alla strumentalizzazione e ai silenzi politici quando alcuni festeggiano e altri muoiono in silenzio e senza dignità.

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