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Due corrispondenze da Gaza 04/03/2008

Una lettera inviata a La REPUBBLICA

Egregio Direttore, i giornalisti che visitano zone di guerra, soprattutto se
in territori controllati da gruppi con idee estremiste, non sono mai liberi
di muoversi autonomamente sul territorio. Inoltre, spesso, si muovono in
gruppo, insieme ad amici corrispondenti di altre testate, ciascuno con il
proprio accompagnatore ufficiale.
Capita così, confrontando i loro scritti, di leggere nella stessa giornata,
e con firme entrambe certo non filoisraeliane, due frasi che desidero qui
riportare alla sua attenzione.
Scrive Stabile, parlando della famiglia Atallah, ai quali gli israeliani
hanno distrutto la casa con la conseguente morte di molti membri della
famiglia stessa: "senza una particolare coloritura politica". Aggiungendo
poi: "resta perciò un mistero come mai un aereo israeliano abbia sganciato
tre bombe sull'edificio dove abitavano Atallah, sua moglie, quattro figli e
sei bambini".
Lo stesso giorno scrive la Paci, su La Stampa, a proposito delle sei vittime
della stessa famiglia Atallah: "sei vittime, madre, padre, due sorelle e due
fratelli entrambi leader delle Brigate al Qassam".
Vede, signor Direttore, il conflitto israelo palestinese è già
sufficientemente tragico da solo senza la necessità che i cronisti
aggiungano di loro elementi che servono solo ad eccitare ulteriormente
l'opinione pubblica. Il Giornalista deve sapere, inoltre, che, quando visita
certi luoghi, accompagnato da certe "guide istituzionali", deve valutare
quel che è un fatto certo, che merita di essere scritto, e separarlo da quel
che è, o appare essere, una semplice propaganda.
Quelli che sono stati grandi Giornalisti, e che, in alcuni casi mi sono
onorato di conoscere bene diventandone amico, avevano sempre ben chiaro
questo concetto quando si accingevano a scrivere.
E' d'accordo con me, Direttore?
Distinti saluti
 
lettera firmata


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