Egregio Direttore, i giornalisti che visitano zone di guerra, soprattutto se in territori controllati da gruppi con idee estremiste, non sono mai liberi di muoversi autonomamente sul territorio. Inoltre, spesso, si muovono in gruppo, insieme ad amici corrispondenti di altre testate, ciascuno con il proprio accompagnatore ufficiale. Capita così, confrontando i loro scritti, di leggere nella stessa giornata, e con firme entrambe certo non filoisraeliane, due frasi che desidero qui riportare alla sua attenzione. Scrive Stabile, parlando della famiglia Atallah, ai quali gli israeliani hanno distrutto la casa con la conseguente morte di molti membri della famiglia stessa: "senza una particolare coloritura politica". Aggiungendo poi: "resta perciò un mistero come mai un aereo israeliano abbia sganciato tre bombe sull'edificio dove abitavano Atallah, sua moglie, quattro figli e sei bambini". Lo stesso giorno scrive la Paci, su La Stampa, a proposito delle sei vittime della stessa famiglia Atallah: "sei vittime, madre, padre, due sorelle e due fratelli entrambi leader delle Brigate al Qassam". Vede, signor Direttore, il conflitto israelo palestinese è già sufficientemente tragico da solo senza la necessità che i cronisti aggiungano di loro elementi che servono solo ad eccitare ulteriormente l'opinione pubblica. Il Giornalista deve sapere, inoltre, che, quando visita certi luoghi, accompagnato da certe "guide istituzionali", deve valutare quel che è un fatto certo, che merita di essere scritto, e separarlo da quel che è, o appare essere, una semplice propaganda. Quelli che sono stati grandi Giornalisti, e che, in alcuni casi mi sono onorato di conoscere bene diventandone amico, avevano sempre ben chiaro questo concetto quando si accingevano a scrivere. E' d'accordo con me, Direttore? Distinti saluti