Su REPUBBLICA di oggi, a pag.3, titolo " Chiediamo ad Hamas di cessare il fuoco sui nostri villaggi ", l'intervista di Cristina Nadotti a A.B.Yehoshua.
Quando risponde al telefono, la voce di Abraham Yehoshua è quella di un uomo stanco di dover sempre commentare la guerra. In Italia per presentare il suo ultimo libro, Fuoco amico, ieri è stato impegnato per tutta la giornata con incontri e registrazioni televisive. Ha avuto poco tempo per informarsi su quanto sta accadendo nel suo paese e chiede con apprensione qualche dettaglio sulla situazione ad Ashkelon e Jabaliya. Gli bastano poche frasi: la notizia della morte di 58 palestinesi e due soldati israeliani, le minacce dell´Autorità palestinese di congelare i negoziati di pace. La sua voce si trasforma. Poco prima aveva confessato a mezza voce: «Io che sono sempre così ottimista, sono davvero molto preoccupato», ora ritrova il vigore con il quale ha sempre spronato il suo paese a imboccare la via della pace e tuona: «Israele deve proporre subito un cessate il fuoco! Non è solo la mia posizione, è ciò che pensano centinaia di intellettuali e scrittori, è quel che vuole la gente!».
L´Autorità palestinese ha minacciato di congelare i negoziati di pace, assisteremo a un aumento delle violenze?
«Nessuna previsione politica, nessuna speculazione ha senso in questo momento, l´unica cosa da fare è chiedere ad Hamas un cessate il fuoco. Se non lo accetteranno la responsabilità sarà la loro, Israele deve metterli con le spalle al muro in questo modo, ma prima di tutto bisogna far finire questo bagno di sangue. È la prima cosa da fare, far cessare questo massacro, fare in modo che non si debbano aggiungere morti ai morti».
La reazione di Tel Aviv al lancio di razzi di Hamas le sembra sproporzionata?
« Hamas lancia razzi su Israele e la gente ha paura, è terrorizzata. Il bombardamento sui villaggi israeliani è continuo. Ed è vero anche che noi entriamo nelle loro terre, che ci sono file di profughi e di disperati che cercano scampo dalle incursioni. Non si può vivere sotto costante minaccia, né da una parte né dall´altra, ma rispondere sparando ancora non è la risposta da dare. Là, nei villaggi da cui partono i Qassam, vivono i nostri vicini, sangue del nostro sangue, gente con la quale bisogna trovare il modo per convivere, è a questo che si deve pensare. Basta, l´ho già detto più volte: non ci sono alternative alla pace, né per noi né per i palestinesi».
All´inizio di Febbraio la lettera fatta avere da Hamas alla famiglia del soldato Gilad Shalit, rapito nel 2006, aveva fatto sperare si potesse riportare a casa l´ostaggio. E ora?
«Nessuna trattativa è possibile se non si fanno prima tacere le armi. Solo allora si potrà parlare di scambio di prigionieri. Però è difficile per me parlare di dettagli in questo momento, perché essere lontano dal mio Paese con quel che sta accadendo mi fa sentire ancora peggio».
La comunità internazionale tace, solo i paesi arabi hanno protestato per quanto accaduto, è accettabile?
«Non è questo che conta in questo momento e anche se avessi avuto tempo per capire meglio quanto è successo oggi nel mio Paese (ieri per chi legge n.d.r ) non mi sarei fermato a fare considerazioni su questo. Solo se prima ci sarà un cessate il fuoco si potrà discutere e commentare. Adesso c´è solo una cosa da fare ed è appellarsi a Israele perché la smetta».
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