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Il Giornale Rassegna Stampa
02.03.2008 Israele non occupa e non invade. Si difende
Il commento di Fiamma Nirenstein e la cronaca di Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 02 marzo 2008
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein-Gian Micalessin
Titolo: «Israele dichiara guerra ad Hamas»
Sul GIORNALE di oggi, 02/03/2008, a pag. 1-11, il commento di Fiamma Nirenstein, dal titolo " Israele dichiara guerra a Hamas"
Giorno di autentica guerra tra l’esercito israeliano e Hamas dopo un’infinita serie di scaramucce che nei giorni scorsi sono montate come una spietata marea fino all’epilogo di oggi. Il bilancio è di oltre 50 morti fra i palestinesi, Gaza è ormai nel caos più totale, mentre Israele ha sofferto l’uccisione di due soldati e un numero alto di feriti sia nell’esercito che tra la popolazione delle città israeliane di Sderot e di Ashkelon, martellate dai Qassam e dai missili Grad.
È stato proprio l’urlo di dolore dei 120mila abitanti della città industriale di Ashkelon, dove tra l’altro sorge la centrale elettrica che rifornisce anche gli abitanti di Gaza, città che fino a pochi giorni fa era rimasta fuori dal mirino di Hamas, che ha spinto Ehud Olmert e Ehud Barak a decidere per un’operazione di terra che non si configura tuttavia come un’occupazione territoriale, bensì come un colpo di maglio per smantellare le strutture terroriste, distruggere i gruppi di Hamas addetti al lancio dei missili, disperderne la leadership costringendola alla clandestinità.
L’esercito israeliano è entrato prima dell’alba nella città di Jabaliya, cinque soldati sono stati immediatamente colpiti ed evacuati all’ospedale Soroka di Bersheva, mentre un intenso scambio di fuoco induceva l’aviazione israeliana a fare da sopporto alle brigate di terra dei Givati. Ma i missili delle forze aeree, oltre a colpire gruppi di palestinesi armati che al solito si erano strategicamente mischiati ai civili, hanno purtroppo ucciso alcuni di questi ultimi. Fra di essi due giovani fratelli di 16 e di 17 anni, due sorelle e un uomo col figlio di 20 anni. Tareq Dardouna, un residente dell’area di Jabaliya, ha testimoniato all’Associated Press che un suo parente è stato ucciso in uno scontro a fuoco. Ed è proprio questo continuo mescolarsi degli uomini armati palestinesi con i civili che crea un nuovo tipo di guerra asimmetrica, che causa morti e feriti anche fra i civili palestinesi. Nelle ore precedenti Hamas aveva incrementato l’attacco balistico, proseguito per giorni e giorni con ferimento di bambini e distruzione di case, estendendo il fronte fino all’intera città di Ashkelon, ferita decine di volte anche durante la giornata di ieri fin nel suo centro: la radio ha trasmesso senza sosta le grida di terrore e di sconcerto della popolazione della cittadina industriale, abituata solo a vedere a distanza il fronte colpito nella poco distante città di Sderot. Adesso anche la città di Ashdot teme gli attacchi dei missili di Hamas.
In realtà l’orizzonte strategico di Israele è ancora molto incerto e forte è l’insicurezza sulla prossima mossa, visto che a due anni dallo sgombero dell’intera Striscia di Gaza per una speranza di pace, questa si è ormai trasformata invece nella base strategica per un passo avanti della Jihad di Hamas per l’invio di terroristi suicidi nel territorio israeliano, tramite il lancio continuo di missili.
La reazione odierna di Hamas al duro attacco dell’esercito israeliano è stata decisa. Il portavoce Abu Obeida ha dichiarato: «Risponderemo con ogni possibile mezzo». Sia il capo di Hamas all’estero, Khaled Mashaal da Damasco, che da Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen hanno gridato alla «Shoah», ovvero all’Olocausto, approfittando anche di un’improvvida minaccia del viceministro degli Esteri israeliano Matan Vilnai che aveva dichiarato, senza pensare alle conseguenze, che «Hamas stava portando la Shoah su se stesso». Il negoziatore palestinese Saab Erekat ha detto che il processo di pace con Israele «è ormai sepolto sotto le macerie di Gaza»; il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni gli ha replicato che un loro eventuale ritiro dai negoziati «non fermerà l’azione dell’esercito». In serata Abu Mazen ha chiesto che si riunisca d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
La strategia di Israele, come è stato confermato dalle varie riunioni del governo ieri sera a Gerusalemme, è quella di penetrare di nuovo dentro Gaza finché sarà necessario, a causa degli attacchi sulle città israeliane, evitando però ogni forma di occupazione. Il tentativo sarà quello di fermare i gruppi palestinesi addetti ai Qassam e ai missili Grad, di distruggere le loro armi, di evitare cioè che si crei una situazione di continua disperazione tra i civili israeliani presi di mira nelle città, ormai in uno stato di rivolta e protesta senza tregua contro il governo che non riesce a difenderle.
Dal mondo le reazioni sono caute, sia gli Stati Uniti che la Comunità europea per ora si astengono da critiche dirette ad Israele, soltanto la Russia ha chiesto al governo di Gerusalemme di evitare di colpire i civili. Le reazioni del mondo arabo e musulmano sono invece naturalmente durissime, in particolare quella dell’Iran che ha attaccato a testa bassa con le consuete maledizioni e condanne a morte dello Stato ebraico.
 
La cronaca di Gian Micalessin, titolo " Quei maledeti razzi che Tsahal è costretto a cercare casa per casa".
 
Individuare le piattaforme di lancio sotterranee, distruggere i depositi dei katyusha arrivati dall’Egitto, eliminare gli esperti rientrati dai campi scuola di Hezbollah, sono i tre obiettivi delle operazioni israeliane a Gaza. La prima missione è in corso tra la propaggine settentrionale del campo di Jabaliya e la recinzione nord di Gaza. Lì si cercano gli accessi alle piattaforme sotterranee utilizzate per lanciare i missili Grad su Ashkelon e quelli Qassam su Sderot. Le piattaforme sotterranee, scoperte solo da qualche settimana, consentono di eludere la vigilanza degli aerei senza pilota garantendo l’incolumità dei responsabili del lancio. La tattica, sperimentata da Hezbollah nel sud del Libano, deve fare i conti con le difficoltà di puntamento dal sottosuolo e di innesco a distanza. Il gap tecnologico è stato colmato nei campi di Hezbollah frequentati dalle cellule missilistiche di Ezzedin Al Qassam, il braccio militare di Hamas.
Il rientro dal Libano è stato agevolato dall’apertura della barriera di Rafah al confine con l’Egitto. Da quei varchi sono transitati i neodiplomati «ingegneri» e le «sempreverdi» katyusha sovietiche replicate dall’industria militare iraniana. L’apertura del valico di Rafah ha consentito il trasferimento di partite che avrebbero impiegato molto più tempo a transitare attraverso i tunnel scavati alla frontiera egiziana. Questa disponibilità d’ordigni e l’utilizzo delle piattaforme sotterranee ha consentito ieri il lancio di una cinquantina di missili. Lo Shin Bet, i servizi di sicurezza interni, hanno già eliminato cinque «ingegneri» addestrati da Hezbollah. Quattro sono stati uccisi mercoledì colpendo con un missile il loro furgoncino. Il quinto è stato individuato tra i caduti dei combattimenti di ieri.
Ora lo Shin Bet cerca i depositi, in parte sotterranei in parte dissimulati all’interno d’edifici civili, dove sono immagazzinati i missili Grad e le partire di combustibile stabilizzato usato per incrementare portata e precisione dei Qassam. La collocazione dei depositi in zone ad alta densità richiede l’impiego di nuclei di forze speciali appoggiate da un largo dispiegamento di truppe. Tsahal deve, però, far i conti con le migliorate capacità militari dei miliziani fondamentalisti. Le tecniche di combattimento apprese dal Partito di Dio si stanno già dimostrando letali. Soltanto ieri Tsahal ha contato due caduti, una perdita un tempo inaccettabile per uno scontro con semplici militanti palestinesi.
 
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