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La Repubblica Rassegna Stampa
03.03.2008 Informazione scorretta sulla crisi di Gaza
l'editoriale di Paolo Garimberti

Testata: La Repubblica
Data: 03 marzo 2008
Pagina: 1
Autore: Paolo Garimberti
Titolo: «Macerie sul negoziato»

Nel tentativo di presentare la propria analisi della crisi di Gaza come equilibrata, Paolo Garimberti riesce solo ad apparire ambiguo, senza rinunciare agli stereotipi della propaganda antisraeliana. Che non sono una parte delle verità, ma soltanto un'enorme, pericolosa menzogna.
Se leggiamo di
   "rappresaglia indiscriminata degli israeliani", a dispetto del fatto che gli obiettivi israeliani erano tutti militari e che i morti civili tra i palestinesi sono stati provocati dai terroristi che  se ne facevano scudo, e se leggiamo di "over-reaction" israeliana, e dunque, ancora una volta, di reazione "sproporzionata", senza che vengano indicati i criteri di "proporzionalità" che Israele dovrebbe seguire, a poco valgono espressioni di condanna per Hamas che dovrebbero riequilibrare il giudizio: quella a cui ci troviamo di fronte è, inequivocabilmente, disinformazione.

Ecco il testo, da La REPUBBLICA  del 3 marzo 2008:


La guerra di Gaza (nascondersi dietro le parole è inutile) è destinata a produrre soltanto macerie, oltre che un numero esorbitante di vittime innocenti. Il primo cumulo di detriti politici rischia di essere quello della fragile costruzione diplomatica che fu messa in piedi in fretta e furia ad Annapolis. E che portò George W. Bush a promettere di battezzare entro il 2008, cioè entro la fine del suo mandato, uno Stato palestinese in grado di «vivere accanto a Israele in pace e in sicurezza».
L´ennesima promessa mancata di una presidenza che, per giudizio unanime degli analisti specializzati compresa la famosa commissione bipartisan Baker-Hamilton sull´Iraq, ha prodotto la peggiore politica estera americana da molti decenni a questa parte.
L´America non ha la forza, né diplomatica né morale, di fermare questa scossa tellurica mediorientale. Le parole del portavoce di turno della Casa Bianca, Gordon Johndroe, rituali e ripetitive («le violenze devono essere fermate e i colloqui ripresi»), cadono nel vuoto che la non-politica mediorientale della presidenza americana ha creato, di cui il vertice di Annapolis è stato un tardivo placebo. E nessun altro ha la forza di sostituirsi agli Stati Uniti in quel ruolo di «broker» che l´Europa non ha mai saputo assumersi (in grande misura per la diffidenza israeliana) e che l´Onu ancora meno può riempire.
La risposta del premier Ehud Olmert all´appello del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e soprattutto alle critiche del segretario generale Ban Ki-Moon (che ha parlato di «uso eccessivo della forza da parte di Israele») tolgono ogni credibilità a una eventuale mediazione dell´Onu. «Nessuno ha il diritto morale di fare la predica a Israele sul suo diritto all´autodifesa».
Difficile dare torto a chi vede le sue città colpite da una pioggia di missili Qassam. Ma è altrettanto difficile accettare fino in fondo la rappresaglia indiscriminata degli israeliani, con quei bambini uccisi e le troppe vittime civili.
Come già accadde nel 2006 in Libano, anche la politica di difesa di Israele rischia di finire sotto le macerie della guerra di Gaza. La rabbia e la frustrazione di una potenza militare incapace di proteggere i suoi cittadini da missili fatti in casa e sparati dai militanti di un´organizzazione considerata terrorista potrebbe portare a una reazione devastante: un´invasione via terra. Il ministro della Difesa Barak non la esclude, parla di opzione «reale e tangibile». Ma gli osservatori militari dicono che sarebbe un´operazione ad altissimo rischio, dall´esito incerto e comunque con fortissime perdite da una parte e dall´altra: proprio il precedente del Libano sta a dimostrarlo.
Ma l´«over-reaction» israeliana non cancella, né riduce le colpe gravissime di Hamas, che continua la sua linea suicida di pretendere il riconoscimento politico senza rinunciare alla violenza e all´obiettivo proclamato della distruzione dello Stato di Israele. Nel libro di Robin Wright, appena uscito in America con il titolo "Dreams and Shadow" (Sogni e ombre), il leader di Hamas Osama Hamdan dice: «Gli Stati Uniti sono come il principe che cerca Cenerentola. Gli americani hanno la scarpa e pretendono di trovare gli interlocutori a misura della scarpa. Se chi è stato eletto non entra nella scarpa, allora gli americani lo rifiutano in nome della democrazia». Hamdan si riferisce alla netta vittoria di Hamas su Fatah nelle elezioni del 25 gennaio 2006. Però la legittimazione elettorale viene meno di fronte alla violenza e al terrorismo. Hamas non può pretendere di essere la Cenerentola della metafora e lanciare i suoi razzi (d´importazione iraniana) su Ashkelon e Sderot uccidendo a sua volta dei civili.
Chi rischia più di tutti di non uscire politicamente vivo dalla guerra di Gaza è il presidente dell´Anp Abu Mazen. Lui, insieme con Israele, è il bersaglio dei missili di Hamas. La sua unica reazione, finora, è stata di cadere nella trappola dell´escalation di minacce e insulti innescata dal vice ministro della Difesa israeliano, che ha minacciato una «catastrofe» (in ebraico «shoa») se il lancio di missili continua.
In questo scenario il preannunciato viaggio di Condoleezza Rice nella regione per rilanciare (?) il processo di Annapolis ha poco senso. Forse è più opportuno che il segretario di Stato resti a casa a meditare sulla vera «catastrofe» prodotta da otto anni di governo Bush: la totale mancanza di una politica e di una visione per il Medio Oriente. Che il suo successore, repubblicano o democratico, faticherà a riempire. Ammesso che quello che sta accadendo in queste ore drammatiche gliene dia la possibilità.

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